LEONARDI, Leoncillo
Nacque a Spoleto il 18 nov. 1915 da Fernando, professore di disegno e poeta dialettale, e da Giuseppina Magni, ultimo di tre figli, dopo Chiara e Lionello.
Il nonno paterno era liutaio, quello materno ebanista; e questo esempio di attitudine quotidiana al lavoro artigiano certamente influì sulla formazione del L., che fu sempre interessato alle arti applicate. Come orfano di impiegato statale il L. concluse gli studi elementari presso un convitto, iscrivendosi quindi nel 1926 all'istituto tecnico G. Spagna, dove un tempo aveva insegnato il padre. A seguito di una bocciatura scolastica, nell'estate del 1930 trascorse appartato alcuni mesi, durante i quali cominciò a modellare la creta: gli esiti incoraggianti e i primi rudimenti impartitigli dallo scultore calabrese Domenico Umberto Diano lo spinsero a iscriversi nel 1931 all'istituto d'arte di Perugia, che frequentò fino al 1935. Quell'anno raggiunse a Roma il fratello maggiore Lionello, il quale, allontanato dalle scuole pubbliche in quanto antifascista, insegnava lettere presso un istituto religioso, il collegio S. Maria; nella stessa scuola il L. insegnò disegno fino al 1939, mentre frequentava i corsi di scultura di A. Zanelli all'Accademia di belle arti. Risalgono a questi anni giovanili i primi disegni noti dell'artista, caratterizzati da un segno forte e costruttivo, i quali da subito furono intesi dal L. come un campo di espressione artistica autonoma.
Nel 1936 il L. entrò in contatto con la galleria La Cometa, diretta dal poeta L. De Libero - amico del fratello Lionello - e luogo di incontro degli artisti più giovani e meno compromessi con l'arte di regime: Mario Mafai e Antonietta Raphael, Corrado Cagli, Mirko e Afro Basaldella, Pericle Fazzini, Marino Mazzacurati. Il L. trasse profonda ispirazione dal contatto con quella che fu definita la scuola romana; ma per alcuni anni, dato anche il suo carattere schivo e taciturno, operò isolato nel suo studio. Nel 1937 espose a Perugia, alla VI Mostra sindacale fascista dell'Umbria due bassorilievi monocromi ispirati a Fedro: Il cervo e i cani e Il nibbio e le colombe (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna).
Nel 1939 il L. lasciò Roma, trasferendosi a Umbertide, in Umbria, dove il 9 luglio sposò Maria Zampa, sua compagna all'istituto d'arte, dalla quale ebbe due figli: Daniella e Leonetto. A Umbertide entrò in contatto con la fabbrica di ceramiche di proprietà di Settimio Rometti, che era stata guidata alcuni anni prima da Cagli. Qui perfezionò le sue conoscenze tecniche sui materiali ceramici e sulle cotture e stabilì un rapporto di scambio con Rometti, ceramista a sua volta, presso i cui forni il L. diede luogo a una produzione di sculture di dimensioni notevoli: l'Arpia, l'Ermafrodito (entrambe ibid.) e la Sirena (collezione privata: L., 1995, fig. 2), conosciute nell'insieme come i Mostri; il S. Sebastiano (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna); e ancora i Suonatori e le Quattro stagioni (entrambe in collezione privata: ibid., figg. 1, 3).
Si tratta di terrecotte policrome invetriate, modellate dall'interno per ottenere volumi gonfi, dall'apparenza molle, cui gli smalti conferiscono bagliori improvvisi che accendono la cromia di sapiente tonalismo. Se nella tecnica esecutiva a cera cava il L. si accostava a M. Basaldella, nei soggetti onirici o mitologici egli palesa un debito con la pittura di Scipione (G. Bonichi), come rivelano l'Arpia e la Sirena, desunte chiaramente da La cortigiana romana e dal Risveglio della bionda sirena. L'Arpia, che a lungo appartenne a C. Brandi, è creatura metamorfica: essa ha le sembianze di signora borghese dalla folta chioma bruna, il capo riverso e lo sguardo bistrato e obliquo, su un corpo grifagno dalle unghie laccate, dettaglio che accresce l'effetto di apparizione orrorifica.
