LEONE d'Assisi (Leone da Viterbo)
Nacque intorno all'ultimo decennio del secolo XII. Le fonti sono in larga parte concordi nell'indicare L. originario di Assisi.
Potrebbe però trattarsi della patria di adozione se si dà credito a un'altra tradizione - attestata dalla Chronologia magna di Paolino di Venezia e dal Tractatus de indulgentia di Francesco di Bartolo d'Assisi - che colloca il luogo di origine a Viterbo o nel suo contado; non sono noti i nomi dei genitori. Tali carenze sono dovute al fatto che i pochi dati biografici di cui siamo a conoscenza sono tutti posteriori al suo incontro con Francesco d'Assisi, essendo narrati in larga parte all'interno del corposo dossier agiografico del santo.
L'ingresso di L. nella fraternitas fu successivo al riconoscimento della forma vitae concesso a Francesco da papa Innocenzo III nel 1209 ed è forse da collocare intorno al 1215 quando, come scrive Tommaso da Celano nella Vita prima beati Francisci, trenta uomini, tra clerici e laici, vestirono l'abito della nuova religio, attratti dalla predicazione dei primi compagni. A tale periodo si è fatta risalire anche la sua ordinazione sacerdotale, basandosi su un racconto contenuto nel Liber exemplorum fratrum minorum, in cui Francesco, rimproverando L. per la sua abitudine a prolungare la celebrazione della messa, lo chiama "novus sacerdos".
Ricordato come uomo dotato delle virtù dell'umiltà, della semplicità e della purezza, L. fu il frate che più di ogni altro restò vicino a Francesco: ne divenne infatti il compagno inseparabile a partire dal 1221 e, soprattutto, dopo la primavera del 1223 quando lo accompagnò a Fonte Colombo per redigere la nuova regula della fraternitas, confermata con lettera pontificia da papa Onorio III. Ebbe anche il privilegio di essere il confessore e il secretarius di Francesco.
È stato evidenziato come quest'ultimo termine sia da intendersi nel significato originario di custode dei segreti anche se L., litteratus e conoscitore del latino, ricoprì certamente il ruolo di amanuense, attività documentata tra l'altro dal celebre brano De vera et perfecta laetitia in cui Francesco intercala il racconto con l'esortazione: "Scrivi frate Leone".
Ma la testimonianza più genuina del vincolo che legava i due socii è rappresentata dal biglietto autografo, conservato nell'Archivio della cattedrale di Spoleto (Epistola sancti Francisci, cfr. Bartoli Langeli, pp. 42-56), in cui Francesco scrive a L., che era inquieto per un precedente colloquio e desideroso di tornare dal suo maestro spirituale per un consiglio, premettendo che si rivolge a lui come una madre a un figlio: alla fermezza della prima parte fa da controaltare il ripensamento finale di Francesco che accondiscende alle sue richieste di conforto e lo invita, nel caso lo ritenesse necessario, a raggiungerlo.
È probabile che L. abbia custodito gelosamente come oggetto di devozione il foglietto di pergamena insieme con un'altra chartula autografa di Francesco, vergata tra l'agosto e il settembre del 1224 sul monte della Verna, nei pressi di Arezzo, dove si era recato con alcuni compagni per compiere una quaresima in onore della Vergine e di s. Michele Arcangelo.
Si tratta di una pergamena che riporta due scritti autografi di Francesco, da un lato le Laudes Dei altissimi e dall'altro la Benedictio fratri Leoni, con alcune annotazioni scritte in inchiostro rosso, di proprio pugno, da L., nelle quali sono spiegate le circostanze che portarono alla stesura delle laude, composte "post visionem et allocutionem seraphym et impressionem stigmatum Christi in corpore suo" (Assisi, Sacro Convento, sala delle reliquie, Chartula sancti Francisci, cfr. Bartoli Langeli, pp. 42-56). È stato ipotizzato che L. avesse scritto tale memoria con l'intento di "certificare" la reliquia nel momento in cui decise di farne un oggetto di venerazione pubblica, inserendola in un lascito di ricordi appartenuti al fondatore. Essa è stata infatti posta in relazione con un altro autografo di L., scritto sul verso della carta di guardia del cosiddetto "breviario di s. Francesco" e datato tra il 1257 e il 1260 (Assisi, S. Chiara, cappella del Crocifisso, Breviario di s. Francesco, cfr. Bartoli Langeli, pp. 82-89), nel quale il frate, dopo aver attestato che il manoscritto era di proprietà di Francesco e dei socii Angelo e L., supplica Benedetta, badessa del monastero di S. Chiara in Assisi, di custodirlo e di tramandarlo alle generazioni future.
