CHIERICATI (Chierigati, Chericati, Cheregato, Cherigatti, Clericato, Chierigato; Chieregatus, de Chieregatis), Leonello
Nacque a Vicenza nel 1443 dal conte Niccolò e da Caterina Loschi, figlia dell'umanista Antonio. Fu tenuto a battesimo da Leonellod'Este, alla cui costante protezione il padre, letterato e giurista, doveva la sua brillante carriera di magistrato. Ebbe un'educazione accurata, di tipo umanistico, e studiò il greco a Vicenza alla scuola di Ognibene da Lonigo, allievo di Vittorino da Feltre e convinto ciceroniano, prima di accedere agli studi giuridici e di laurearsi a Padova doctor decretorum.
Durante il soggiorno padovano, nel 1463, il C. compose un dialogo di stampo umanistico, il Dialogus ... in quo et consolatio magnifici Francisci Didii et consultatio de mittendis orationibus quas traduxit continetur, in cui sviluppava una dimostrazione platonicheggiante dell'immortalitàdell'anima, e dissertava, indulgendo alfascino dello stoicismo, sull'indifferenzadel saggio di fronte ai turbamenti e allesofferenze.
In questo dialogo, vera e propria ripresa della tematica ciceroniana delle Tusculanae disputationes, l'intento di conciliare la tradizione aristotelica con i nuovi ideali umanistico-platonici non si esplica in un rigoroso approfondimento filosofico, ma approda all'elaborazione di un ideale di humanitas, dove studi filosofici e vita civile devono compenetrarsi armoniosamente: vi ritroviamo la lezione della pedagogia umanistica del Guarino e di Vittorino da Feltre, e inoltre le esigenze del mondo culturale veneto, con il suo prevalente interesse per la formazione civile dei suoi magistrati, con in più una nota già accentuatamente retorica, che accresce il ciceronianesimo dell'insieme. Queste caratteristiche fecero sì che il dialogo conoscesse una certa fortuna nell'ambiente veneto della prima metà del Cinquecento, tanto che in un codice del 1524 l'umanista padovano Lucio Paolo Roselli se ne attribuì la paternità, limitandosi a mutare il nome del destinatario dell'opera.
Il dialogo, conservato in due codici, uno nella Biblioteca municipale di Reggio Emilia (ms, Turri, F 73), l'altro nella Biblioteca civica di Bergamo (ms. Σ II 59), è seguito dalla traduzione, sempre del C., delle due orazioni parenetiche di Isocrate, A Nicocle e Nicocle, dedicate al figlio di Leonello d'Este, Niccolò.
Nel 1463 il giovane Niccolò, che dopo la morte del padre era stato posto sotto la tutela dello zio Borso, sembrava ormai destinato a succedere allo zio nel governo di Ferrara, speranza presto troncata prima dal suo allontanamento a Mantova e, poi, nel 1476, dalla sua tragica fine nel tentativo di riconquistare il ducato ad Ercole I d'Este. Eco delle speranze diffuse nel 1463 negli ambienti veneti ancora legati al ricordo di Leonello d'Este sono sia l'elogio che il C. fa di Niccolò nella dedica delle orazioni, sia soprattutto la scelta di queste, che costituiscono un vero e proprio manuale del buon principe ed un'apologia della monarchia, intesa come la migliore forma di governo. L'amicizia del C. per Niccolò era destinata a durare a lungo; infatti nel 1469, quando si trovava già a Roma, il C. gli inviava la traduzione di un'operetta di Luciano, il De electro (conservato in un codice miscellaneo del sec. XV, ms. 692della Bibl. del Seminario di Padova, ff. 169v-170r).
Nel 1464, terminati gli studi, il C. si trovava a Vicenza, dove il 1ºottobre pronunciò una solenne orazione classicheggiante in occasione dell'ingresso nella città del nuovo vescovo, Marco Barbo. Non sappiamo se a quella data egli avesse già abbracciato la carriera ecclesiastica. Postosi sotto la protezione del Barbo, il P. lo seguì a Roma quando questi nel 1467 fu nominato cardinale di S. Marco e svolse le mansioni di camerlengo. La sua presenza a Roma è accertata con sicurezza a partire dal 1469, data della dedica del De electro, anche se vi si doveva trovare già da tempo. L'8 genn. 1472, sotto il pontificato di Sisto IV, il C., che era sempre al seguito del Barbo, fu eletto vescovo di Arbe, in Dalmazia; un mese dopo, partiva per la Germania al seguito del Barbo, inviato nunzio alla corte imperiale con la missione di pacificare i principi tedeschi e di organizzare la guerra contro i Turchi. Rinviato a Roma dal Barbo nell'autunno del 1473, vi si stabilì, dopo una breve sosta a Venezia, per attendere agli affari del suo protettore.