Nel 1940, su invito di Giò Ponti, partecipò alla VII Triennale di Milano, dividendo la sala con S. Fancello: il L. espose - aggiudicandosi la medaglia d'oro per le arti applicate - l'Ermafrodito e le Quattro stagioni, ironici busti dai colori vivaci, che echeggiano le porcellane neoclassiche, rivissute in tono popolare, secondo un estro malinconico e vagamente surrealista. Sul finire del 1941, dopo avere evitato la frequenza del corso per allievi ufficiali all'atto della chiamata alle armi, pubblicò a Milano una raccolta di brevi componimenti poetici, il Bestiario (in Orfei), in edizione numerata e illustrata da litografie di F. Clerici. In essi il L. riprese i temi dei primi bassorilievi, con un verseggiare cadenzato da asindeti, che creano un'atmosfera rarefatta e vaga, ove aleggia un pensiero di morte.
Nel 1942, separandosi dai familiari, il L. fece ritorno a Roma, dove fu incaricato della docenza di plastica ceramica all'istituto statale d'arte (insegnamento che tenne sino al 1952, avendo tra i colleghi Afro, E. Colla, Fazzini). Nell'estate dell'anno successivo presentò la serie dei Mostri nell'ambito di un'esposizione collettiva di giovani artisti (tra i quali T. Scialoja, D. Purificato, G. Turcato e E. Vedova) presso la galleria La Cometa di Roma, ricevendo critiche lusinghiere.
Convinto antifascista, il L. si avvicinò dapprima alle organizzazioni partigiane romane, poi si affiliò alla brigata "Innamorati", attiva in Umbria. Furono questi anni importanti per l'artista e di profonda riflessione: aderendo al Partito comunista italiano, nell'Italia lacerata dalla guerra, il L. fu coinvolto profondamente nella problematica del realismo in arte, realizzando nel 1944 la Madre romana uccisa dai tedeschi, che si aggiudicò il primo premio alla mostra L'arte contro la barbarie alla Galleria di Roma: una donna gravida giace, colpita a morte, le membra scomposte. Lo scultore modella a memoria una scena di quotidiano orrore di guerra, la riveste di colori lividi, violacei, e richiama, con pietà laica, alla realtà di un'umanità offesa.
Dal dicembre 1944 avviò una collaborazione, durata alcuni mesi, con il periodico romano La Settimana, che ospitò suoi disegni e soprattutto alcuni ritratti di intellettuali; successivamente fu Mercurio ad accoglierne il segno deciso. Il L. fu grande ritrattista anche nel modellato, come testimoniano l'Autoritratto e Donata (rispettivamente 1942 e 1944, in collezione privata: L., 1995, figg. 6, 9), quest'ultima, opera di singolare bellezza e di lucida introspezione, che affida a superfici mosse di sapore medardiano il senso di caducità, di effimera durata di uno sguardo, di un sentimento.
Nell'immediato dopoguerra il L. partecipò a numerose esposizioni collettive, presentando sia sculture del passato sia i più recenti oggetti d'arte applicata, realizzati nel tentativo - condiviso da molti artisti della sua generazione - di rivitalizzare la tradizione artigianale italiana (per un regesto completo si veda G. Appella, Vita, opere, fortuna critica, in L., 2002). Dopo aver sottoscritto a Venezia nel 1946 il manifesto della Nuova Secessione artistica italiana, divenuto l'anno seguente Fronte nuovo delle arti, l'attività artistica del L. fu correlata per alcuni anni alle vicende del gruppo, con il quale - sostenuto da G. Marchiori - egli espose alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1950. Nel 1947 ottenne uno studio all'interno di villa Massimo, a Roma, già sede dell'Accademia germanica, accanto a Mazzacurati, R. Guttuso ed E. Greco: il L. vi risiedette sino al 1956, quando la villa fu restituita al governo tedesco.
Data al 1949 la sua prima personale, alla galleria Il fiore di Firenze, presentata da R. Longhi. Vi furono esposte oltre venti opere, tutte del dopoguerra, quasi a siglare una cesura con il proprio passato.
