DUDREVILLE, Leonardo
Figlio di Giuseppe e di Leonilde Madalena, nacque a Venezia il 4 apr. 1885 e in questa città trascorse l'infanzia. Nel 1902 troncò gli studi classici a cui il padre magistrato lo aveva avviato, dichiarando di voler fare il pittore. Nello stesso anno sostenne e superò l'esame di ammissione all'accademia di Brera a Milano, dove però non poté frequentare i corsi regolari perché sovraffolati. La grande ammirazione per G. Segantini e G. Favretto, ma soprattutto per il primo, lo avvicinò alla pittura divisionista. Alcuni dipinti di questo primo periodo si trovano presso il Museo civico di belle arti di Lugano, dove originariamente facevano parte della collezione Gabriele Chiattone. Dall'inverno 1906 alla primavera del 1907, insieme con gli amici Anselmo Bucci e Mario Buggelli, si recò a Parigi "con poca soddisfazione per l'uomo e nessun vantaggio per l'artista" (cfr. Thea, 1987, p. 86).
Al rientro in Italia si stabilì per qualche tempo a Borgo Taro nel Parmense, dove eseguì il dipinto più noto di questa fase giovanile: Mattino sull'Appennino (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), esposto nel 1908 alla Promotrice di Torino e in seguito acquistato dal mercante Alberto Grubicy. Parallela a quella per la pittura è la passione per la musica che il D. praticò come violinista, violoncellista e come compositore di alcuni poemi sinfonici. Nel febbraio 1910 il suo nome avrebbe dovuto figurare in calce al Manifesto dei pittori futuristi, ma Boccioni si oppose (ibid.). Dopo aver partecipato, sempre a Milano, ad. alcune collettive presso la Famiglia artistica nel 1910 e nel 1911 e alla mostra di Arte libera del 1911, passò dal divisionismo a quella che egli stesso definì "astrazione" (cfr. Crispolti, 1971, p. 84). Le opere in cui si rivela questo cambiamento di indirizzo formale sono le tavole della Trilogia campestre, che il D. nel 1912 presentò alla Permanente di Milano.
È una pittura non più fondata su una semplice osservazione della realtà esterna, ma orientata dal ritmo interiore delle cose.
Contemporaneamente eseguì illustrazioni per giornali e cataloghi di moda che gli assicuravano una base economica. Dall'inverno 1912 ebbe l'incarico di selezionare e contattare artisti, critici e architetti che avrebbero dovuto dare vita alla formazione di punta Nuove tendenze. Tra i firmatari ed aderenti oltre al D. comparivano i pittori C. Erba, A. Funi, A. Bisi Fabbri, lo scultore G. Possamai, gli architetti A. Sant'Elia, M. Chiattone e G. U. Arata, i pittori decorativi M. Nizzoli e A. Fidora, i critici U. Nebbia, D. Buffoni e G. Macchi.
Alla prima esposizione del gruppo, che si inaugurò il 20 maggio 1914 presso la Famiglia artistica di Milano, presentò dieci dipinti, nove del 1913 e uno del '12: i pannelli delle quattro stagioni la Primavera, l'Estate, l'Autunno, l'Inverno (tutti al Museo civico del Broletto di Novara), Espansione della lirica, Urto del tragico, Dissidio domestico quotidiano, Ritmi emananti da Antonio Sant'Elia (tutti al Museum of modern art di Filadelfia); Ritmi emananti da Ugo Nebbia e Ritmi emananti dallo scultore Eugenio Pellini, ora perduti.
La posizione teorica del D. era simile a quella di Kandinskij, fondata su una corrispondenza tra lo stato d'animo e il colore (Thea, 1987, p. 87). Dopo la prima mostra la formazione si sfasciò. Sant'Elia passò al gruppo futurista mentre Funi accusò il D. di volere per sé tutta la gloria: l'esposizione non fu riproposta in altre città italiane e della Svizzera italiana come inizialmente programmato.
