DELLA LAMA, Leonardo (de Lama)
Si può supporre che sia nato a Napoli; nei documenti viene detto infatti "de Neapoli", nella prima metà del Quattrocento, forse da Giovanni de Lama, commissario a San Germano, nell'ottobre del 1445, per conto della Regia Curia di Napoli.
Non si hanno notizie sulla formazione e sugli studi compiuti dal D., ma sappiamo con sicurezza che si laureò all'università di Napoli e si dedicò all'insegnamento; non si conosce tuttavia la disciplina insegnata. Nei rotuli dello Studio di Napoli è comunque citato come "lettore" per un periodo di tempo piuttosto limitato: l'anno accademico 1468-69, con un salario di 10 ducati, l'anno accademico 1472-73, con un salario di 45 ducati e, l'anno successivo, il 1473-74, con un salario di 30 ducati. Si può supporre, comunque, che il D. sia stato un giurista o quantomeno provvisto di una cultura prevalentemente giuridica, come testimoniano le sue lezioni Super librum XII et quinque priores titulos libri XIII Digesti veteris, forse composte nel 1475, e conservate nel manoscritto Lat. 4507 della Bibliothèque nationale di Parigi.
In seguito, il D. svolse la sua attività soprattutto come avvocato fiscale; per conto della Regia Curia ebbe, infatti, vari incarichi e commissioni riguardanti prevalentemente la riscossione delle imposte nelle province del Regno. Dai registri della Camera Sommaria risulta che il D. ebbe dalla Comunità della Terra di Andria, nel 1476, una lettera di commissione di cui non si conosce il contenuto, ma che doveva essere senz'altro in relazione con l'incarico del D. come commissario in quella provincia. Una più precisa documentazione sul suo ruolo come avvocato fiscale si ha in occasione della sua nomina, l'8 luglio 1482, a commissario nella provincia della Terra di Lavoro, per riscuotervi le decime, che gli ecclesiastici avevano concesso al re nel Parlamento generale di Foggia, per finanziare la guerra contro i Turchi. Il 7 settembre dello stesso anno il D. ricevette un incarico ancora più delicato, riguardante la riscossione, sempre nella provincia della Terra di Lavoro, delle tasse nuovamente imposte dal governo per far fronte alla guerra intrapresa in difesa di Ferrara. Si sa che, prima di partire, prestò alla corte So ducati e, al suo ritorno, versò alla Curia 135 ducati, che aveva riscosso proprio in qualità di avvocato fiscale e commissario del re in quella regione.
La fama del D. è legata in particolare a tre suoi componimenti volgari conservati nel manoscritto Ital. 1035 della Bibliothèque nationale di Parigi (cc. 149-152). Questo codice, appartenuto alla biblioteca privata del conte di Popoli, Giovanni Cantelmo, entrò poi a far parte della ricca biblioteca del re d'Aragona, essendo stato forse donato a Ferdinando I, o da lui stesso acquistato o confiscato dopo la congiura dei baroni del 1486. La composizione del manoscritto risale sicuramente alla metà del sec. XV: infatti, dalla corrispondenza del Cantelmo con gli autori dei versi, anch'essa contenuta nello stesso codice, sappiamo che il conte aveva raccolto nel 1468 un "cansonero", dove per suo diletto faceva trascrivere le composizioni poetiche che gli amici gli inviavano in segno di affettuosa stima. Con questa raccolta, che costituisce una delle testimonianze più ricche ed interessanti della letteratura volgare napoletana del Quattrocento, la limitata produzione del D. si colloca accanto a composizioni, per lo più di carattere amoroso, di poeti assai noti come Pietro Iacopo De Jennaro e F. Galepta, e ad autori minori come il calabrese Coletta di Amendolea, Giovanni Trocculi, Cola Monforte, Francesco Spinelli.
Per quanto sia difficile poter valutare compiutamente le capacità poetiche, del D. (non sappiamo se abbia scritto altri componimenti), senza dubbio egli appartenne alla stessa sfera di ispirazione di questi autori citati, tutti esponenti della lirica popolareggiante napoletana, la cui produzione (costituita da sonetti, strambotti, canzoni dal metro agile e semplice) si rivolgeva ad una tematica popolare, fusa con elementi letterari, resa con un linguaggio a volte rude, a volte enfatico e sentenzioso, ricco di forme dialettali e non privo di vivacità espressiva.
Dei tre sonetti del D., l'unico che appare degno di rilievo è quello indirizzato contro un "iuritico sciocco scombiccheratore di versi", in cui l'autore, con sottile e fine ironia, sostiene che nemmeno Francesco Filelfo sarebbe capace di spiegare gli oscuri versi di costui, per capire i quali è necessario un intervento quasi soprannaturale. Non si conosce il nome dell'autore dei versi a cui allude il D., anche se alcuni hanno ritenuto di identificarlo con il poeta Notturno Napoletano. Con più probabilità l'ironia del D. intendeva colpire tutta la classe dei giureconsulti contemporanei, i cui scritti, pieni di sottigliezze scolastiche e di citazionipedanti, finivano per diventare del tutto incomprensibili. Negli altri due sonetti, scritti in un linguaggio involuto ed ermetico, il D. ironizza su chi scrive poesie al solo scopo di mettersi in vista presso qualche potente, e su chi tende troppo a fidarsi di false amicizie e rischia in tal modo di essere incompreso o deriso.
Del D. non si conoscono né il luogo né la data della morte.
Fonti e Bibl.: Alcuni documenti sul D. si trovano presso l'Arch. di Stato di Napoli, Camera Summaria, II,cc.51v, 61v-62; Ibid., vol. 16, cc. 49v-50, 105r; Ibid., Camera Summaria Sigillorum, vol. 24, p. 2; Ibid., Cedole di Tesoreria, reg. 102, f. 42; Ibid., Ibid., voll. 47-66, ad annos;cfr. inoltre N. Barone, Le cedole di Tesoreria dell'Arch. di Stato di Napoli dall'anno 1460 al 1504, in Arch. stor. napol., IX (1884), 3, p. 422; Rimatori napol. del Quattrocento, con prefazione e note di M. Mandalari, a cura di G. Mazzatinti-A. Ive, Caserta 1885, pp. X, 149-53, con relativa rec. di F. Torraca, in Giorn. stor. della letter. ital., VII (1886), p. 422; G. Mazzatinti, Manoscritti ital. delle Biblioteche di Francia, II,Roma 1887, p. 246; F. Torraca, Discussioni e ricerche letter., Livorno 1888, pp. 121, 167; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli 1895, p. 13-46, 48 s., LVI, LVIII, LIX, LXI, LXIII, LXV, LXXXIII, XC, CCLXV; G. Mazzatinti, La biblioteca dei re d'Aragona in Napoli, Rocca San Casciano 1897, pp. 76, 107; F. Torraca, Aneddoti di storia letter. napoletana,Città di Castello 1924, pp. 188, 196, 232; A. Mauro, Per la storia della letter. napoletana volgare del Quattrocento, n. s., X (1924), pp. 202, 223; Storia dell'Università di Napoli, Napoli 1924, p. 191; A. Altamura, L'umanesimo nel Mezzogiorno d'Italia, Firenze 1941, p. 100; T. De Marinis, La biblioteca napol. dei re d'Aragona, II,Milano 1947, p. 144; A. Altamura, Rimatori napol. del Quattrocento, Napoli 1962, pp. 6, 69; Id., La letter. volgare, in Storia di Napoli, IV,2, Napoli 1974, p. 509.