Dopo la morte di Francesco, avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 ott. 1226, L. privilegiò la vita eremitica soggiornando in romitori come la Porziuncola o S. Damiano o, fuori Assisi, a Greccio, alla Verna e a Monteripido, mantenendo vivo il ricordo dell'amico defunto fra quanti lo andavano a trovare per interrogarlo sulla vita e sulle parole del santo.
Abbiamo numerose testimonianze in tal senso, in particolare tra coloro che, come gli spirituali, aspiravano a un ritorno alla regola primitiva in polemica con il cammino intrapreso dall'Ordine. L'occasione di incidere più direttamente sulla costruzione dell'immagine di Francesco che si andava in quegli anni faticosamente elaborando, e dunque sull'identità stessa dell'Ordine, giunse per L. nel 1244 quando, durante il capitolo di Genova, il nuovo generale dell'Ordine Crescenzio da Jesi chiese a tutti i frati che avevano conosciuto il fondatore di far pervenire notizie sulla sua vita e sui suoi miracoli.
Siamo a conoscenza di questo appello dalla lettera che L. e i due compagni Angelo e Rufino inviarono da Greccio nel 1246, nella quale si fa riferimento a un florilegio da loro composto e inviato insieme con l'epistola, per fornire materiale alla nuova vita del santo, che Tommaso da Celano si stava apprestando a comporre. Gli studiosi hanno a lungo dibattuto sull'esistenza e sull'identità di tale florilegio: sembra da escludersi infatti la sua identificazione sia con la cosiddetta Legenda trium sociorum, che nella tradizione manoscritta accompagna la lettera dei tre compagni, sia con il De inceptione, il cosiddetto "anonimo perugino", attribuito a Giovanni, compagno di Egidio, che lo avrebbe composto intorno al 1240.
Le notizie sull'ultima parte della vita di L. sono scarse e legate soprattutto alla figura di Chiara d'Assisi alla cui morte l'11 ag. 1253 egli assistette insieme con i due compagni Ginepro e Angelo. L. compare anche negli atti del processo per la canonizzazione della futura santa - istruito da Innocenzo IV il 18 ottobre di quell'anno - in qualità di testimone del primo interrogatorio del vescovo di Spoleto Bartolomeo.
Si discute se la Forma vite Ordinis sororum pauperum e il Testamentum della santa (Messina, monastero di Montevergine, cfr. Bartoli Langeli, pp. 104-130) siano anch'essi autografi di L.: un'ipotesi suggestiva che fornirebbe un'ulteriore testimonianza di quel legame che lo unì a Chiara e alle damianite. A ciò si aggiunga che alcuni rotuli scritti da L. concernenti la vita di Francesco - non necessariamente coincidenti con il florilegio dei tre compagni - si sarebbero dovuti trovare presso il monastero di S. Chiara, forse donati insieme con le reliquie francescane nel 1257-60 o più tardi nel 1266 per sottrarli alla distruzione di tutte le biografie di Francesco precedenti a quella bonaventuriana, ordinata dal capitolo generale di Parigi. Di essi dà notizia infatti Ubertino da Casale nel suo Arbor vitae del 1305, che ne registra con dolore la perdita. Successivamente lo stesso Ubertino nella Declaratio del 1311 annuncia il ritrovamento dei rotuli e accenna all'esistenza di un libro di mano dello stesso L., conservato "in armario fratrum de Assisio".