Risalgono a questo periodo una serie di lettere, di cui sono nella Bibl. Ap. Vat. le minute autografe, in stato frammentario (Vat. lat. 5641), in cui il C. informava minuziosamente il cardinale delle vicende romane e delle reazioni suscitate in Curia dai progressi della sua missione in Germania.
Al ritorno del Barbo, nell'ottobre del 1474, il C. continuò a restare al suo servizio, mentre progrediva la sua ascesa in Curia: nel 1476 pronunciò l'orazione funebre in morte del cardinale Filippo Calandrini; nel 1478 compare in un documento come commendatario perpetuo della chiesa di S. Silvestro di Borgo Berico a Vicenza, già appartenente all'abbazia di Nonantola; nel 1482 divenne referendario.
A questo periodo risale una sua importante lettera, scritta da Roma il 18 ott. 1482, al giurista Giorgio Guglielmi, preposito di S. Pietro a Basilea, da lui conosciuto in Germania, in cui egli confutava le tesi conciliaristiche di Andrea Zamometić, che in quegli anni tentava, con l'appoggio dell'imperatore Federico III e della città di Basilea, di convocare un concilio in quella città per riformare la Chiesa e opporsi agli abusi del Papato. Le tesi espresse in questa lettera, immediatamente pubblicata a Roma, sono interessanti per il carattere decisamente anticonciliaristico, e per l'accentuazione dei motivi antiereticali, e prefigurano l'azione che più tardi, sotto Innocenzo VIII e sotto Alessandro VI, il C. svolgerà in favore delle dottrine più rigidamente teocratiche.
Il 19 genn. 1484 il C. fu trasferito dalla sede episcopale di Arbe a quella di Traù, sempre in Dalmazia: in quest'occasione rinunciava al beneficio di S. Silvestro in Borgo Berico a Vicenza. Subito dopo, accompagnò a Cesena il cardinale di Lisbona, Giorgio da Costa, incaricato da Sisto IV, nel marzo, del 1484, di negoziare la pace con Venezia. Dopo questa missione, si recò due volte a visitare il Friuli dietro incarico del cardinal Barbo, una prima volta nel 1484, e una seconda volta tra il 1485 e il 1486; tra questi due viaggi si situa un suo soggiorno nel vescovato di Traù, che durò fino all'aprile del 1485.
In questo periodo ottenne da Innocenzo VIII, appena assurto al pontificato, la riconferma di un beneficio nel Vicentino, concessogli da Sisto IV quando il C. era ancora vescovo di Arbe, il priorato di S. Maria degli Etiopi, di cui non aveva preso ancora possesso, perché usurpatogli da Marco de' Vitrianis, figlio illegittimo del defunto possessore. Nella stessa occasione ottenne anche il beneficio del monastero di S. Maria di Borgo Pustrile, a Vicenza.
Nel settembre del 1486 il C. ritornò a Roma, dove si trattenne un anno, fino al novembre del 1487. Vicario, ormai, di S. Pietro, tenuto in grande considerazione come giurista e, soprattutto, come oratore, fu presente a numerose cerimonie solenni: il 12 Sett. 1486 rese pubblica la pace tra il pontefice e il re di Napoli; il 2 febbr. 1487 pronunciò in S. Pietro l'orazione, che fu poi data alle stampe, per la pubblicazione della lega stretta tra Innocenzo VIII e Venezia e diede pubblica lettura dei patti stipulati a Venezia il 21 dic. 1486. A questo periodo risale un secondo soggiorno del C. nella sua diocesi di Traù, che precedette di poco la sua missione, diplomatica in Francia, durante la quale, il 22 ott. 1488, egli sarà di nuovo trasferito dalla sede episcopale di Traù a quella di Concordia, nella Carnia, vacante dal 15 ottobre, in seguito alla morte del veneziano Antonio Feletto.
