leone (lione)
Alla fiera si allude in Cv IV XXV 6 vide Polinice coverto d'un cuoio di leone; anche in If XXXI 118, dove i mille leon che Anteo ‛ recò ' per preda nella fortunata valle / che fece Scipïon di gloria reda (vv. 115-116; cfr. Lucan. IV 601-602 " Antaeum... latuisse sub alta / rupe ferunt, epulas raptos habuisse leones ") sono ricordati da Virgilio per accattivarsi il gigante, lusingandone la vanità. L'immagine di Sordello, che non ci dicëa alcuna cosa, / ma lasciavane gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si posa (Pg VI 66; i commentatori ricordano Gen. 49, 9 " requiescens accubuisti ut leo ", e Scartazzini-Vandelli anche Virgilio Aen. II 287 " ille nihil, nec me quaerentem vana moratur "), fa battere l'accento sull'aspetto maestoso e solenne della belva, presentata invece nella sua ferocia quando appare a D. appena uscito dalla selva oscura, in atteggiamento aggressivo: con la test'alta e con rabbiosa fame, / sì che parea che l'aere ne tremesse (If I 45; per lʼinterpretazione allegorica, v. la voce FIERA: Le tre fiere).
Ancora alla ferocia del l., ma in contesto metaforico, si allude nel severo ammonimento a Carlo II d'Angiò nei confronti del sacrosanto segno (Pd VI 32), l'aquila simbolo dell'Impero: non l'abbatta erto Carlo novello / coi guelfi suoi, ma tema de li artigli / ch'a più alto leon trasser lo vello (v. 108), " idest lanam, sive pilum, quasi dicat, denudavit, et privavit maiores reges, sicut Iugurtham... et sicut Persem regem Macedoniae " (Benvenuto).
Come figura araldica: un l. azzurro in campo giallo è l'arme dei Gianfigliazzi, rappresentata sulla borsa appesa al collo di uno degli usurai (If XVII 60); e il grande scudo / in che soggiace il leone e soggioga, cioè " dove s'inquartano due castelli e due leoni per modo, che da una banda il leone resta sotto... dall'altra banda invece resta sopra... al castello " (Scartazzini-Vandelli; cfr. Pd XII 54) è l'arme dei re di Castiglia. Nello stesso senso, e addirittura personificato, nella forma del diminutivo (v. in Appendice la trattazione sul volgare di Dante, nel capitolo dedicato alla formazione delle parole): Le città di Lamone e di Santerno / conduce il lïoncel dal nido bianco (If XXVII 50), " reguntur et tenentur per Maghinardum de Soçevana, qui in suis insignibus deferebat leonem album " (Bambaglioli).
Un altro diminutivo è adoperato nella rievocazione del mito di Atamante, che gridò: " Tendiam le reti, sì ch'io pigli / la leonessa e ' leoncini al varco " (lf XXX 8; cfr. Ovid. Met. IV 512-514). Preso da follia per opera di Giunone, Atamante vedeva sotto forma di l. la moglie e i due figlioletti.