MOLINARI, Leonardo
dei (Leonardo da Besozzo). – Nacque probabilmente a Besozzo, presso Varese, o a Milano, attorno al 1400, dal celebre pittore Michelino. È lo stesso artista a firmarsi «Leonardo de Bisuccio» o «de Bissutio» accompagnato talvolta anche da «de Mediolano», dove quest’ultimo riferimento potrebbe essere interpretato come luogo di origine, piuttosto che in relazione al contesto di formazione.
La data di nascita si ricava indicativamente in base al primo documento conosciuto riguardante l’artista risalente al 1421, dove viene ricordato come collaboratore del padre per l’esecuzione di alcuni dipinti destinati all'altare dei Ss. Quirico e Giulitta nel duomo di Milano e quindi verosimilmente ancora in fase di apprendistato (Toesca, 1905).
Il percorso artistico del M. non è stato ancora delineato con chiarezza, per l’esigua documentazione riguardante non solamente la giovinezza trascorsa in Lombardia, ma anche la fase della maturità caratterizzata soprattutto dal soggiorno a Napoli, dove è documentato almeno dal 1438. Altrettanto problematica risulta la ricostruzione del corpus pittorico, al quale è riferibile solamente un ristretto gruppo di opere firmate dalla cronologia perlopiù dibattuta.
Il tirocinio del M. avvenne verosimilmente a seguito del padre tra Pavia e Milano, a cavallo tra il secondo e il terzo decennio del Quattrocento, come conferma il già citato documento del 1421, unica fonte riguardante la sua attività in Lombardia.
È stata ipotizzata da parte della storiografia la collaborazione del M. nell’esecuzione della cosiddetta Madonna dell’Idea (Milano, Museo del duomo), gonfalone già attribuito a vari artisti lombardi e recentemente ricondotto al catalogo del padre Michelino, per il quale avrebbe ricevuto dei pagamenti nel 1429 (Boskovits, 1988, p. 40; Bandera, 1997, pp. 235 s.; Toscano, 2004, p. 128). Secondo Boskovits l’intervento del M., limitato al verso della tavola con la Presentazione al Tempio, sarebbe da datarsi a non prima del 1444, quando l’artista, dopo un primo soggiorno nel Regno di Napoli, sarebbe ritornato temporaneamente in patria a causa dell’instabilità creatasi per la guerra di successione angioina-aragonese. In assenza di documenti tale ricostruzione risulta piuttosto macchinosa, rispetto alla possibilità di collegare il completamento alla data presente sulla tavola (1418 o 1428), non originale ma forse trascritta successivamente, quasi coincidente con il già citato documento del 1429.
Proprio a ridosso di questi anni avvenne probabilmente il definitivo distacco dalla bottega paterna e il trasferimento a Napoli, dove fu coinvolto nella decorazione dei due ultimi grandi cantieri della dinastia angioina ovvero il monumento funebre di Ladislao I e la cappella Caracciolo del Sole in S. Giovanni a Carbonara.
L’esecuzione del mausoleo dedicato al sovrano angioino, nel cui registro principale all’interno di due edicole il M. affrescò il S. Giovanni Battista e il S. Agostino recante la sua firma («Leonardus de Bessucio de Mediolano ornavit»), dovette subire ritardi a causa dell’instabile situazione politica nel Regno seguita alla sua morte nel 1414. La storiografia ne ha comunque ricostruito parzialmente la cronologia supportata da elementi di carattere stilistico e storico, proponendo la fase d’avvio del cantiere tra la morte di Ladislao nel 1414 e il 1420, su committenza della sorella Giovanna II, con una ripresa dopo il 1424 e il completamento negli anni successivi al 1428, a cavallo del terzo e quarto decennio. Infatti nel gennaio di tale anno i lavori erano ancora in pieno svolgimento, come si evince dai contratti stipulati a Lucca dal «magister lapidum» Giovanni di Gante per ingaggiare gli scultori Leonardo e Francesco Riccomanni, Leonardo di Vitale Pardini e Tommaso di Matteo. A quest’ultima fase del cantiere risalgono con ogni probabilità gli affreschi del M., poiché tale data, ora scomparsa, sarebbe stata letta da Serra (p. 132) accanto alla firma dell’artista lombardo nel S. Agostino, mentre secondo Filangieri era presente sulla manica di una statua del primo ordine del monumento. Una cronologia alta rispetto al percorso artistico del M. appare comunque supportata dal carattere degli affreschi, stilisticamente vicini alle opere eseguite dal padre Michelino in Lombardia (Toscano, 2004, p. 128), e privi di una vera e propria resa spaziale, rispetto a quelli della cappella Caracciolo, nei quali emerge una visione più marcatamente volumetrica (Maresca, p. 41).