La produzione del decennio 1946-56 si caratterizza per il gusto neocubista di derivazione picassiana, con plastiche in cui gli aggetti e le rientranze sono sottolineati da smalti in toni a netto contrasto, volti a comporre immagini che si risolvono in superficie alla ricerca di una luce che provenga dall'interno della materia e che sia costitutiva di essa.
Artista militante, il L. si produsse in temi sociali, rappresentando la silenziosa dignità degli umili: Dattilografa e Iminatori (rispettivamente 1949 e 1952: Faenza, Museo internazionale delle ceramiche) documentano questa attenzione. Negli stessi anni andava approfondendo anche il tema della natura morta - genere poco esperito dagli scultori - riallacciandosi alla lezione di U. Boccioni, alla luce altresì di una rivalutazione del portato culturale di P. Cézanne. Nacquero così testi come Sedia, cappotto e cappello (1950: un esemplare di dimensioni ridotte a Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), opera molto amata dallo scultore che la presentò per due volte alla Biennale di Venezia, nel 1950 e nel 1954, quando gli fu dedicata una sala insieme con L. Fontana.
Sulla via dell'astrazione, il blocco della sedia e degli oggetti appoggiati su di essa, generati dal colore intenso che li campisce, viene smaterializzato in espansioni, secondo plurime direzioni. È il segno di una crisi che maturerà negli anni seguenti e che condurrà il L. all'arte non figurativa (Barilli, p. 279). Tra le opere presenti alla Biennale del 1954 anche Bombardamento notturno, acquisito per le collezioni dello Stato destinate alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
I primi anni Cinquanta furono estremamente operosi e prodighi di riconoscimenti: partecipò a numerose mostre collettive internazionali, talune itineranti, come Italy at work (New York, 1950), Italienische Kunst der Gegenwart (Monaco di Baviera, 1950), Nutida Italiensk Konst (Il Novecento italiano: Stoccolma, 1953); fu inoltre presente alla II Biennale della scultura di Anversa; in Italia fece parte ed espose insieme con il gruppo denominato Art Club. Nel 1951 vinse il primo premio per una scultura da giardino alla II Mostra nazionale della ceramica; nel 1953 ottenne il premio acquisto alla I Mostra d'arte di Spoleto, per molti anni presieduta dal fratello Lionello, e nel 1954 vinse il primo premio al XII Concorso nazionale della ceramica di Faenza per I minatori (L., 2002).
Il L. visse con partecipazione e disagio il contrasto che animò la comunità artistica italiana, schierata su opposti fronti a sostegno delle ragioni dell'arte astratta e di quelle del realismo figurativo; proponendo una sintesi tra le due posizioni, scrisse Sulla via del realismo. Il terreno di mezzo, apparso nel Contemporaneo di Roma l'11 dic. 1954, che si conclude con una dichiarazione di poetica: "Non terza via dunque perché la ricerca della realtà appare oggi come l'unica strada aperta all'arte italiana. Realtà come contemporaneità della tematica e del linguaggio, e ciò che credo più importante, realtà come rapporto critico col mondo che ci circonda". È in quest'ottica di impegno civile e di riflessione sull'eredità della guerra che il L. realizzò due grandi opere celebrative: La partigiana veneta (Venezia, 1957), distrutta nel 1961 da un attentato dinamitardo, e il Monumento ai caduti di tutte le guerre di Albissola Marina, in Liguria (1958: in situ).
Commissionata nel 1954 dall'Istituto per la storia della Resistenza nelle Tre Venezie per commemorare il contributo delle donne partigiane alla Liberazione, La partigiana veneta fu concepita come un monumento antiretorico, che doveva totalmente integrarsi - senza condizionarli - con gli spazi aperti che lo avrebbero ospitato. L'opera raffigurava, in stile ancora postcubista, una donna che avanza, fucile alla mano e fazzoletto rosso al collo, tra i cespugli. Il monumento si presentava come un complesso di corpi geometrici vivacemente colorati, i quali, riflettendo differentemente la luce, imprimevano dinamismo all'opera.
