DELLA SERRATA (Delaserrata, de Laserrata, de la Sarrata), Leonardo
Nacque con ogni probabilità attorno al primo decennio del sec. XV a Vercelli da Luchino.
Il padre esercitava la professione di notaio, al pari di altri membri della sua famiglia "antica e ragguardevole" che si trovano citati nella Matricola dei notari nobili collegiati della città (C. A. Bellini, f. 28).
Abbracciata la carriera ecclesiastica, il D. ottenne il 24 maggio 1431 l'aspettativa per un canonicato presso la cattedrale di Vercelli.
Questo fu il primo di una lunga serie di benefici che gli furono concessi da Eugenio IV in virtù dell'amicizia e della protezione di uno dei personaggi più potenti del tempo, Francesco Condulmer, nipote dello stesso pontefice, creato cardinale del titolo di S. Clemente nel settembre del '31. Nel 1436 il Condulmer, ad appena un mese dall'entrata in Bologna al seguito del papa, inoltrò una supplica affinché il D., divenuto nel frattempo suo "familiaris et contimius commensalis", ottenesse il rinnovo dell'aspettativa per il canonicato di Vercelli, che non si era reso ancora vacante. Nello stesso anno al D. furono concessi altri due benefici: la dignitas principalis et electiva dell'archipresbiterato della chiesa collegiata di S. Alessandro di Fara (diocesi di Bergamo) e l'aspettativa per la parrocchia di S. Alessandro di Melzo (diocesi di Milano). Ma l'influenza del Condulmer si fece sentire soprattutto nella vicenda della contrastata attribuzione della prevostura di S. Lorenzo Maggiore di Milano.
La disputa per l'assegnazione di questa carica coinvolse nel 1437 Enea Silvio Piccolomini, un Landriani ed il D., "clericus Vercellensis". Forte dell'appoggio del vescovo di Milano, Francesco Piccolpasso, e del consenso ottenuto al concilio di Basilea, il Piccolomini sembrò in un primo tempo aver la meglio sui rivali, ma al posto del defunto prevosto "Martinus de la Canali" trovò già insediato nella basilica il Landriani, regolarmente eletto dal capitolo col consenso del duca Filippo Maria Visconti. Un decreto del concilio doveva però avere il suo peso e così il Piccolomini rientrò in possesso della carica nonostante un ulteriore contrasto tra il capitolo ed Eugenio IV, che aveva proposto quale candidato il D., come si legge in una bolla papale del 7 ag. 1437. Un mese prima il D. aveva sottoscritto un atto di obbligazione, in vista dell'attesa nomina, nei confronti della Camera apostolica (Arch. segr. Vat., Libri Annatarum). Passati alcuni anni e diffusasi la falsa notizia della morte di Enea Silvio in seguito ad un contagio da peste a Basilea, il D. ottenne la prevostura, oggetto di tante controversie. Il Piccolomini operò presso gli amici più influenti dei tentativi per rientrare in possesso della carica perduta: il 17 ott. 1443, il cancelliere imperiale Kaspar Schlick perorò la sua causa presso il governatore del Ducato milanese Uguccione de' Contrari e il 15 genn. '44 lo stesso re e futuro imperatore Federico III intercedette presso il duca di Milano affinché la prevostura di S. Lorenzo fosse restituita all'antico possessore. Fin qui le notizie d'archivio, che ci consentono di delineare alcuni punti fermi dell'attività del D. attorno agli ultimi anni del decennio 1431-40: un ufficio di familiaris al fianco di uno degli uomini più influenti del tempo e l'acquisizione di una serie di benefici ecclesiastici in Italia settentrionale.