L’altra fondamentale committenza del periodo napoletano è costituita proprio dagli affreschi eseguiti insieme con Perinetto da Benevento per questa cappella, edificata contestualmente al completamento del mausoleo di Ladislao I, della quale significativamente costituisce un monumentale arco di accesso. In tal modo s’intendeva sottolineare lo stretto legame del committente Sergianni Caracciolo con la dinastia angioina, in quanto siniscalco del Regno e favorito di Giovanna II.
Sulla base dei documenti la costruzione dell’edificio avvenne tra la fine del 1427 e l’agosto del 1432, quando Sergianni vi fu tumulato il giorno seguente al suo assassinio. La decorazione pittorica pone, invece, quesiti critici ancora irrisolti riguardanti non solo le rispettive spettanze dei due artisti, ma anche i tempi di esecuzione e il succedersi dei lavori. La committenza di tale impresa è stata infatti alternativamente ricondotta dalla storiografia allo stesso Sergianni (Toesca, 1912, pp. 474-480; Toscano, 1999, pp. 420-424), e a suo figlio Troiano (Faraglia, p. 21; Serra, p. 121; Filangieri, 1924, p. 51; Urbani, p. 303 n. 5; Abbate pp. 150 s.), comportando così un’oscillazione cronologica tra il terzo e il quinto decennio del secolo. Nei due registri superiori delle pareti sono raffigurati episodi della vita della Vergine, mentre in quello inferiore sei scene di vita eremitica. Il M. eseguì certamente la Natività della Vergine collocata sopra la porta d’ingresso della cappella, accompagnata dall’iscrizione «Leonardus de Bissuccio de Mediolano hanc capellam et hoc sepulcrum pinxit», che suggerisce l’intervento dell’artista anche nella decorazione del sepolcro, il quale presenta tracce d’oro in alcune parti. La storiografia gli ha inoltre attribuito l’Annunciazione, la grande scena con l’Incoronazione della Vergine (Urbani), almeno due storie eremitiche, quelle collocate sul muro di destra (Toesca, 1912, pp. 474-491; Urbani), nonché la maggior parte dei sedici santi e i due gentiluomini rappresentati ai lati dei finestroni a monofora (Maresca, p. 41; Delle Foglie, 2004, p. 61). Nelle storie mariane eseguite dal M. emergono significative ascendenze stilistiche con l’ambiente lombardo, in particolare con le opere del padre nel delineare i sinuosi profili delle raffigurazioni, che si sovrappongono simmetricamente su costruzioni architettoniche prive di profondità prospettica. Anche le stereotipate fisionomie delle figure angeliche dell’Incoronazione della Vergine denotano una grazia tipica derivata dalle opere paterne, che però sembra anche tradire un ricordo della maniera di Gentile da Fabriano. Parte della critica ha inoltre notato l’adozione di un differente registro linguistico più spiccatamente volumetrico per gli inserti ritrattistici non solo nelle scene, ma soprattutto nelle singole raffigurazioni che affiancano le finestre, in consonanza con la maniera di Masolino (Toesca, 1912, p. 480; Bologna, pp. 64-74; Maresca, pp. 39, 41), ridimensionata (Urbani) e negata invece da altri studiosi anche recentemente (Toscano, 1999).