Il Senato veneto, però, contestò per molti mesi questa assegnazione, contrapponendo al C. un proprio candidato nella persona di Nicolò Donato, vescovo di Limisso, a Cipro. Il Senato rinunciò alla sua opposizione, dopo forti pressioni del pontefice e grazie anche all'intercessione del re di Francia, soltanto il 19 ag. 1489. Il C. governò la diocesi attraverso un vicario, il suo familiare Domenico dello Reno.
Nel novembre del 1487 il C. ottenne, forse grazie all'influenza del cardinale Barbo, un'importante legazione in Francia.
Dopo il richiamo del nunzio Giovanni Andrea Grimaldi, all'avvento di Innocenzo VIII, mancava un nunzio permanente presso il re di Francia, nonostante che la politica gallicana perseguita dalla Francia, provocando continui motivi di attrito con la S. Sede, ne creasse la necessità. Con il concordato di Amboise del 1472, Luigi XI e Sisto IV si erano accordati, come fecero più tardi con il concordato del 1516 Francesco I e Leone X, con la sostanziale rinuncia da parte del re di Francia alla prammatica sanzione, sostenuta dai Parlamenti; in cambio il re otteneva una vasta disponibilità nell'assegnazione dei benefici. La morte di Luigi XI e il periodo di minorità di Carlo VIII, con il tentativo del Papato di rompere l'equilibrio raggiunto, inasprirono la politica gallicana dei Parlamenti. La crisi culminò in una serie di episodi che incrinarono fortemente i rapporti tra la Francia e il Papato: i vescovi di Gap e di Tournai, nominati da Roma senza il consenso reale, erano stati espulsi dai vescovati; nelle contee di Valenza e di Die, nel Delfinato, contese tra la Corona e la S. Sede, il Parlamento di Grenoble aveva fatto scacciare i funzionari pontifici; nel 1485, il governo francese aveva riunito un concilio a Sens; nel 1487 erano stati incarcerati i vescovi di Le Puy e di Montauban, implicati nella rivolta dei principi. Di fronte a questa situazione, la Curia tentò di giungere ad un accordo con il sovrano, in modo da seppellire definitivamente la prammatica sanzione, attraverso la stipulazione di un concordato.
La nunziatura del C., circondata dalla massima solennità, aveva appunto questo obiettivo, oltre a quello, ormai tradizionale, di sollecitare una tregua tra le potenze cristiane in funzione antiturca. Il C. fu accompagnato dal protonotario spagnolo Antonio Flores, canonico di Siviglia, e dal protonotario narbonese Jean Oriol, che partecipò però soltanto ad alcune fasi della missione. Avevano tutti e tre il titolo di "nuncii, oratores et commissarii cum potestate legati de latere pro nonnullis magnis et arduis causis tractandis". Le loro facoltà, espresse in ventisei brevi, erano molto estese: oltre i privilegi di uso comune, a carattere fiscale, ne avevano altri che avevano lo scopo di aumentare il loro prestigio, come il potere di assolvere da ogni scomunica ed interdetto e quello di autorizzare le alienazioni del patrimonio ecclesiastico.
Partiti da Roma il 16 nov. 1487, si fermarono a Firenze, dove furono ricevuti solennemente da Lorenzo de' Medici, e poi a Milano, dove furono accolti dal cardinale Ascanio Sforza e dal duca Gian Galeazzo, a causa di una malattia di Ludovico il Moro. Il nunzio pontificio a Milano, Giacomo Gherardi, ne dava notizia al papa, scrivendogli di aver stretto accordi con loro, in vista di un reciproco scambio di notizie sulle rispettive missioni. Giunti a Parigi, i nunzi furono ricevuti a corte il 20 genn. 1488, e il C. pronunziò davanti a Carlo VIII un discorso in cui venivano esposti i motivi della nunziatura.