Il D., cieco di un occhio a causa di un incidente giovanile, non partecipò alla guerra nel 1915 e rimase a Milano a dipingere e a disegnare. La sua opera subì una nuóva evoluzione e da astrattista diventò realista poiché protesa verso una maggiore adesione all'essenza delle cose. Il quadro più significativo di questo momento è Il caduto del 1919 (Milano, Civico Museo d'arte contemporanea). Nell'aprile dello stesso anno partecipò all'Esposizione futurista a palazzo Cova in Milano: parte dei suoi dipinti erano quelli già presentati a Nuove tendenze e la novità era rappresentata da olii e pastelli datati dal 1914 al 1916-17. Nel marzo '21 partecipò alla mostra berlinese del gruppo di Valori plastici (Thea, 1987, p. 87) e nel 1922 alla Fiorentina primaverile, occasione in cui la critica interpretò il suo lavoro come quello di un convertito a nuove esigenze, di un artista fortunatamente rinsavito (cfr. V. Bucci in La Fiorentina Primaverile [catal.], Firenze 1922, p. 91). Alla fine del '22 aderi al gruppo che si riuniva presso la galleria Pesaro con il nome Sette pittori del '900 con Bucci, Funi, G. E. Malerba, P. Marussig, U. Oppi e M. Sironi. Con i Sette espose nel 1923 alla galleria Pesaro e nel 1924 alla Biennale veneziana, dove però Oppi si presentò individualmente. In questa Biennale, che è anche l'ultima manifestazione pubblica a cui il gruppo partecipò, espose il "polittico" Amore: discorso primo del 1923 (Busto Arsizio, coll. privata; cfr. Thea, 1987, pp. 62-67 con ripr. anche degli studi preparatori). Il ritorno a dei ritmi privati è interrotto solamente dalle mostre collettive tra cui numerose (dal 1922 al 1932 e poi nel 1942) Biennali di Venezia e dalle personali come quelle del 1936 (Milano, gall. Deodato) e del 1940 (Milano, gall. Gian Ferrari).
Nel 1926 rifiutò decisamente gli inviti di M. Sarfatti di entrare a far parte del comitato del Novecento italiano. In questi anni che precedono la seconda guerra mondiale il D. autodefinì la sua pittura "fiamminga" (cfr. Thea, 1987, p. 88), volendo sancire con questa indicazione intimistica la sua distanza dal trionfalismo ed ottimismo del Novecento italiano e la sua ricerca di una relazione oggettiva con la natura senza abusare di schemi storicistici e di citazioni museali. Nel 1942, volendo sfuggire ai bombardamenti, abbandonò Milano e si rifugiò a Ghiffa sul lago Maggiore. Qui restò fino alla morte dedicandosi, oltre che alla pittura e alla musica, alla stesura di quaderni di memorie e testimonianze, alla lettura, alla caccia e alla pesca, alla costruzione di barche.
Morì a Ghiffa (Novara) il 13 genn. 1975
Fonti e Bibl.: I ritagli di giornale, le lettere, gli scritti e altri documenti si trovano a Ghiffa presso il figlio dell'artista, Piero. Alcuni dei quaderni di memorie, insieme ad altri testi, sono stati trascritti e pubblicati nel volume L. Dudreville, Scritti, Milano 1980 (con prefazione di M. Rosci). In assenza di un completo repertorio dell'opera del D., per ciò che riguarda i dati biografici, l'elenco delle mostre e la bibliografia dal 1907 al 1988 vedi Thea, 1988. Per una disamina più particolareggiata cfr. A. Barricelli, L. D. nella sua parentesi futurista, in Letteratura, novembre-dicembre 1966, pp. 74-79; M. Rosci, D. tra futurismo ed espressionismo, in Arte illustrata, II (1969), pp. 38-45; E. Crispolti, Il mito della macchina e altri temi del futurismo, Trapani 1971, ad Indicem; P. Thea, in Nuove tendenze. Milano e l'altro futurismo (catal.), Milano 1980, pp. 75-81; Futurismo e futurismi (catal.), Milano 1987, ad Indicem; P. Thea, L. D. Opere su carta 1905-1967 (catal.), Milano 1987; L. D. a Ghiffa. Dipinti dal 1942 al 1968 (catal.), a cura di P. Thea, Milano 1988; S. Carlevara, L. D. 1885-1975 fra realismo ed astrazione, tesi di laurea, Università Statale di Milano, a.a. 1988-89.