DOMINICI, Leonardo
Nacque a Trevi (Perugia) il 25 sett. 1879 da Francesco, medico, e da Agnese Ciccaglia. Compi gli studi di medicina nell'università di Roma, dove ebbe come maestri di chirurgia F. Durante e R. Alessandri e dove si laureò con il massimo dei voti e la lode nel luglio 1904. Si orientò subito alla chirurgia e alla ricerca scientifica, abbracciando la carriera universitaria negli istituti nei quali si era formato da studente. Contemporaneamente si diede all'esercizio pratico della professione, iniziando a lavorare negli Ospedali riuniti di Roma. Dopo aver vinto tre volte il premio della Fondazione Rolli, nel 1908 consegui per titoli il premio Corsi di perfezionamento in patologia speciale chirurgica nell'università di Roma, premio che gli venne confermato l'anno successivo. Nel 1906 era stato nominato aiuto nella sezione chirurgica della clinica dermosifilopatica e assistente nell'istituto di patologia chirurgica diretto dall'Alessandri, del quale fu uno degli allievi prediletti. Confermato in questo posto per tredici anni consecutivi, crebbe scientificamente alla scuola dell'Alessandri, che fu allievo, successore e continuatore dell'opera del Durante nell'ateneo romano. Nel 1911 consegui per titoli la libera docenza in patologia speciale chirurgica e iniziò a tenere corsi liberi della disciplina, che interruppe soltanto negli anni della guerra. Arruolatosi volontario nel 1915, prestò servizio dapprima con il grado di capitano medico di complemento, quindi nel 1916 con quello di maggiore e nel 1918 con quello di tenente colonnello. Restò arruolato per i 42 mesi di guerra, 34 dei quali trascorsi in zona di operazioni. Non trascurò, tuttavia, l'attività didattica: nel 1915-16 tenne lezioni di patologia chirurgica agli studenti militari della scuola medica da campo in San Giorgio in Nogaro, sezione dell'università di Padova; nel 1916-17 vi fu incaricato dell'insegnamento della stessa disciplina. Venne insignito della medaglia al valor militare, della croce al merito di guerra e della medaglia di volontario di guerra.
Rientrato nell'università di Roma, nel 1919 fu nominato aiuto nell'istituto di patologia chirurgica, quindi nel 1919-20 tenne l'insegnamento ufficiale di patologia chirurgica e nei due anni successivi quello di medicina operatoria. Nel 1921 divenne aiuto nella clinica chirurgica e l'anno seguente consegui la libera docenza in clinica chirurgica e medicina operatoria. Raggiunta la piena maturità scientifica, nel 1925 fu nominato, in seguito a concorso, direttore dell'istituto di clinica chirurgica e medicina operatoria dell'università di Sassari: in questa sede si distinse per l'impegno col quale diresse e trasformò l'istituto, rendendolo adeguato alle moderne esigenze chirurgiche; fu preside della facoltà di medicina e chirurgia e fece parte del consiglio di amministrazione dell'università. Nel 1929 passò a dirigere l'istituto di clinica chirurgica dell'università di Perugia, della quale fu rettore dal 1930 al 1935. Passato poi a Napoli come ordinario di patologia speciale chirurgica e incaricato della clinica buccale e peribuccale dell'università, fu anche preside della facoltà di medicina e chirurgia.
Il D. fu un didatta di indiscusso valore e fondò una scuola alla quale si formarono numerosi allievi, che emersero nel mondo scientifico e accademico. La sua produzione scientifica, sviluppatasi nell'arco di un quarantennio, fu molto varia e spaziò nei diversi settori della specialità: in questa sua vasta apertura di interessi il D. segui certamente l'esempio dei suoi diretti maestri della scuola romana, nel fecondo periodo che vedeva l'affermazione di innovazioni strumentali e tecniche della disciplina, conducendo studi anche sperimentali e dando contributi personali non trascurabili.
