LOMELLINI, Leonello
Primogenito della numerosa prole di Napoleone e di Teodora Di Negro, nacque a Genova intorno al 1350.
Sull'esempio del padre si dedicò giovanissimo alla mercatura; compare nel 1376 nei registri della dogana cittadina impegnato in transazioni commerciali con l'Inghilterra e le Fiandre. Due anni dopo il padre lo destinò a rappresentarlo nella maona che aveva ottenuto dal Comune, con un'investitura feudale, il governo della Corsica, da tempo sfuggita al controllo genovese e in gran parte occupata da Arrigo Della Rocca, un barone corso che, con l'appoggio aragonese, si era proclamato conte dell'isola.
Il L., quale rappresentante della famiglia che maggiormente aveva avuto parte nella costituzione della maona, fu designato governatore di Corsica sul finire del 1378 e, con Giovanni de Magnerri, altro membro della compagnia, raggiunse Calvi, rimasta in mano genovese.
I due, con le poche truppe portate dalla terraferma, recuperarono il castello di Nonza, occupato da pirati catalani, ma entrarono ben presto in contrasto con gli Avogari, i signori feudali di origine genovese che possedevano Capo Corso e i cui diritti erano stati garantiti dal Comune. Privi del loro aiuto, i due si trovarono ad affrontare da soli Arrigo Della Rocca che ebbe facilmente ragione delle loro deboli forze. Magnerri fu ucciso e il L. fu fatto prigioniero, ma riuscì a liberarsi grazie al pagamento di un riscatto di 4000 fiorini e all'impegno di non attaccare le terre del conte Arrigo.
Rientrò in Corsica come governatore sul finire del 1383 e si stabilì a Biguglia, borgo situato ad alcune miglia dal mare; giudicando tale sede inadatta, manifestò fin dall'inizio l'intenzione di trasferirsi in una località costiera, più facilmente raggiungibile da Genova. Per questa ragione, dapprima fece restaurare il castello di Aleria e, in un secondo tempo, "per più sicurtà de li governatori" (Della Grossa, p. 219), cominciò a far costruire presso Porto Cardo una fortezza: la futura Bastia.
Ottenuto il controllo della Terra di Comune (la parte settentrionale dell'isola), il L. cercò di consolidare il suo potere attraverso un'alleanza con la fazione restignaccia (in qualche modo assimilabile a quella guelfa), ma ciò provocò l'insurrezione della parte contraria dei casonacci, sotto la guida di Paolino da Campocasso. Sconfitto a Venzolasca dagli insorti, sul finire del 1391 il L. si portò a Genova per cercare aiuto dal doge Antoniotto Adorno, ma questi - scontento del suo governo - preferì nominare un nuovo governatore (Battista Zoagli), senza annullare le convenzioni con la maona. Il provvedimento doveva essere temporaneo ma, davanti all'ostilità dei Corsi nei confronti dei maonesi e alla scarsa disponibilità di questi ultimi ad accollarsi nuovamente il governo dell'isola, il Comune di Genova finì con l'assumere di nuovo l'amministrazione diretta di quanto ancora sfuggiva al controllo di Arrigo Della Rocca. Il fatto segnò la fine della compagnia, ma se la maggior parte degli azionisti si liberò delle quote di partecipazione, queste finirono con il passare nelle mani dei Lomellini, decisi a sostenere le ragioni del L., fermamente determinato a rientrare in possesso del governo della Corsica. Confidando nel sostegno del re di Francia Carlo VI (divenuto dal 1396 signore di Genova), nel 1400 il L. intentò causa al Comune genovese, chiedendo, a nome degli altri maonesi, il rispetto degli accordi del 1378, formalmente mai annullati. La controversia si trascinò per alcuni anni finché una sentenza del maggio 1403 riconfermò al L. e agli altri soci l'investitura della Corsica, a patto di rifondere il Comune delle spese sostenute nell'isola negli anni precedenti. La sentenza non divenne mai esecutiva per l'opposizione del Comune, ma il L., che godeva dell'amicizia del nuovo governatore francese Jean Le Meingre detto Boucicaut, riuscì comunque a vedere riconosciute per altre vie le proprie ragioni.