Il C. lamentava la pressione turca sull'Italia, resa ancora più grave dalla sua precaria situazione politica, come avevano dimostrato i recenti fatti di Osimo, quando Boccolino Guzzoni, resosi signore della città, aveva intavolato trattative con il sultano per porre sotto la protezione turca la Marca anconitana. Il nunzio collegava alla questione turca il problema dei rapporti tra Innocenzo VIII e Ferdinando di Napoli, che la pace del 1486 non aveva risolto e che anzi si facevano sempre più tesi. In nome del pontefice, il C. esortava il re di Francia, erede dei diritti della casa d'Angiò sul Regno di Napoli, a muovere sul Regno napoletano, per farne la base di partenza per una nuova crociata contro i Turchi; nel frattempo, attraverso il suo nunzio, Innocenzo VIII invitava il re di Francia a intervenire per la liberazione dei baroni napoletani, suoi alleati, prigionieri di Ferdinando. In vista di una ripresa della guerra contro i Turchi, il pontefice chiedeva alla Francia l'impegno di risolvere i suoi conflitti con gli altri Stati cristiani, e soprattutto sollecitava la consegna a Roma del sultano Gem, fratello di Bāyazī'd, consegnatosi nel 1482 a Pierre d'Aubusson, gran maestro dei cavalieri di Rodi e prigioniero in Francia. Nelle mani del pontefice Gem sarebbe stato un ostaggio prezioso contro Bāyazī'd, in un momento così difficile per l'Italia, esposta da più parti alla pressione turca. Il discorso del C. avrebbe dovuto anche trattare la politica gallicana della Francia, esponendo le lagnanze del pontefice per il continuo avvilimento della sua autorità nel regno, ma, giunto a questo punto, il nunzio fu pregato di consegnare il suo discorso per iscritto senza pronunciarlo, primo indice delle insormontabili difficoltà che avrebbe incontrato in questo campo durante la sua missione.
La nunziatura infatti si protrasse quasi quattro anni, fino al settembre del 1491, con scarsi risultati. L'unico vero successo ottenuto dai nunzi fu la consegna del principe Gem, che da tempo il pontefice tentava di farsi consegnare, e che il Papato considerò un grosso successo politico.
Tra il C. e la corte francese intercorsero lunghe e complesse trattative a proposito di questa consegna, anche perché la Francia subordinava la consegna di Gem alla concessione del cappello cardinalizio all'arcivescovo di Bordeaux, André d'Epinay, e a Pierre d'Aubusson. Ma a interrompere le trattative, praticamente avviate a conclusione, intervenne nel 1488 un grave dissidio tra la Francia e il Papato a proposito della questione fiamminga. In seguito alla cattura, da parte delle città delle Fiandre, del re dei Romani, Massimiliano d'Asburgo, nel febbraio del 1488. Innocenzo VIII, tramite l'arcivescovo di Colonia, aveva lanciato l'interdetto sulle Fiandre, provocando la reazione della Francia che considerava le città fiamminghe soggette alla propria giurisdizione; nell'ottobre Carlo VIII inviava una dura lettera al pontefice in cui protestava contro il grave gesto dell'arcivescovo di Colonia: il successo delle trattative sulla consegna di Gem sembrò allora irrimediabilmente compromesso. Le lettere che il C. inviò a Roma in questo periodo riflettono le preoccupazioni del nunzio, che supplicava il pontefice di recedere da posizioni troppo intransigenti e di revocare l'interdetto sulle Fiandre, se non voleva veder compromessa ogni possibilità di accordo con la Francia. Risolta la questione fiamminga, Gem lasciava Lione per l'Italia il 21 febbr. 1489, con una partenza affrettata, imposta dal C., poiché il consiglio reale stava ritornando sulla propria decisione di consegnare al pontefice il prezioso ostaggio.
Per quanto riguarda la politica gallicana e il progetto di un concordato, la nunziatura del C. si dimostrò completamente fallimentare, e tutto ciò che riuscì ad ottenere fu la liberazione dei vescovi imprigionati. Anche la decima, bandita da Innocenzo VIII per sopperire alle necessità della guerra contro i Turchi, incontrò gravissime difficoltà e dette risultati assai scarsi.
Nella sua corrispondenza con il pontefice il C. spiegava la generale ripugnanza del clero francese ad accettare la decima con la diffusione nel paese delle accuse di corruzione alla Curia romana. In un memoriale dei nunzi al pontefice, che risale alla primavera del 1488, inviato a Roma tramite un messo papale che li aveva raggiunti a Parigi, fra' Baldassarre de Spino, si faceva il punto della situazione: in sostanza i nunzi informavano il papa che il re era intenzionato a giungere alla stipulazione di un concordato con la S. Sede, ma che la necessità in cui si trovava di dover tener conto delle pressioni dei Parlamenti lo costringeva a rimandare ogni decisione ad una futura e non meglio precisata Assemblea generale. Il progetto fu così abbandonato e per le nomine ecclesiastiche ci si attenne ad un'intesa speciale tra il Papato e la corte francese, che lasciava ampio margine alle richieste reali in materia di benefici.