Dopo un primo lavoro sulla diagnosi istologica della rabbia, il D. si era avviato subito alla ricerca su argomenti specifici di chirurgia, con lavori rigorosamente ancorati alla metodologia sperimentale. Sotto la guida dell'Alessandri, nel laboratorio di patologia speciale chirurgica, pubblicò il lungo articolo Azione della tiosinamina e della fibrolisina sulle cicatrici, sui batteri, sul sangue (in Il Policlinico, sez. chirurgica, XIV [1907], pp. 371-376, 402-426, 466-472). La tiosinamina, scoperta da J. J. B. Berzelius nel 1828, era stata introdotta in terapia dermatologica da V. Hebra nel 1902. Alle prime esperienze in campo dermatologico seguirono diversi tentativi, soprattutto in Germania, tesi ad applicarla in altri rami della medicina e in chirurgia, dopo che se ne era individuata una certa efficacia sui tessuti connettivi patologici che alcuni autori ritenevano legata a una azione riassorbente, altri a una semplice azione emolliente. La sostanza interessava non solo per l'azione sui tessuti cicatriziali, ma anche perché molti ne sostenevano una attività deleteria sui microrganismi. Il D. condusse attente esperienze sui cani e giunse a stabilire che sui tessuti la tiosinamina ha solo una azione emolliente, non ha azione batteriologica, né sporicida, né antisettica, mentre la sua iniezione produce una modificazione della formula leucocitaria. Ne riconobbe l'efficacia a provocare una leucocitosi e studiò certi aspetti dei problema della siero-immunizzazione e della possibile applicazione di questa leucocitosi provocata come uno dei mezzi di difesa dell'organismo, sui quali allora si dibatteva. Dopo questo primo significativo contributo apparirono nell'arco di pochi anni molti lavori che lo dimostravano sempre attento ai temi della ricerca sperimentale, nonché alla casistica della clinica chirurgica (Ospedale al policlinico Umberto I, padiglione 30, diretto da R. Alessandri: resoconto clinico statistico dal 1906 al 1908, Roma 1910, in coll. con S. Crainz). In una relazione al XXI congresso della Società italiana di chirurgia, tenuto a Roma nell'ottobre 1908, affrontò il tema della terapia iodica (Ricerche cliniche sull'azione dello iodio nei tessuti tubercolari, in Il Policlinico, sez. chirurgica, XVI [1909], pp. 253-272): dell'efficacia dello iodio nella tubercolosi chirurgica, già studiata dal Durante e dall'Alessandri, il D. indagò il meccanismo d'azione, sul quale discordavano in genere i vari autori, mettendone in evidenza i diversi effetti della somministrazione locale rispetto a quella per via generale. Dimostrò che mentre quest'ultima, attuata mediante iniezione ipodermica, può agire solo come "rigeneratore" o ricostituente dell'organismo, forse per l'aumento dell'indice opsonico, l'iniezione iodo-iodurata locale esplica, oltre all'azione generale, un processo irritativo locale che favorisce una neoproduzione connettivale cicatriziale. Nello stesso anno O. Loeb e L. Michaud, dopo aver condotto ricerche indipendenti su conigli e cani, pubblicavano osservazioni simili a quelle del Dominici.
Dedicò diversi lavori alla patologia dell'apparato renale: condusse, fino dal 1908, studi sui mezzi diagnostici della funzionalità renale nelle nefropatie di interesse chirurgico e ricerche cliniche e sperimentali sulla funzione renale dopo nefrectomia. Nel 1909, al XXII congresso della Società italiana di chirurgia, presentò i risultati di uno studio condotto su tre diverse forme di cisti multiple osservate in tre reni asportati dall'Alessandri: il primo presentava i caratteri della degenerazione policistica, la cui patogenesi gli sembrava potersi ascrivere a una sclerosi con proliferazione epiteliale compensatrice di zone distrutte; il secondo era sede di un sarcoma a cellule polimorfe con numerose cisti, probabile degenerazione delle masse neoplastiche, il terzo mostrava caratteri infiammatori che gli consentivano di ritenere che le cisti potessero essere originate da occlusione di tubuli e da conseguente ristagno dei prodotti secreti. Si occupò delle uretero-etero-plastiche con trapianti vasali venosi e arteriosi e della plastica peduncolata dell'uretere con l'arteria ipogastrica. Sulla questione molto discussa dei trapianti e degli innesti si impegnò anche con una serie di sperimentazioni che raccolse e pubblicò in Rigenerazione e plastichedel peritoneo (ibid., XIX [1912], pp. 375-384, 394-422), lavoro di una certa importanza fisiopatologica per lo studio dei materiali e dei tessuti che si possono usare nelle plastiche del peritoneo. Studiò la formazione di aderenze in seguito ad asportazione di lembi del peritoneo parietale e la rigenerazione del peritoneo. Compì osservazioni cliniche e sperimentali sulle plastiche realizzate con lembi di epiploon peduncolati e liberi, le omentoplastiche peduncolate e con lembi liberi. Compi trapianti di peritoneo parietale con lembi peritoneali liberi, da un cane all'altro. Attuò varie applicazioni, cliniche e sperimentali, di trapianti usufruendo specialmente di sacchi erniari e della vaginale del testicolo; studiò anche l'uso di lembi di "sostanze non vitali". Tra le varie plastiche sperimentate riteneva che la più confacente allo scopo, dal punto di vista fisiopatologico, era il trapianto sulla lesione di continuo di lembi peritoneali tolti da un altro animale.