Nel gennaio 1404, egli ottenne infatti che come governatore fosse eletto il fratello Andrea. Il 27 giugno 1405 una nuova sentenza riconobbe le ragioni della maona (ormai costituita dal solo L. e da cinque dei suoi fratelli) che, nei mesi seguenti, dietro l'esborso di 7812 lire al Comune, ottenne nuovamente il pieno possesso della Corsica. Il denaro fu probabilmente versato dal solo L. che, nello stesso tempo, provvide a riscattare le quote dei fratelli, finendo con l'essere unico azionista.
Ciò autorizzò il governatore Boucicaut, il 9 marzo 1406, a concedergli la solenne investitura dell'isola a nome del re di Francia e come feudo regio, con il titolo tradizionale di conte di Corsica.
Il 6 agosto successivo il L. sbarcò nell'isola e, ottenuti i castelli di Biguglia, Bastia e Cinarca, andò a stabilirsi a Bonifacio, lasciando quali suoi luogotenenti il fratello Andrea nel Nord e il cugino Valentino nel Sud. I Corsi, rappresentati da Francesco Della Rocca, nominato dal L. vicario del Popolo, parvero inizialmente accettare pacificamente il nuovo signore, ma la scarsa comprensione della mentalità isolana e il desiderio di vendicarsi degli antichi nemici finirono ben presto con l'alienare al L. il favore dei potenziali sudditi.
Così, quando nella primavera 1407 Vincentello d'Istria sbarcò con l'aiuto catalano nel Sud della Corsica, il L. fu abbandonato da tutti e, dopo essersi inizialmente rifugiato nella più sicura Bastia, riparò definitivamente a Genova, lasciando al fratello Andrea il compito di difendere gli ultimi possedimenti nell'isola. Il 21 giugno un decreto di Boucicaut, nonostante l'opposizione dei Lomellini, attribuì al Comune di Genova il governo della Corsica in base alle clausole del 1378 e senza fare menzione della recente investitura.
Apparentemente caduto in disgrazia, il L. rimase in disparte per tutto il resto del dominio francese e nel 1409 fu forse tra i sostenitori della rivolta che portò alla cacciata di Boucicaut e alla cessione della signoria di Genova al marchese Teodoro II di Monferrato. L'anno successivo, per consolidare il credito guadagnato agli occhi del nuovo signore (e forse per sfuggire ai pesanti carichi fiscali addossati alla fazione guelfa cui apparteneva) si fece ghibellino, seguito da altri membri del suo consortile. Ciò non valse però a fargli recuperare l'antica influenza negli affari cittadini, sicché trascorse gli ultimi anni della vita dedicandosi interamente all'attività mercantile e imprenditoriale, da cui ricavò consistenti guadagni, in parte destinati, nel suo testamento, al santuario di Santiago de Compostela, in sostituzione del pellegrinaggio che, per l'età avanzata, non era stato in grado di compiere.
Morì a Genova nel 1420, lasciando numerosi figli tra i quali Matteo, Stefano e Clarice (sposata ad Andrea Gentile di Brando, dei signori di Capo Corso), avuti dalla prima moglie Pietra di Luciano Doria dei signori di Oneglia.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca civica Berio, m.r., IX.4.20: Famiglie nobili di Genova, cc. 192v-194r; IX.5.1: F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, c. 53r; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., B.VIII.2: Albero genealogico dei Lomellini, p. 17; Giorgio Stella - Giovanni Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 173, 301; G. Della Grossa, Chronique médiévale corse, a cura di M. Giacomo Marcellesi - A. Casanova, Ajaccio 1998, pp. 213, 217-219, 223-227, 231, 245-249; G. Balbi, Genova e Corsica nel '300, Roma 1976, pp. 49, 57-65, 72, 84; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, III, Genova 1833, Famiglia Lomellini, tav. 31.