LEONI, Leone
Nacque nel 1509, ad Arezzo o nei suoi dintorni, da Giovambattista. Sono ignoti sia il nome della madre sia quello del maestro presso cui il L. si formò come scultore. Sposò Diamante Martini, dalla quale ebbe due figli, Pompeo e Cinzia (che in seguito andò in moglie all'intagliatore Giovambattista Suardi). Un certo "frate Battista", forse fratello del L., lavorò nella sua bottega nel 1551.
L'origine aretina del L., più volte contestata sulla base di un'erronea notizia di P. Morigia (La nobiltà di Milano, Milano 1595, p. 284), è accreditata non solo da Pietro Aretino, che dichiara l'artista suo parente e conterraneo, ma anche da una mallevadoria (1555) prodotta da un altro parente, fra Benedetto di S. Pier Piccolo, secondo la quale il L. sarebbe nato e cresciuto ad Arezzo (Helmstutler Di Dio, 1999, p. 651).
Nel 1536 il L., accusato di aver coniato monete false, lasciò avventurosamente la Zecca di Ferrara, dove lavorava come incisore dei coni, e riparò a Venezia presso Pietro Aretino, grazie al quale si legò a Tiziano Vecellio, a Iacopo Sansovino e al tipografo Francesco Marcolini.
Una medaglia-ritratto di Pietro Aretino è del 1536: inviandola a scopo promozionale a Giovanni Gaddi, Benedetto Varchi, Ugolino Martelli, Ercole II d'Este e persino al terribile Khair ad-dīn detto Barbarossa, il letterato segnalava più o meno esplicitamente la disponibilità dello scultore. Altri corrispondenti (Francesco Maria I Della Rovere, il principe di Salerno Ferrante Sanseverino e il suo segretario Bernardo Tasso) commissionarono in effetti al L. dei ritratti su conio andati perduti; le pressioni a che il L. venisse assunto nella Zecca estense o in quella urbinate caddero invece inascoltate.
Artista già maturo, alla fine degli anni Trenta il L. fu dunque attivo tra il Veneto (dove firmò anche la medaglia di Francesco Fermi), Camerino (dove ritrasse il futuro duca di Urbino Guidobaldo II Della Rovere in un conio non più esistente) e forse Urbino, dove avrebbe soggiornato presso la corte per realizzare una medaglia della duchessa Eleonora Gonzaga (Lettere a Pietro Aretino, I, pp. 356 s.): l'opera, oggi ignota, pare tuttavia da identificarsi con il ritratto che la medesima donò allo scrittore nel gennaio 1537 (ibid., p. 92). Pietro Aretino fornì anche le credenziali con cui il L., incidendo in concorrenza con Benvenuto Cellini il conio per una medaglia di Pietro Bembo, oggi perduta, riuscì infine a segnalarsi sullo scenario romano.
Giunto a Roma nel novembre 1537, il L. coniò una prima medaglia di Paolo III (al rovescio: "Securitas temporum"), per la quale eseguì un secondo rovescio (La dea Roma e il Tevere) nel luglio 1538. Favorito dall'incarcerazione di Cellini, che nella Vita (I, 125: ed. a cura di C. Cordié, Milano-Napoli 1960, pp. 760 s.) lo accusò di aver tentato di avvelenarlo durante la propria prigionia, il L. ottenne l'ufficio di incisore presso la Zecca (8 nov. 1538), dove l'anno seguente realizzò i piombi per le bolle e alcuni straordinari coni (tra cui i ducati e i doppi ducati d'oro, che vanno annoverati tra i capolavori della monetazione cinquecentesca).
Ma la competitività della corte romana non risparmiò nemmeno il L., che nel 1540 venne arrestato per il ferimento del gioielliere papale Pellegrino di Leuti e condannato all'amputazione della mano destra (pena poi commutata, per intercessione dei cardinali F. Archinto, D. Duranti, N. Ridolfi e G. Cesarini, in un periodo di lavoro forzato sulle galere).
Nel marzo 1541, liberato a Genova, realizzò medaglie di Andrea Doria, Carlo V (al rovescio: il Tevere) e Giannettino Doria.