L'eco della vertenza sorta per l'attribuzione della prevostura milanese, di cui si ha memoria nell'epistolario del Piccolomini, ha costituito, unitamente alla successiva individuazione di alcuni significativi elementi biografici, una prima traccia che ha permesso di rivendicare al D. la paternità della Poliscena, commedia umanistica attribuita fin dagli ultimi decenni del Quattrocento a Leonardo Bruni. Fu il Creizenach, alla fine del secolo scorso, che avanzò i primi dubbi circa l'attribuzione tradizionale sulla base di una serie di argomentazioni tuttora valide: innanzitutto il silenzio tenuto intorno a quest'opera dall'umanista aretino e dai suoi numerosi amici e corrispondenti. che essa rimase del tutto sconosciuta in Italia ed ebbe invece larga diffusione nei paesi del Nord, in particolare in Germania ed in Polonia; infine il rinvenimento di una subscriptio (trascritta in modo inesatto dallo studioso tedesco) posta al termine della commedia nel codice 1954 della Biblioteca Jagellonica di Cracovia, in cui la Poliscena veniva attribuita a un non meglio identificato Leonardo "de la Sernata" e risultava composta nel 1433. Anche il Creizenach comunque finì con l'attenersi all'opinione tradizionale che considerava la commedia un lavoro giovanile del Bruni portato a termine attorno agli ultimi anni del XIV secolo. In seguito Ireneo Sanesi, facendosi interprete dei dubbi avanzati dallo studioso tedesco, lasciò trasparire la sua propensione ad una datazione relativamente tarda, con conseguente rifiuto della paternità bruniana. Si rendeva a questo punto necessario un attento esame della subscriptio e del testo della commedia tradito dal codice polacco. Si deve ad Enzo Cecchini (che aveva sanato alcune corruttele all'interno della sottoscrizione) la decisiva identificazione del D. citato a proposito della famosa prevostura nell'epistolario del Piccolomini, con l'autore della Poliscena. Successive indagini (Nonni, 1974 e 1976) hanno confermato la validità di quella ipotesi e mostrato come all'autore risalga anche parte delle glosse conservate nel citato codice e in un altro esemplare altrettanto importante, il cod. 1315 della Biblioteca Czartoryski di Cracovia.
Scritta nel novembre del 1433 a Como, in una prosa latina vivace e colorita, la Poliscena ha per soggetto un intrigo amoroso. In essa compaiono sei personaggi: Gracco, il giovane innamorato; Macario, suo padre; Polissena, la fanciulla che sarà sedotta da Gracco; Calfurnia, sua madre; Taratantara e Gurgulione, servi di Macario. Il prohemium, che consta di trenta approssimativi esametri nei due codici polacchi (nella redazione vulgata gli esametri sono ridotti a dodici e sono seguiti da un argumentum che non risale all'autore), offre al poeta l'occasione per rivolgersi al lettore con intenti didascalico-moraleggianti: si redarguiscono i servi corrotti, le madri poco prudenti, i genitori indulgenti con i figli, i vecchi che persistono in atteggiamenti poco consoni alla loro età.
Così si può riassumere la trama della commedia che si sviluppa in tredici scene: Gracco e Polissena, incontratisi casualmente mentre la fanciulla si reca in chiesa, si innamorano a prima vista, ma la severità della madre di lei, Calfurnia, rende minime le possibilità di un approccio. La vecchia serva di Gracco, Taratantara, studia un piano che prevede la consegna di una somma di danaro alla madre della fanciulla, vedova e povera: ma Calfurnia non si lascia piegare dalle offerte dell'ancella, che allora si reca direttamente da Polissena per invitarla ad incontrarsi col proprio padroncino. Gracco così raggiunge il suo scopo, ma Calfurnia, indignata, minaccia il padre di lui, Macario, di ricorrere al magistrato se Gracco non sposerà Polissena. Il vecchio acconsente e con la promessa di matrimonio e l'accenno ai preparativi per il rito nuziale la commedia si chiude.