Non trascurò i temi della chirurgia del cuore, si interessò ai processi di guarigione delle ferite delle valvole aortiche, studiò l'aneurisma dell'arco aortico. Nel 1912 al XXIV congresso della Società italiana di chirurgia espose i risultati di ricerche eseguite su cani sottoposti alla legatura dei vasi coronari. Per evitare il pericolo dell'apertura di una pleura, necessaria per aggredire il cuore in quegli animali, ricorse all'insuffiazione intratracheale col metodo di S. Meltzer e J. Auer. Legò i vasi coronari anteriori e il ramo auricolo-ventricolare e studiò le chiazze degenerative e necrotiche riscontrabili dopo qualche tempo nel territorio irrorato dal vaso legato.
Frutto del suo impegno militante nella guerra mondiale e nel corpo di sanità militare furono alcune specifiche ricerche, condotte e pubblicate in quegli anni, sugli interventi d'urgenza: sulle prime cure delle ferite da bomba a mano e da granata, sugli immediati soccorsi alle ferite delle articolazioni in guerra, sui criteri clinici e batteriologici e la tecnica operatoria della sutura immediata nelle ferite di guerra. Si occupò anche dell'importanza radiodiagnostica della presenza d'aria nelle ferite d'arma da fuoco.
Da quella ricca esperienza trasse spunto per gli studi sulla chirurgia d'urgenza che furono poi parte fondamentale della monografia che pubblicò di lì a qualche anno: il volume, dal titolo Piccola chirurgia e chirurgia d'urgenza, edito a Roma nel 1924 e in 2 ed. nel 1938, con prefazione dell'Alessandri, si colloca certamente come uno dei più qualificati manuali dell'epoca in area italiana. Affrontava due capitoli di particolare interesse sia per la didattica e la formazione del medico, sia per la pratica del chirurgo, ed ebbe il riconoscimento di buoni consensi: la prima parte del volume dava indicazioni pratiche sugli argomenti fondamentali della preparazione, della anestesia e delle tecniche utili negli interventi più comuni e nella piccola chirurgia, che era ancora spesso di pertinenza del medico condotto; la parte seconda affrontava invece i capitoli della cura delle lesioni traumatiche, della cura delle infezioni chirurgiche e della tecnica di alcune piccole operazioni nonché dei soccorsi di urgenza.
Nel 1919 espose i risultati di osservazioni sull'azione dei raggi Roentgen sugli epiteliomi cutanei. Aveva sottoposto a prolungata e ripetuta azione dei raggi un epitelioma malpighiano della guancia: clinicamente il tumore aveva in un primo tempo risentito una favorevole influenza dalla radioterapia, in quantoché erasi ridotto di volume, in un secondo tempo aveva ripreso il suo accrescimento. Dopo averlo asportato dimostrò all'indagine microscopica che, a lato di alterazioni regressive, forse da attribuirsi alla cura irradiante, si trovavano evidenti segni di attiva proliferazione cellulare. Giunse alla conclusione che la terapia radiante non sempre sarebbe in grado di provocare intensi ed estesi processi regressivi, così da favorire colla necrosi delle cellule epiteliali la sostituzione a queste di un nuovo tessuto connettivo. Nel 1924 presentò i risultati delle sue esperienze sulla simpaticectomia periarteriosa come metodo di cura, usato felicemente in una ristretta casistica nell'ulcera perforante del piede.