Quest'ultima, menzionata nel carteggio del L. (Plon, p. 353 n. 1), è identificabile con il rovescio del tipo Toderi - Vannel (p. 43 n. 30), finora ritenuto senza fondamento un ritratto del L.; le fattezze del volto sono però identiche a quelle della placchetta con A. Doria in veste di Nettuno che placa i mari per il trionfo del nipote Giannettino, pendant di una seconda con A. Doria riverito dalla Pace e dalla Fama.
Colto l'interesse di Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, governatore di Milano, il L. passò al servizio del marchese in occasione della visita di Carlo V al capoluogo lombardo, dove stampò una nuova medaglia cesarea (al rovescio: "Pietas"). Il 2 febbr. 1542 fu nominato incisore dei coni alla Zecca milanese, dove lavorò fino al 1545 e dal 1550 almeno fino al 1571, realizzando buona parte dei coni per le monete e alcuni sigilli.
Il mecenatismo di Alfonso d'Avalos, oltre a riproporre il sodalizio tra il L., Tiziano e Pietro Aretino, introdusse lo scultore tra le personalità che animavano le attività culturali della corte (Girolamo Muzio, Luca Contile, Bernardo Spina, Giovanni Vendramini). Legami analoghi si instaurarono dal 1550 all'interno dell'Accademia dei Fenici, dove il L. strinse amicizia con Giuliano Gosellini, colto segretario del nuovo governatore Ferrante Gonzaga, e si dedicò all'organizzazione di giostre (Milano, 1559), pompe funebri (Napoli, 1572), feste carnascialesche (alle quali preludeva forse già la misteriosa "spiritata" che nel 1544 suggellò la sua amicizia con Annibal Caro) e discussioni teoriche (si ricorda in proposito il Discorso del Contile… sopra li cinque sensi del corpo… al cav. L. scultore cesareo, pubblicato a Milano nel 1552 presso Valerio e Girolamo Meda). Nello stesso ambito videro la luce alcune medaglie galanti del L., come quelle di Ippolita Gonzaga, Tarquinia Molza e Chiara Gosellini (la prima conservata, le ultime forse perdute, ma celebrate in versi). Frequentando letterati e legandosi alla Corona asburgica il L. si garantì in questi anni un'ampia fortuna, che lo collocò tra i ritrattisti più encomiati del suo tempo.
Nel 1543 incontrò per la prima volta il ministro asburgico Antoine Perrenot de Granvelle, suo futuro protettore; fuse una nuova medaglia per l'imperatore (al rovescio: "Salus publica") e ricevette da questo la commissione per un ritratto della defunta imperatrice (al rovescio: "Has habet et superat", 1549), che intagliò su conio prendendo a modello un dipinto di Tiziano. A tale scopo nel 1545 si recò a Venezia, dove effigiò in medaglie fuse i mercanti Martin, Daniele, Giovanni e Paolo de Hanna; qui realizzò un nuovo microritratto di Guidobaldo II Della Rovere (perduto), cui seguirono forse anche quelli della duchessa Giulia da Varano e dei restanti membri della famiglia (Gronau, pp. 494 s., nn. III, VI).
Nello stesso periodo lo scultore coniò una medaglia (perduta) del poeta Francesco Molza (Modena, 1545) e firmò quella di Baccio Bandinelli, con il quale va forse identificato un suo corrispondente, "scultore che il Sansovino non degna e il Buonarroti biasima" (Aretino, Le lettere, VI, p. 135).
Alla morte di Alfonso d'Avalos, dopo aver tratto per conto della vedova una maschera del defunto (1546), il L. si propose invano per l'esecuzione del sepolcro. Alla ricerca di nuovi protettori, lo stesso anno lavorò a una tazza in oro per Ferrante Gonzaga e a una celata per Pierluigi Farnese. Assunto dapprima presso la Zecca di Parma e Piacenza, nel 1547 risulta essere stato pagato anche per coni destinati alle province pontificie della Marca e della Romagna. Nello stesso anno però l'assassinio di Pierluigi Farnese riavvicinò definitivamente il L. a Ferrante Gonzaga, che gli commissionò una statua equestre bronzea dell'imperatore Carlo V. A tal fine, nel 1548, il L. fu inviato alla corte cesarea di Bruxelles al seguito del principe Filippo d'Asburgo.