Durante la sua nunziatura il C. svolse anche un'intensa attività di mediazione nelle complesse controversie tra la Francia e Massimiliano d'Asburgo da una parte e tra la Francia e l'Inghilterra dall'altra, controversie centrate sul problema della successione al ducato di Borgogna e, soprattutto, su quella al ducato di Bretagna. Alla mano di Anna di Bretagna, infatti, aspiravano sia Carlo VIII sia Massimiliano d'Asburgo. Nel 1489 veniva sancita la pace tra Carlo VIII e il re dei Romani, e, nello stesso anno, anche Anna di Bretagna concludeva la pace con il re di Francia. Tra il marzo e l'aprile del 1490, il C., su richiesta di Carlo VIII, si recò in Inghilterra per trattare la pace tra la Francia ed Enrico VII, che l'anno precedente era, tra l'altro, intervenuto militarmente in Bretagna. Ricevuto a corte, pronunciò il 29 marzo di quell'anno un discorso davanti al re, poi pubblicato.
La sua mediazione si rivelò tuttavia infelice e ottenne come unico risultato la convocazione di una conferenza di pace alla frontiera tra i due paesi, tra Calais e Boulogne, che egli stesso presiedette, nei mesi di agosto e settembre, e che portò solo ad una breve tregua. Anche la pace tra la Francia e Massimiliano, che era stata uno dei principali obiettivi della nunziatura e a cui il C. si era lungamente impegnato, fu di breve durata. Infatti, nel 1491, la pubblicazione del matrimonio per procura tra Anna di Bretagna e Massimiliano provocò l'invasione della Bretagna da parte di Carlo VIII, e, nel dicembre, il suo matrimonio con la duchessa.
Importante fu anche il ruolo svolto dal C. durante questa nunziatura nell'episodio dell'arresto di Pico della Mirandola e nel tentativo d'impedire la diffusione delle sue opere in Francia.
Alla partenza da Roma i nunzi non avevano ricevuto alcuna istruzione specifica su Pico della Mirandola, le cui tesi erano state condannate integralmente da una commissione nominata da Innocenzo VIII, di cui faceva parte anche il Flores, nell'agosto del 1487, condanna resa pubblica con un breve del 15 dicembre, dopo la pubblicazione dell'Apologia del filosofo. Giunti a Lione, i nunzi ricevettero la notizia della partenza di Pico per Parigi, e un breve pontificio in cui se ne ordinava l'arresto. Avvertito il governatore del Delfinato, Filippo di Savoia, essi ripresero il viaggio, e pochi giorni dopo il filosofo veniva arrestato a breve distanza da Lione. Allora, mentre Innocenzo VIII si mostrava sempre più deciso a perseguitare a fondo Pico, iniziava tra i nunzi e le autorità francesi un braccio di ferro, la cui posta era la vita del filosofo, che i nunzi intendevano consegnare a Roma, e che Carlo VIII, sotto le pressioni dei Medici e degli Sforza, voleva salvare, senza per questo guastare ulteriormente i suoi rapporti con la S. Sede. Pico si offrì, a questo punto, di abiurare i propri errori, ma il C. respinse questa proposta, sottolineando nei suoi interventi presso la corte la gravità dell'accusa di eresia che aveva colpito il filosofo, e il fatto che egli era, oltre tutto, un eretico "relapso". Consapevoli del favore di cui Pico godeva a corte e presso l'università di Parigi, i nunzi, pur non risparmiando interventi e pressioni per ottenerne la consegna, tentarono, di evitare che egli fosse sottoposto alla giurisdizione parigina, e di approfittare dell'immunità di cui godeva la sede episcopale di Grenoble per tenervelo prigioniero. E noto come in realtà la prigionia del filosofo, durata meno di un mese, sia finita con l'espulsione dalla Francia e con il rifugio nella tranquilla Firenze di Lorenzo. Anche dopo la liberazione di Pico, però, il C. agì con il massimo zelo per impedire almeno la diffusione dell'Apologia, che circolava ad opera degli amici parigini del filosofo, e per darne alle fiamme tutte le copie in circolazione.