La Poliscena ebbe una vasta diffusione a Nord delle Alpi: lo testimonia il fatto che, dei venticinque esemplari che costituiscono allo stato attuale la tradizione manoscritta, ben diciotto sono conservati in biblioteche tedesche, tre in Polonia, due a Vienna, uno in Svizzera ed uno a Londra, nessuno di essi sembra provenire dall'Italia. Non molto diverso è il discorso che riguarda le quattordici edizioni (in un arco di tempo che va dall'editio princeps del 1478 al 1517), stampate a Vienna, Lipsia (ben undici) e Cracovia. Fu pubblicata per la prima volta nel 1478: Leonardi Aretini Calphurniae et Gurgulis comoedia, "in Monasterio Sorten.", e cioè a Schussenried (Hain, *1595). Le tredici ediz. successive furono stampate a Lipsia: 1500 (per Melchior Lotter: Hain, *1596), 1503, 1507, 1510, 1511, 1513, 1514, 1515, 1516 (due), 1517; Cracovia: 1509; Vienna: 1516. Una riduzione della commedia è pubbl. in H. Drudo, Practica artis amandi, Ursellis 1606, pp. 177-88. A Lipsia e a Cracovia la commedia fu anche oggetto di pubbliche letture, come si evince dal copioso apparato di note che corredano il testo di alcuni esemplari a noi pervenuti. Di fondamentale importanza, ai fini dell'attribuzione della commedia e dell'ambientazione della vicenda, si è rivelato l'esame del corpus originario di glosse, ascrivibili all'autore del testo, nei due manoscritti cracoviensi. Queste note, oltre a definire un ambito territoriale compreso nei domini viscontei dell'Italia settentrionale (Milano, Como, Pavia, Vercelli), consentono di aggiungere qualche linea al ritratto dell'autore, che viene indicato come discepolo di Gasparino Barzizza, quando l'illustre retore insegnava a Milano (tra il 1421 e '29).
Dopo la vicenda della prevostura milanese, che ancora nel 1444 trovava eco negli ambienti lombardi, per circa un trentennio del D. non si hanno più notizie. Lo ritroviamo nel 1471 prevosto della chiesa di S. Barnaba a Milano, come si legge in una nota d'acquisto di un messale ambrosiano del XV secolo. Le lacune documentarie si susseguono, solo in parte colmate da fonti erudite del XVII secolo (Bellini e P. Puccinelli). Non trova conferma la notizia, fornita dal Bellini, secondo cui attorno al 1483 il D. divenne abate di S. Andrea a Vercelli: il suo nome non compare nella Series abbatum compilata nel 1769 (Vercelli, Bibl. capitolare, Indice ovvero sommario categorico dell'Archivio della rev. abbazia et monastero di S. Andrea di Vercelli). Nel 1485 il D., divenuto nel frattempo parroco di S. Barnaba, si rivolse a Pacomio, priore del monastero dei Ss. Pietro e Paolo di Gessate (Milano), per ottenere il privilegio di essere sepolto alla sua morte in una cappella di quel monastero. È quanto si deduce dalla lettura del Chronichon insignis abbatiae Ss. Petri et Pauli de Glaxiate Mediolani (Mediolani 1655, pp. 147-49, 174) dei Puccinelli, che fornisce altre utili informazioni pur con alcune incongruenze di date. Sappiamo così che il D., menzionato quale canonico regolare agostiniano, canonico lateranense e celeberrimus curialis, fu per circa venti anni commensalis di un altro potente personaggio del tempo, Prospero Colonna, nipote di Martino V, eletto cardinale nel 1426.