In tale occasione lo scultore, già affiancato dal figlio Pompeo, realizzò in argento dorato un modello di Piacenza che venne donato all'infante, e ritrasse quest'ultimo in medaglia durante il viaggio. Anche a Bruxelles diede buona prova di sé portando a termine una nuova medaglia di Carlo V (al rovescio: "Discite iustitiam moniti") e alcune teste in creta da cui trarre ritratti dell'imperatore e di altri membri della sua famiglia. Un viaggio a Parigi permise all'artista di concordare con Francesco Primaticcio la concessione di alcune forme per calchi tratte dalle principali antichità di Roma, alle quali era interessata Maria d'Asburgo, regina vedova di Ungheria e governatrice dei Paesi Bassi.
Nel novembre 1549 un diploma cesareo riconobbe al L. il titolo di eques auratus, la condizione di familiaris e una provvisione di 150 ducati annui come scultore dell'imperatore; l'artista mantenne inoltre la propria posizione presso la Zecca milanese e ottenne dal Senato un'abitazione a Milano (1550), mentre Arezzo gli concedeva la cittadinanza onoraria (1555).
Se i lavori per il monumento equestre milanese vennero accantonati poco dopo il 1550 (quando Contile celebrò ancora lo studio con cui il L. attendeva a non "lasciarsi superare da l'Antonin il Pio", cioè il Marco Aurelio del Campidoglio di Roma: Lettere a Pietro Aretino, II, p. 274), già nel corso del 1549 Carlo V commissionò al L. quattro ritratti di marmo e altrettanti di bronzo, destinati probabilmente ai propri appartamenti.
Mentre un ritratto ovato della defunta imperatrice Isabella di Portogallo è andato perduto, le altre opere di questo gruppo, conservate al Museo del Prado di Madrid, sono identificabili con la statua in bronzo dell'Imperatore (fusa nel 1551 con un'armatura smontabile e l'aggiunta del Furore sottomesso), il suo busto di marmo (compiuto entro il 1553), quello di bronzo (fuso tra il 1553 e il 1555), i due bassorilievi marmorei con le figure affrontate della coppia imperiale, la statua bronzea dell'Imperatrice e una statua marmorea (Arch. di Stato di Milano, Registri delle Cancellerie dello Stato, s. XXII, b. 9, c. 31v), probabilmente quella dello stesso Carlo, sbozzata nel 1553. A esse si aggiungono dopo il 1554, forse per iniziativa dello scultore, due blocchi marmorei da cui trarre una statua e un busto d'Isabella; essi (Madrid, Museo del Prado) saranno però scolpiti dal figlio Pompeo, che ricaverà dal secondo un ritratto di Maria d'Ungheria.
Nel 1549 Maria d'Ungheria allogò al L. la fusione di alcune statue bronzee le cui teste furono plasmate dallo scultore a Bruxelles nello stesso anno (Carlo V, Eleonora, Maria e Filippo d'Asburgo) e ad Augusta nel 1551 (Ferdinando e Massimiliano d'Asburgo). Dell'intera serie non verranno però compiute che la terza (1553) e la quarta statua (fusa entro il 1556).
Le opere che il L. modellò e abbozzò per i due Asburgo lasciarono l'Italia incompiute nel 1556, con l'intesa che Pompeo le avrebbe portate a termine a Madrid, dove sono oggi conservate al Museo del Prado. Le parti attribuibili al primo rivelano un'ampia e sedimentata cultura figurativa: nei quadri marmorei la ricca cornice rinvia molto da vicino alle decorazioni periniane visibili a Roma e nella Piacenza farnesiana (Napoli, Museo di Capodimonte, Cassetta Farnese); e se il nudo asciutto del Carlo V che trionfa sul Furore ricorda alcune statuette venete (per esempio l'Ercole di Francesco da Sant'Agata alla Wallace Collection di Londra), i panneggi della Maria d'Ungheria e l'attitudine del Filippo II rivelano anche forti debiti rispetto alla plastica di Iacopo Sansovino.
Nel 1551 il L., recatosi ad Augusta presso la corte imperiale, fece dono all'imperatore di un cammeo con Carlo, Filippo e Isabella d'Asburgo (New York, Metropolitan Museum) e ritrasse in medaglia monsignor de Granvelle, Ferdinando e Massimiliano d'Austria.