Nel 1489, durante la sua missione in Francia, il C. si occupò anche, su richiesta del governatore del Delfinato, Filippo di Savoia, della repressione dei valdesi della diocesi di Embrun, che già due anni prima erano stati duramente perseguitati dall'inquisitore Alberto Cattaneo. In questo caso, il suo zelo antiereticale venne incontro alle concrete esigenze repressive dei magistrati del Delfinato, desiderosi di un ulteriore inasprimento dell'attività inquisitoriale.
Nel settembre del 1491 il C. tornò a Roma insieme all'ambasceria solenne inviata da Carlo VIII al pontefice, ambasceria che aveva, tra l'altro, l'obiettivo di ripresentare, anche questa volta senza esito, il progetto di concordato lasciato cadere durante la nunziatura del Chiericati. Rimasto a Roma come referendario domestico di Innocenzo VIII, il C. ne pronunziò l'orazione funebre in S. Pietro davanti al Collegio cardinalizio, il 28 luglio 1492.
Questa orazione, più volte stampata, è il frutto più famoso della sua lunga e fortunata attività oratoria. In questo discorso, volto a delineare la grave crisi in cui versava la Chiesa, il C. insisteva sul pericolo, delle eresie che minacciavano da ogni parte la fede cattolica, chiamandosi in particolare alla "perfidia furibunda et armata" degli ussiti; particolarmente significativo, inoltre, era l'invito rivolto ai cardinali che si accingevano al conclave, da cui sarebbe uscito papa Alessandro VI, ad eleggere un pontefice tale da riformare la Chiesa, per ricondurla alla sua missione teocratica.
Sotto il nuovo pontefice il C. rimase a Roma come prelato palatino. Le notizie che possediamo sulla sua attività in questi anni lo mostrano presente alle più importanti cerimonie ufficiali. In particolare, in occasione dello sfarzoso matrimonio di Lucrezia Borgia con Giovanni Sforza, celebrato in Vaticano il 12 giugno 1493, il C. officiò la messa e pronunciò un sermone sul sacramento del matrimonio che non ci è pervenuto. Parallelamente a questa attività pubblica, esercitò probabilmente una crescente influenza, nella cerchia dei collaboratori di Alessandro VI, sull'elaborazione di quel pensiero ierocratico di stampo medievale che caratterizzò il papato del Borgia e il cui più importante successo fu la bolla Inter cetera del 4 maggio 1493, con cui il pontefice, in virtù delle sue prerogative di vicario di Cristo, donava alla Spagna le terre scoperte da Colombo. Del resto, tutta la precedente esperienza del C., dalla confutazione delle tesi conciliaristiche dello Zamometić all'attività repressiva svolta in Francia durante la sua missione e all'impostazione delle sue principali orazioni, era stata sempre centrata sulla più rigida esaltazione del primato papale. Significativa, in questo senso, è anche la sua amicizia con Pietro Edo, umanista e sostenitore del primato pontificio nello spirituale e nel temporale, che proprio a lui dedicò nel 1496 una delle sue opere più importanti, una confutazione del De falso credita et ementita Constantini donatione del Valla, l'Antidotum. Un'ulteriore conferma dell'influenza del C. nella Curia romana in questi anni è data dalla presenza nel gruppo di quattro prelati consultati da Alessandro VI nel luglio del 1495 sull'opportunità di lanciare la scomunica contro Carlo VIII: il pontefice, di fronte al parere negativo espresso dai suoi consiglieri, rinunciò al suo proposito.
La discesa di Carlo VIII in Italia aveva già visto il C. impegnato in una intensa attività diplomatica. Nel novembre del 1494, dopo l'ingresso di Carlo VIII a Firenze, egli fu inviato a Napoli per stringere accordi con Alfonso d'Aragona, in vista di una resistenza alla discesa francese. Nel dicembre, quando Carlo VIII si trovava già nelle vicinanze di Roma, Alessandro VI, dopo aver fatto imprigionare i cardinali Sanverino e Ascanio Sforza, inviò a Carlo VIII una ambasceria di cui facevano parte il C., il vescovo di Narni e fra' Baldassarre Graziano de Villanova, confessore del papa.