Il D. morì, secondo il Puccinelli, nel 1487 e fu sepolto nella cappella assegnatagli l'anno precedente nel monastero di Gessate.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Reg. Suppl. 322, ff. 123v-124; 325, ff. 94rv, 162v-163; 326, f. 26rv; 327, ff. 108v-109, 292v-293; 337, ff. 13v-14, 83rv; Ibid., Libri Annatarum, 7, f. 116v; Ibid., Reg. Lat. 337, ff. 202v-204; 354, ff. 172v-174; Milano, Bibl. Ambrosiana, cod. A 262 inf., f. AV; Vercelli, Bibl. capitolare, C. A. Bellini, Serie degli uomini e delle donne ill. della città di Vercelli col compendio delle vite de' medesimi [1660 circa], I, ff. 28, 134v; Ibid., F. I. Fileppi, Historia Ecclesiae et Urbis Vercellarum, II,f. 1233; L. A. Muratori, Anecdota quae ex Ambrosianae Bibliothecae codicibus...,Mediolani 1697, II, pp. 177 ss.; Der Briefwechsel des Eneas Silvius Piccolomini, a cura di R. Wolkan, Wien 1909, I, 1, ep.40, p. 118; I, 2, ep. 57, p. 105; ep. 70, p. 120; G. Paparelli, Enea Silvio Piccolomini (Pio II), Bari 1950, pp. 65 s., 73; R. Amiet, La tradition du missel Ambrosien, in Scriptorium, XIV(1960), p. 51; E. S. Piccolomini, Chrysis, a cura di E. Cecchini, Firenze 1966, pp. XVI s.; H. Diener, Eneas Silvius Piccolominis Weg von Basel nach Rom (1442-47), in Adel und Kirche, Festschrift ... G. Tellenbach, Freiburg 1968, pp. 522-27; E. Cecchini, rec. ad A. Stäuble, La commedia umanistica del Quattrocento, in Riv. di filol. e di istruz. classica, XCVIII(1970), p. 482; G. Nonni, Docum. intorno all'umanista vercellese L. D.,in Giornale ital. di filologia, n. s., V (1974), pp. 278-94; H. W. Nöremberg, Leonardo [Brunis] "Poliscena" und ihre Stellung in der Tradition der römischen Kömidie, in Humanistica Lovaniensia, XXIV (1975), pp. 5 ss.; G. Nonni, Contributi allo studio della commedia umanistica: la "Poliscena", in Atti e mem. dell'Arcadia, s. 3, VI (1975-1976), pp. 393, 398, 413-17. Sulla Poliscena (problemi di attribuzione, fortuna) cfr. i seguenti contributi: L. Bruni Aretini Epistolarum libri VIII, a cura di L. Mehus, I, Florentiae 1741, p. LXXX; Liber diligentiarum facultatis artistarum Universitatis Cracoviensis, a cura di W. Wislocki, Cracoviae 1886, pp. 137, 162; P. Bahimann, Die Erneuerer des antiken Dramas und ihre ersten dramatischen Versuche, Münster 1896, p. 21; W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, I, 2, Halle 1911, pp. 545, 567; F. Beck, Studien zu Leonardo Bruni, Berlin-Leipzig 1912, p. 17; E. Beutler, Forsch. und Texte zur frühhumanistischen Komödie, Hamburg 1927, p. 12; H. Baron, Leonardo Bruni. Humanistisch-philosophische Schriften, Leipzig 1928, p. 162; J. De Vallata, Poliodorus, a cura di J. M. Casas Homs, Madrid 1953, p. 69; I. Sanesi, La Commedia, I,2, Milano 1954, pp. 140-43; L. Bradner, The Latin Drama of the Renaissance (1340-1640), in Studies in the Renaissance, IV(1957), p. 34; V. Pandolfi, Le spurie origini del teatro drammatico ital., in Il Ponte, XV (1959), pp. 347 s.; A. Perosa, Teatro umanistico, Milano 1965, pp. 19 s., 31 s., 40; E. S. Piccolomini, Chrysis, introd. di E. Cecchini, cit., pp. XVI-XXII; A. Stäuble, La commedia umanistica del Quattrocento, Firenze 1968, pp. 12-16, 271-74; H. W. Nöremberg, Leonardo [Brunis] "Poliscena"...,cit., pp. 1-28; G. Nonni, Contributi allo studio della commedia umanistica..., cit., pp. 393-451.