Il monumento di Albissola Marina, aggiudicato tramite un concorso nazionale nel 1955, presenta sul lungomare della cittadina un blocco di cemento graffiato, sul quale si aggrappano due bassorilievi compositi: verso il mare, i sopravvissuti in ceramica brillante; nel lato in ombra, i caduti, i cui toni freddi e opachi confermano la dimensione spettrale. Il monumento di Albissola costituì per il L. una prova difficile, dalla quale trasse la consapevolezza dell'urgenza di un cambiamento etico prima che politico o artistico; intanto il 10 genn. 1957 aveva dato le dimissioni dal partito comunista a seguito dei fatti di Ungheria e come atto di solidarietà verso il senatore E. Reale, espulso in quanto manifestamente contrario alla linea filosovietica togliattiana. Sulla stessa posizione si attestarono, oltre al L., V. Crisafulli, N. Sapegno, D. Purificato, G. Trombatore, C. Longo.
Nel marzo 1957 si tenne una personale alla galleria La Tartaruga di Roma; nell'autopresentazione in catalogo il L. dichiarava conclusa la propria esperienza nell'ambito del realismo di ispirazione socialista. Le opere presentate, di piccole dimensioni, erano appunti su temi naturali - Cespuglio, Tralcio (L., 1990, nn. 14 e 15) - analizzati secondo tre aspetti: il sentimento dell'artista, la morfologia e la struttura del dato naturale, la luce della materia. Politicamente isolato dopo l'abbandono del partito, il L. ottenne stroncature (Micacchi; Del Guercio, 1957) ed elogi dalla critica più influente e autonoma nel giudizio.
Sempre nel 1957 il L., con fatica, concluse un pannello decorativo sul tema del lavoro per l'atrio della sede dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale a Ferrara; a Roma, invece, eseguì una fontana per un complesso abitativo INA Casa a S. Lucia.
Gli esiti artistici della profonda crisi del L. furono proposti alla galleria romana L'Attico, guidata da B. Sargentini, nell'autunno 1958 e furono presentati da F. Arcangeli. È questo l'inizio di un connubio tra il L. e Sargentini che durò sino alla morte dell'artista. Espose una serie di opere non figurative di grande dimensione, dai suggestivi titoli letterari Cuore rosso, Giorni d'estate, Ore d'insonnia, conservate tutte in collezione privata (L., 2002, figg. 25, 31, 33).
Intrapresa la strada dell'arte non figurativa, in seguito il L. condusse una vita dedita alla ricerca e alla sperimentazione; i dati biografici relativi a questo periodo coincidono prevalentemente con la partecipazione a concorsi, mostre e rassegne d'arte (L., 2002, pp. 156-174). Nel 1959 partecipò alla VIII Quadriennale di Roma, nell'ambito della retrospettiva sulla scuola romana, ripresentando l'Arpia e l'Ermafrodito; quello stesso anno vinse il primo premio alla II Mostra nazionale della ceramica e dei lavori in metallo di Gubbio, con Incontro nella miniera, dove rielaborava il tema dei Minatori. In questi anni intensi, il cui percorso è chiarito dalle annotazioni e dalle riflessioni contenute nel Piccolo diario, più volte il L. tornò sulle tematiche giovanili - è il caso del S. Sebastiano - ripensandole in senso aniconico. Nel 1960 E. Crispolti lo presentò alla galleria Blu a Milano, dove il L., oltre ad alcune sculture già in mostra all'Attico, espose una serie di Tagli e Fratture (cfr. L., 2002).
Si tratta di conglomerati verticali di grès o terracotta, sui quali l'artista opera delle resezioni, le quali, come scavi archeologici o carotaggi del terreno, rivelano aspetti reconditi della materia: le crepe di cottura, i grumi e le sedimentazioni, gli assestamenti. La scultura diventa racconto di sé stessa, per il tramite del gesto che la compie e del calore che l'attraversa. Non materia bruta, ma artificio, che ripercorre i modi della natura.