Gli scritti leonini furono recuperati e diffusi grazie soprattutto all'interesse che rivestivano per la corrente degli spirituali, i quali vedevano in L. il depositario della più autentica immagine del santo e nelle sue memorie la possibilità di delineare un'agiografia alternativa a quella ufficiale dell'Ordine. A essi aveva già fatto riferimento Pietro di Giovanni Olivi nella Expositio super regulam fratrum minorum, databile intorno al 1288, e furono utilizzati e citati, dopo Ubertino, anche da Angelo Clareno nella sua Expositio regulae, il quale giunge a collocare L. nel novero dei biografi di Francesco. Si suppone inoltre che larga parte dei verba di L. siano confluiti nella Compilatio Assisiensis, prodotta fra il 1310 e il 1312 nel Sacro Convento e nello Speculum perfectionis, databile intorno al 1318.
L. non fu solo l'infaticabile custode della memoria di Francesco ma, sopravvissuto a quasi tutti i socii, volle anche preservare il ricordo dei frati che più gli erano stati vicini. Nella Chronica di Salimbene (Ognibene) de Adam si fa menzione di una leggenda di Egidio (morto nel 1262) composta da L., che la critica suole identificare con la Vita beati fratris Aegidii (o Vita I; cfr. ed. Brooke, pp. 308-317), scritta con l'intento di esaltare lo stile di vita della fraternitas delle origini. A ciò si aggiunga che nel calendario di un breviario conservato nel Sacro Convento di Assisi (Biblioteca del Sacro Convento, Mss., 261) sono state individuate due scritture autografe di L. in corrispondenza dell'11 marzo e del 13 novembre, in cui il frate annota rispettivamente la morte di Angelo e di Rufino in funzione di una commemorazione liturgica. Sempre in corrispondenza del 13 novembre un'altra mano ha ricordato la morte dello stesso L. sottolineando che essa è avvenuta nel medesimo giorno, ventidue anni dopo la morte di Rufino; l'anonimo frate indica anche l'anno: "Mo.CCo.LXX […]" in cui però l'ultima cifra risulta mancante. La Chronica viginti quattuor generalium Ordinis minorum segnala come data di morte il 1271, ma non tutti considerano tale indicazione attendibile; restringe comunque il campo delle ipotesi la supposizione che Rufino fosse già morto nel 1253 non figurando fra i testimoni del processo per la canonizzazione di Chiara d'Assisi. La morte di L. dovette avvenire nei primi degli anni Settanta del XIII secolo.
Il corpo di L. fu sepolto in Assisi nel transetto sinistro della chiesa inferiore della basilica di S. Francesco insieme con quelli di Rufino, Masseo e Angelo. Dal 1932 le sue ossa e quelle dei compagni sono collocate in quattro nicchie poste sulle pareti della cella centrale della cripta di S. Francesco (Faloci Pulignani; Gatti).
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Maria degli Angeli-Assisi 1995 (in cui sono presenti brani relativi a L. all'interno degli scritti di Francesco e Chiara d'Assisi e nelle opere agiografiche loro dedicate, cfr. in particolare: Tommaso da Celano, Vita prima sancti Francisci, pp. 337, 379; Id., Vita secunda beati Francisci, pp. 490 s., 631 s.; Bonavenura da Bagnoregio, Legenda maior…, pp. 875 s.; Id., Legenda minor sancti Francisci, p. 990; Bernardo de Bessa, Liber de laudibus beati Francisci, p. 1255; Compilatio Assisiensis, pp. 1475-1477, 1495 s., 1500; Speculum perfectionis, pp. 1849, 1923, 1989, 2049-2051; Actus beati Francisci et sociorum eius, pp. 2099-2109, 2165-2167, 2204 s.; Legenda sanctae Clarae Assisiensis, p. 2440; Il processo di canonizzazione di s. Chiara d'Assisi, p. 2457); Le carte duecentesche del Sacro Convento di Assisi (Istrumenti, 1168-1300), a cura di A. Bartoli Langeli, Padova 1997, p. 83; Angelus Clarenus, Liber chronicarum sive Tribulationum Ordinis minorum, a cura di G. 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