Tra il 1435-38 l’assenza di committenze a causa della guerra di successione tra Angioini e Aragonesi (1435-38), potrebbe aver convinto il M. a trasferirsi a Roma. Presso la capitale pontificia realizzò infatti la copia degli affreschi con Uomini Illustri, che decoravano la cosiddetta «Sala Theatri» nel palazzo a Montecavallo del cardinale filo angioino Giordano Orsini, denominata «Cronaca Crespi» e recante nell’ultima pagina la firma «Leonardo de Bessutio pinxit».
Tali affreschi, eseguiti da Masolino tra il 1428-32, sono conosciuti solamente attraverso la testimonianza di codici miniati, tra i quali spicca quello eseguito dal M., per il quale la qualità delle miniature e la dovizia nei particolari confermano l’ipotesi di una copia de visu (Delle Foglie, 2004). Recentemente è stato proposto di posticipare tale esperienza romana tra il 1442 e il 1449, ponendola in linea con il nuovo ideale celebrativo espresso nei trionfi dell’arco di Castel Nuovo, commissionato da Alfonso il Magnanimo (Ferro, 1995, p. 97).
Il M. è comunque nuovamente a Napoli a partire dal 1438, rientratovi probabilmente dopo il soggiorno romano, nel momento in cui Renato d’Angiò s’impadroniva della città, sostenuto tra gli altri dal duca di Milano Filippo Maria Visconti. In tale anno dovette eseguire la tavola con S. Antonio e angeli per l’altare della cappella collocata nel transetto sinistro di S. Lorenzo Maggiore, denominata nelle guide antiche cappellone della Regina, poiché Margherita d'Angiò Durazzo, madre di Ladislao I, vi aveva voluto collocare nel 1409 tutti i sepolcri dei membri della propria casata. La figura del santo fu ridipinta da un pittore prossimo all’anonimo abruzzese detto Maestro di San Giovanni da Capestrano attorno al 1460, mentre gli angeli presentano una forte analogia stilistica con quelli dell’Incoronazione della Vergine della cappella Caracciolo (Bologna, p. 108).
Nel 1438 furono miniate le armi di Renato d’Angiò nel Libro d’ore della Confraternita di S. Marta (Napoli, Archivio di Stato, Manoscritti, 99 c. I, f. 14), fondata dalla regina Margherita per accogliervi gli elementi di spicco della nobiltà napoletana, che la critica concordemente attribuisce al M. (Toscano, 1998; Id., 2004, pp. 131-134).
Successivamente l’artista eseguì per volontà del nuovo sovrano anche quelle degli altri componenti della confraternita appartenenti al casato angioino quali la fondatrice Margherita, morta nel 1412 (f. 4), Carlo III di Durazzo (f. 3), Ladislao (f. 5), della moglie Maria di Lusignano (f. 6) morta nel 1404, e della regina Giovanna II (f. 7), entrata nella confraternita nel 1405 e morta nel 1435.
In questi stessi anni è riferibile al M. anche la decorazione del Petrus Baldus de Ubaldis, Lectura super codicis libris II, III, V, X, XI (New York, The Pierpont Morgan Library, ms. 441-442).
Il codice in due volumi contiene il commento giuridico di Pietro degli Ubaldi da Perugia (1327-1406) sul Codice di Giustiniano, copiato a Napoli nel 1439 da Berteramo de Forciato di Castelluccio e Petrus Pictzenini per Jacobus de Fucio, probabilmente un professore dello studium (Toscano, 2004, pp. 134 s.). La prima pagina di ogni volume presenta nella parte superiore una miniatura accompagnata da fregi di acanto, raffiguranti scene a carattere giuridico (ms. 441, f. 1r; ms. 442, f. 1r), stilisticamente coincidenti con quelle della Vita della Vergine in S. Giovanni a Carbonara nonché con la miniatura con Renato d’Angiò nel codice di S. Margherita.
Con la definitiva caduta della dinastia angioina (1442), il M. passò al servizio del nuovo sovrano napoletano Alfonso il Magnanimo, che il 10 dic. 1449 lo nominò primo pittore di corte e suo familiare.
