Leone XIII
Il papa che affrontò la questione sociale
Leone XIII fu un grande papa che sul finire dell’Ottocento si rese conto dei ritardi della Chiesa cattolica di fronte a questioni importanti come la condizione dei lavoratori (specie dell’industria), lo sviluppo capitalistico, il socialismo, il sindacalismo e la democrazia. Impresse alla Chiesa una svolta memorabile, che permise la nascita di movimenti e partiti politici ispirati al cattolicesimo
Vincenzo Gioacchino Pecci – questo era il nome di Leone XIII – nacque nel 1810 a Carpineto Romano, in una famiglia aristocratica. Studiò a Viterbo dai gesuiti e poi nel Collegio Romano e nell’Accademia degli ecclesiastici nobili. Fu ordinato sacerdote nel 1837, nominato arcivescovo nel 1843 e cardinale nel 1853. Prima del pontificato, evitò posizioni di estremismo oltranzista in una situazione di rottura di rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano causata dal processo di unificazione nazionale. Eletto papa nel 1878, raccolse la difficile eredità di Pio IX, che aveva seguito una linea di totale opposizione al liberalismo, alla democrazia e a tutte le correnti della cultura moderna.
Leone XIII si mosse secondo una direttrice di fondo assai diversa: evitare l’isolamento della Chiesa e dei cattolici e la loro chiusura in un pericoloso ghetto animato da sentimenti di anacronistica intransigenza e avviare un nuovo corso volto a favorire la presenza cattolica nella società. Per raggiungere questi obiettivi seguì una linea di riformismo graduale, segnata da prudenza e non priva di momenti di stallo. Passi di grande importanza e significato furono gli accordi presi con il cancelliere tedesco Bismarck, che misero fine alla politica anticattolica in Germania, e la spinta a indurre i cattolici francesi a riconoscere le istituzioni repubblicane.
Non ebbero invece successo le trattative condotte nel 1887 con il capo del governo Francesco Crispi per superare il contrasto con lo Stato italiano, segnato anzitutto dal persistente divieto imposto da Pio IX ai cattolici di partecipare al voto e alla vita pubblica: in questo modo la conciliazione tra Stato e Chiesa fu rinviata a data indefinita.
Nel 1891 Leone XIII emanò l’enciclica Rerum novarum che, come suggerisce il titolo, intendeva occuparsi delle novità della società moderna. Si trattò di una delle grandi svolte in tema di dottrina sociale della Chiesa. Partendo dal riconoscimento dei grandi mutamenti provocati dal capitalismo, il pontefice, mentre si schierava a favore di questo e difendeva come naturali e intangibili i diritti della proprietà privata, criticava però fortemente la concentrazione eccessiva della ricchezza in poche mani e auspicava la diffusione della piccola e media proprietà.
Decisa era la sua condanna del socialismo, del comunismo e della teoria della lotta di classe in quanto dottrine eversive dell’ordine sociale voluto da Dio. In queste egli vedeva però i segni della reazione prodotta dall’iniqua distribuzione dei beni materiali. Il giusto ordine economico e sociale veniva individuato nell’ordinamento corporativo di matrice medievale, fondato sull’unione delle associazioni delle varie categorie produttive, dagli imprenditori fino alle masse lavoratrici, aventi il fine di impedire la lotta di classe, di trovare l’accordo dei legittimi interessi delle parti e di stabilire in tal modo una durevole armonia sociale.
L’enciclica favorì nel mondo cattolico la crescita di correnti politiche e sindacali che, in contrapposizione e in concorrenza soprattutto con i socialisti, ma anche in forte tensione con le correnti retrive del cattolicesimo, volevano andare incontro alle esigenze di un rinnovamento all’insegna di una democrazia cristiana. Leone XIII morì a Roma nel 1903.