Per il prelato avrebbe fuso inoltre, negli anni seguenti, numerose medaglie e alcune effigi asburgiche in bronzo (un ritratto ovato di Carlo V e i busti di Carlo V e di Maria d'Ungheria sono al Kunsthistorisches Museum di Vienna, ma una replica del primo si conserva anche al Louvre).
Morti Carlo V e Maria d'Ungheria nel 1558 e Ferrante Gonzaga (ritratto in medaglia nel 1556) nel 1557, il L., che vide la propria provvisione raddoppiata a 300 scudi annui (1556), prese a lavorare soprattutto a Milano, riuscendo a declinare un'imminente quanto sgradita convocazione alla corte spagnola.
Nel 1559 ferì Orazio Vecellio, figlio di Tiziano; ma neppure quest'episodio criminoso riuscì ad arrestare il nuovo corso della carriera dello scultore, che non incorse in serie conseguenze penali. I nuovi committenti del L. furono personalità già legate alla corte di Carlo V e ai suoi modelli ritrattistici, come il generale Giovambattista Castaldo (per il quale il L. scolpì un busto oggi conservato a Nocera dei Pagani in S. Maria al Monte) e Alfonso Álvarez de Toledo terzo duca d'Alba, che il primo marzo 1558 fece pagare il L. per tre busti bronzei raffiguranti Carlo V, Filippo II e lo stesso Duca d'Alba (Londra, Buckingham Palace).
Un monumento celebrativo a Ferrante Gonzaga (Guastalla, piazza Mazzini), commissionato dal figlio Cesare (1560), venne messo in opera solo nel 1594. La statua (1564-65) ritrae il generale nei panni di Ercole a riposo che trionfa sull'Idra e su di un satiro. Il L. allestì inoltre gli apparati per le nozze tra il duca Guglielmo Gonzaga ed Eleonora d'Austria (1561) e sbalzò per il medesimo due perduti busti-reliquario in argento dorato (Ss. Silvestro e Adriano del 1568-69), destinati alla chiesa mantovana di S. Barbara.
Convocato a Roma, il L. si impegnò a eseguire una tomba parietale per Giangiacomo e Gabriele de' Medici di Marignano (1560-63: Milano, duomo), fratelli di Pio IV (del quale firmò anche una medaglia).
Il monumento gli fu affidato su proposta di Michelangelo, che contribuì a definire l'"ordine" della sepoltura. Il L. ricambiò ritraendo il fiorentino in medaglia (1561): divenne così suo corrispondente e collezionista di sue opere (disegni, manoscritti e un Ercole e Anteo in cera).
Tra Roma e Firenze (dove assistette al concorso per il Nettuno destinato a piazza della Signoria) il L. raccolse calchi di statue antiche e michelangiolesche per la sua residenza milanese, che tra il 1562 e il 1566 venne ampliata, restaurata e ridecorata (i Prigioni in stucco della facciata, detti "omenoni", sono di Antonio Abbondio da Ascona).
La raccolta d'arte del palazzo, visitata da Francesco Salviati (1555) e da Giorgio Vasari (1566), comprendeva almeno un cavallo "di rilievo di plastica" di Leonardo da Vinci, un ritratto tizianesco del L. e la Io (Vienna, Kunsthistorisches Museum) e la Danae (Roma, Galleria Borghese) del Correggio (Lomazzo, 1584, pp. 155, 187); rimane incerta la data di acquisizione di altre importanti opere d'arte spesso ascritte alla collezione del L., ma inventariate solo alla morte del figlio Pompeo (1609).
Con il figlio il L. collaborò dal 1580 alla fusione delle statue e degli elementi architettonici in bronzo per il retablo di S. Lorenzo El Real (El Escorial), concentrandosi soprattutto sulle figure dei Ss. Luca, Marco, Gregorio, Agostino (modellate a Milano entro il 1581) e forse sul S. Ambrogio. Una commissione concomitante per tre figure in bronzo raffiguranti i ss. Ambrogio, Gervasio e Protasio e destinate alla porta del palazzo arcivescovile di Milano venne abbandonata nel 1582. Forse tra il 1574 e il 1577, il L. fuse una statua in bronzo di Vespasiano Gonzaga Colonna, che venne eretta nel 1588 di fronte al palazzo ducale di Sabbioneta (oggi si trova nella locale chiesa dell'Incoronata).
Il L. morì a Milano il 22 luglio 1590.
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