Il 13 dicembre i legati raggiunsero il re a Viterbo: erano incaricati di dargli spiegazioni sull'arresto dei cardinali di parte francese e di tentare d'indurre Carlo VIII a un accordo con il pontefice e con il re di Napoli. Tramite fra' Graziano, il re fece sapere ad Alessandro VI che la condizione preliminare per ogni trattativa consisteva nella liberazione immediata dei prelati prigionieri e nell'espulsione da Roma delle truppe aragonesi. Il pontefice liberò allora il cardinale Sanseverino e lo inviò a Bracciano, dove ormai si trovava il re, per tentare ulteriori trattative. Là, il 19 dicembre, il Sanseverino incontrò i legati pontifici, che accompagnavano il re, come sappiamo dalle lettere del C. a papa Alessandro VI, pubblicate dal Pastor (III), dove questi fra l'altro lamenta di esser stato completamente estromesso dalle trattative intraprese dal cardinale. Ma nemmeno ciò valse ad evitare l'ingresso del re a Roma da vincitore. Il 25 dicembre il C. e il vescovo di Narni tornarono a Roma senza aver concluso con Carlo VIII alcun accordo.
Dopo l'ingresso del re a Roma il C. ebbe una parte di rilievo nelle trattative tra il sovrano e il pontefice; egli fu inoltre tra i prelati che, dopo la conclusione dell'accordo, il 19 genn. 1495 accompagnarono solennemente il re di Francia in concistoro, dove lo attendeva Alessandro VI per riceverne formale obbedienza.
Il 31 marzo 1495, mentre Carlo VIII si trovava a Napoli, Alessandro VI stringeva una lega contro la Francia con gli altri Stati italiani, con la Spagna e con Massimiliano d'Asburgo. Il 12 aprile il C. pronunciò solennemente davanti al pontefice l'orazione per la pubblicazione della lega, orazione che fu anch'essa data alle stampe.
Dopo la battaglia di Fornovo e il ritiro dei Francesi, Alessandro VI, temendo una nuova discesa in Italia di Carlo VIII, inviò il C. nunzio presso Massimiliano per richiederne l'aiuto. Il 10 genn. 1496 il nunzio pronunciava infatti ad Augusta, davanti al re dei Romani, una orazione che fu pubblicata e che il Sanuto riporta integralmente nei suoi Diarii.
Nell'orazione il C. ricordava a Massimiliano il ruolo tradizionalmente svolto dall'Impero a difesa della Chiesa, e chiedeva il suo aiuto contro Carlo VIII, che aveva lasciato presidi in Italia e che preparava una nuova discesa. Sottolineava inoltre che la discesa francese in Italia aveva compromesso gravemente i legittimi diritti imperiali. Nei mesi successivi il nunzio si adoperò a convincere Massimiliano a scendere in Italia, a inviare aiuti al Regno di Napoli e a muovere guerra alla Francia. Nello stesso tempo manovrò per favorire l'ammissione nella lega di Enrico VII d'Inghilterra e per includervi anche il re di Scozia. Inoltre il C. tentò di staccare dalla Francia i mercenari svizzeri, sia minacciandoli di scomunica sia dietro promessa di compensi.
La nunziatura presso il re dei Romani durò senza interruzione dalla fine del 1495 alla fine del 1499, e fu la prima a rivestire la forma ufficiale della permanenza, grazie all'introduzione di una mensilità fissa, inviatagli dalla Camera apostolica a partire dal settembre del 1496, di centocinquanta fiorini.
Le notizie che possediamo di questa nunziatura provengono, oltre che dalle lettere del C., anche dai dispacci al Senato (pubblicati nel 1844 nell'Arch. stor. ital. a cura di T. Gar) dell'ambasciatore veneto Francesco Foscari, che il C., suddito veneto oltre che nunzio pontificio, informava dettagliatamente della sua attività.
Nell'estate del 1496 Massimiliano si decise a scendere in Italia, e il C. lo accompagnò in Lombardia, dove, a Meda, il re di Germania incontrò il 31 agosto il cardinale Bernardino Carvajal, inviatogli incontro dal pontefice; in questa occasione il C. pronunciò un discorso per esortare Massimiliano alla lotta contro la presenza francese in Italia. Da Milano fu inviato da Massimiliano alla Dieta di Lindau, dove Massimiliano sperava di ottenere l'appoggio degli Stati alla sua politica verso l'Italia, e perciò non poté assistere alla fine ingloriosa dell'impresa imperiale.