Trattò in diversi lavori i temi delle vie biliari e del fegato. Al XXIX congresso della Società italiana di chirurgia, tenuto a Firenze nel 1922, espose i risultati di uno studio sperimentale sulla patogenesi del versamento di bile nel peritoneo senza perforazione delle vie biliari. Condusse sui cani tre serie di esperienze dalle quali fu indotto a concludere che la causa fondamentale, se non unica, della peritonite biliare dovrebbe ricercarsi nelle modificazioni prodotte nella cistifellea dai fermenti pancreatici, attivati dal succo duodenale e penetrati nella sua cavità. Nel 1923 presentò uno studio sperimentale sulle colecistiti acute e sulle alterazioni del parenchima epatico: provocava delle colecistiti flemmonose con colture di stafilococco piogeno, di streptococco piogeno, di bacterium coli e di bacillo del tifo, mediante inoculazione diretta di germi con legatura del cistico, e in 17 esperimenti osservò un decorso successivo sempre febbrile, con periodi di sopravvivenza fino a venti giorni; l'esame del fegato, in prossimità e anche a distanza dalla cistifellea, mise in evidenza focolai estesi di necrobiosi, talora infiltrazione emorragica interlobulare e intralobulare e in pochi casi infiltrazione parvicellulare. Ricercò il meccanismo di penetrazione dei germi che, data la preventiva legatura del cistico, non poteva attribuire a trasporto per via biliare e giunse a concludere che la penetrazione poteva avvenire per continuità di processo dalla cistifellea al fegato forse per il tramite delle vene epatiche accessorie. In quello stesso periodo si interessò al valore clinico della reazione di Wassermann (La reazione di Wassermann dopo la cloronarcosì, la eteronarcosì e le rachianestesie, in Il Policlinico, sez. chirurgica, XXIX [1922], pp. 92-98). In diversi lavori, condotti sulla sua casistica clinica, si occupo del problema della splenectomia nella splenomegalia malarica, osservata nel periodo sassarese. Sempre relative alle attività svolte nella clinica di Sassari sono le ricerche condotte su temi di neurotraumatologia, che riprendevano certi interessi coltivati nel periodo bellico. Lo studio della patogenesi delle artropatie consecutive a lesioni traumatiche del midollo si era sviluppato dopo la guerra mondiale: nel lavoro Ricerche sperimentali sulle paraosteoartropatie negli arti paralizzati da traumi del midollo spinale (ibid., XXXIV [1927], pp. 557-565) il D. raccolse le osservazioni originali condotte sul coniglio in un campo in cui i contributi sperimentali erano molto limitati.
In campo neurologico, il D. pubblicò a Roma, nel 1928, un ampio lavoro: La chirurgia dei tumori spinali: relazione. Tornò a occuparsi ripetutamente dei capitoli ortopedici e traumatologici: condusse ricerche cliniche e anatomiche sull'anca a scatto, si interessò del trattamento chirurgico dell'osteocondrite giovanile dell'anca (Lezioni di patologia chirurgica e propedeutica clinica raccolte da G. Montemartini: malattie delle ossa e delle articolazioni, 2 voll., Napoli 1932). Un ampio lavoro fu quello presentato come relazione al XLI congresso della Società italiana di chirurgia, tenuto a Roma nel 1934, che fu raccolto in un volume monografico di 173 pagine, La chirurgia del colon (esclusi i tumori, le cisti e l'appendice), stampato a Roma nel 1934: si tratta di uno studio fondamentale su un capitolo della chirurgia, che mostrava ancora tante questioni aperte e che era stato oggetto di molti studi dal 1920 in avanti, in cui il D., dopo una completa rassegna bibliografica, mette a punto i problemi ancora discussi dando contributi personali su molti di essi. Un altro manuale utile alla didattica della clinica fu il Compendio di semeiotica chirurgica che pubblicò, con prefazione dell'Alessandri, a Roma, nel 1922 e, in 2 ed., 1932.
Fu membro di diverse accademie e società scientifiche. Aveva sposato Anna Berta Hauri; trascorse in serenità gli ultimi anni di vita nella sua casa di Trevi, dove morì il 31 genn. 1955.
Bibl.: I clinici italiani nella cattedra e nella vita (medaglioni), Milano 1928, p. 77; G. Lusena, La Società italiana di chirurgia nei suoi primi 30 congressi (1883-1923). Un contributo italiano al progresso della chirurgia, Roma 1930; J. Fischer, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte... [1880-1930], I, p. 325.