Il L. fu presente alla XXX Biennale di Venezia nel 1960 con la produzione recente; quindi nel 1961 partecipò a numerose esposizioni internazionali. È del 1962 una nuova, importante mostra personale alla galleria L'Attico. Nel 1967 realizzò, in collaborazione con l'architetto L. Ricci, un pannello decorativo per l'Esposizione universale di Montreal; lo stesso anno vinse il concorso per un monumento per il palazzo della Ragione a Trento (non realizzato). Dal 1966 alla morte il L. fece parte del comitato redazionale di Qui arte contemporanea con Colla, G. Capogrossi e altri.
Nel 1968, presente con una sala personale alla Biennale di Venezia, in cui aveva allestito opere dell'ultimo decennio, velò le sue sculture con dei teli di plastica in segno di adesione alle proteste dei giovani artisti.
Il L. morì a Roma il 3 sett. 1968.
A un anno dalla morte la città di Spoleto gli tributò la prima ampia retrospettiva, in occasione della quale fu pubblicato il Piccolo diario, che raccoglieva le note dal 1957 al 1964. Presso l'Archivio Leoncillo Leonardi a Spoleto, si conserva, tuttora inedito, un quaderno di appunti degli ultimi anni dell'artista.
Fonti e Bibl.: D. [Micacchi], L. alla Tartaruga, in L'Unità, 15 marzo 1957; A. Del Guercio, L'anno zero, in Il Contemporaneo, 31 marzo 1957; S. Branzi, Realtà di ieri e di oggi nella "Partigiana" di L., in Il Gazzettino, 25 sett. 1957; F. Arcangeli, L. (catal., galleria L'Attico), Roma 1958; G.C. Argan, Senza timore del pathos, in L'Architettura, IV (1958), pp. 478-480; B. Zevi, Due statue per gli eroi, in L'Espresso, 23 febbr. 1958; A. Del Guercio, Ceramiche di L., in Vie nuove, 8 nov. 1958; V. G(uzzi), L. all'Attico, in Il Tempo, 8 nov. 1958; M. Drudi Gambillo, L'ultimo L., in Il Taccuino delle arti, novembre-dicembre 1959, p. 5; E. Crispolti, Ipotesi per L. (catal., galleria Blu), Milano 1960; O. Ferrari, Momento di L., in Arte oggi, maggio-agosto 1960, pp. 7-9; R. Barilli, Coerenza di L., in Commentari, XII (1961), 4, pp. 273-286; V. Saviantoni, Ceramica e nuova figurazione, in La Ceramica, XVIII (1963), 9, pp. 56-59; L.: Spoleto 1915 - Roma 1968 (catal., Spoleto), a cura di G. Carandente, Bologna 1969 (con ampia bibliografia); G. Orfei, L., tesi di laurea, Università degli studi di Roma "La Sapienza", facoltà di lettere, a.a. 1982-83; L. (catal.), a cura di C. Spadoni, Ferrara 1983; C. Spadoni, L., prefaz. di C. Brandi, Roma 1983; L.: la metafora della materia, (catal., Verona), a cura di G. Cortenova, Milano 1985 (con ampia bibliografia); Cagli e L. alle Ceramiche Rometti (catal., Umbertide), a cura di G. Cortenova - E. Mascelloni, Milano 1986; L.: mostra antologica (catal., galleria Arco Farnese), a cura di E. Mascelloni, Roma 1990; L.: opere 1938-1952 (catal., Faenza), a cura di D. Ferrari - E. Mascelloni, Milano 1995; L. Scardino, Ferrara 1957-1959. Nuovi documenti su "Il Lavoro" di L., in Libero, autunno 1997, n. 10, pp. 30-35; L.: sculture, opere su carta (catal.), Bologna 2002; J. Ruiz de Infante, La scultura di L. negli anni Trenta: i contatti con la scuola romana, in Faenza, LXXXVIII (2002), 1-6, pp. 133-150; L.: opere dal 1938 al 1968 (catal., Matera), a cura di G. Appella - V. Rubiu - F. Sargentini, Roma 2002 (con bibl. e regesti completi degli articoli apparsi sui quotidiani).