Dopo la Dieta di Lindau il C. continuò a svolgere la sua attività diplomatica presso Massimiliano. Nel febbraio-marzo 1498 si sarebbe trovato a Firenze per predicare contro il Savonarola: lo afferma un breve di Alessandro VI a lui indirizzato, pubblicato insieme con un dialogo contro il Savonarola (Habes hic lectorDialogum de frate Hieronymi Nicolai Savonarola Ferrariensi Ordinis Praedicatorum ... epistolam Alexandri Papae approbantis conciones in Hieronymum..., s.l.1521 (in Panzer, Annales typographici, IX 127). Ma a parte la dubbia autenticità del breve e il fatto che non si ha altra notizia di un soggiorno del C. a Firenze e di una sua predicazione, è molto difficile ritenere che egli avrebbe interrotto la nunziatura presso Massimiliano per recarsi a predicare a Firenze.
Con la scomparsa improvvisa, il 7 apr. 1498, di Carlo VIII e con la politica del nuovo re, Luigi XII, volta ad acquistarsi il favore di Alessandro VI, la situazione politica mutò radicalmente. Nel maggio del 1498 Massimiliano, dietro le pressanti richieste del duca di Milano, aveva deciso d'intervenire contro il re di Francia e aveva chiesto ai membri della lega di contribuire finanziariamente alla guerra, in modo da poter attaccare la Francia attraverso la Borgogna. Il C. trasmise queste richieste ad Alessandro VI, che gli rispose di ringraziare Massimiliano per la sua costante difesa dell'Italia, ma di sconsigliargli la ripresa della guerra; il pontefice informava il C. di aver mandato a Luigi XII ambasciatori per felicitarsi del suo avvento al trono e per invitarlo alla pace: solo se il re avesse respinto la sua proposta di pace, si sarebbe potuto pensare alla ripresa delle ostilità. Nel luglio del 1498 il C. fu presente alla Dieta di Friburgo. Nella prima metà del 1499 il riavvicinamento tra Alessandro VI e la Francia era ormai compiuto: il C., lasciato a lungo senza notizie da Roma, ebbe conoscenza solo indiretta del nuovo indirizzo della politica pontificia. Del resto, ormai personalmente coinvolto nella politica imperiale, dopo una così lunga permanenza alla corte di Massimiliano, egli si mostrò fortemente contrario all'alleanza con la Francia. Prima ancora che Luigi XII entrasse a Milano nell'ottobre del 1499, la sua missione terminava, determinando anche la fine della sua carriera diplomatica e curiale. Il 15 settembre il Consiglio imperiale prendeva atto del suo congedo. Il C. si stabilì allora nella sua diocesi di Concordia, il cui luogo di residenza ordinaria era Portogruaro. Nel gennaio del 1500 si trovava a Vicenza, come risulta da una sua lettera ad Alessandro VI, in cui lamentava la predicazione nella città di due frati, che avrebbero propugnato lo scisma e la riforma della Chiesa. Nel 1503 il papa pensò di affidargli una nuova nunziatura in Germania, come persona gradita a Massimiliano; ma la morte di Alessandro VI impedì la realizzazione di questo progetto. Nel febbraio del 1505 celebrò il sinodo nella cattedrale di Concordia. Morì nella sede del suo vescovato il 19 ag. 1506, dopo una lunga malattia.
Le orazioni e l'epistola a Giorgio Guglielmi sono state pubblicate durante la vita del C. senza indicazioni di data, tra il 1482 e il 1499, a Roma, tranne l'orazione a Massimiliano, pubblicata ad Augusta: Epistola ad Georgium praepositum Basiliensem...; Sermo in publicatione confoederationis inter Innocentium VIII et Venetos; Propositio coram Carolo VIII...; Sermo de origine ac dignitate S. R. E. cardinalium (pubblicata dopo il 5 luglio del 1498, era stata composta nel 1489); Propositio coram Henrico VII Angliae rege facta; Oratio in funere Innocenti VIII; Sermo... in publicatione confoederationis inter Alexandrum VI et Romanorum et Hispaniae reges Venetorumque ac Mediolanensium duces habitus; Propositio coram Maximiliano I Romanorum rege habita. Il Dialogus... è stato pubblicato a cura di L. Gualdo Rosa, in Quaderni per la storia dell'università di Padova, IV (1971), pp. 14-37.
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