Tale privilegio è stato messo in relazione all’orientamento artistico del nuovo sovrano, che sembra propendere per un gusto tardogotico attestato soprattutto dalla presenza in quello stesso periodo a Napoli di Pisanello, e dovrebbe essere interpretato come eloquente atto di stima nei confronti dell’artista lombardo (Maresca, p. 38). L’importanza del documento non trova però corrispondenza con l’attività del M. presso la corte aragonese, della quale rimane testimonianza solamente tramite le cedole della tesoreria reale, non conservandosi infatti nessuna delle opere realizzate in questi anni. Da tali documenti sembra possibile affermare piuttosto che il M. non ebbe un ruolo da protagonista fra gli artisti operanti per Alfonso (Toscano, 2004, p. 135).
Il 18 febbr. 1451 il M. ricevette dei pagamenti per avere dipinto una cattedra probabilmente per un professore di teologia remunerato dalla corte (De Marinis). Nel 1454 era impegnato con Antonello da Perrino nelle decorazioni pittoriche «da servire per i funerali del re di Castiglia» (Filangieri). Due anni dopo gli fu corrisposta assieme con Francesco Alopo, Agnello Abbate e Minichello Battipalla la cifra di 46 ducati per avere dipinto «stendardi e bandiere con le armi del re, da porsi in piatti di confetture servite in vari conviti» (ibid.). Nello stesso anno eseguì anche la perduta decorazione della camera degli Angeli nella torre Vivarella in Castel Nuovo (Minieri Riccio), unica committenza di rilievo riferibile all’ultima fase della sua carriera.
Solleva alcune perplessità un atto notarile del 23 giugno 1488, conosciuto soltanto attraverso una trascrizione ottocentesca, secondo il quale il M. avrebbe preso presso la sua bottega tale «Johannes Ranerij» di Tournai, suggerendo così che l’attività del pittore si sia svolta nell’arco di almeno sessantasette anni in base al primo documento conosciuto che lo riguardi. Piuttosto probabile invece che tale data tarda sia un errore di copiatura e quindi interpretabile come 1448, 1458 o 1468.
La data e il luogo di morte del M. non sono noti.
Fonti e Bibl.: C. Minieri Riccio, Gli artisti che lavorarono in Castel Nuovo al tempo di Alfonso I e Ferrante I, Napoli 1876, p. 6; H. Brockhaus, Leonardo da Bissucio, in Gesammelte Studien zur Kunstgeschichte. Eine Festgabe zum 4. Mai 1885 für Anton Springer, Leipzig 1885, pp. 42-63; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle province napoletane, V, Napoli 1891, p. 58; N.F. Faraglia, La tomba di Sergianni Caracciolo in S. Giovanni a Carbonara, in Napoli nobilissima, VIII (1899), pp. 20-23; P. Toesca, Michelino da Besozzo e Giovannino de' Grassi: ricerche sull'antica pittura lombarda, in L' Arte, VIII (1905), p. 323; L. Serra, Gli affreschi della Rotonda di S. Giovanni a Carbonara, in Bollettino d’arte, III (1909), pp. 121-136; P. Toesca, La pittura e miniatura nella Lombardia, Torino 1912, ad ind.; A. Filangieri di Candida, La chiesa e il monastero di S. Giovanni a Carbonara, Napoli 1924, ad ind.; G. Urbani, Leonardo da Besozzo e Perinetto da Benevento dopo il restauro degli affreschi di S. Giovanni a Carbonara, in Bollettino d’arte, s. 4, XXXVIII (1953), pp. 41-49; T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re d’Aragona, II, Milano-Verona 1957, p. 230; W.A. Simpson, Cardinal Giordano Orsini (1438) as a prince of the church and a patron of the arts, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXIX (1966), p. 137; R.L. Mode, Masolino, Uccello and the Orsini «Uomini famosi», in The Burlington magazine, CXIV (1972), pp. 369-378; F. Bologna, Napoli e le rotte mediterranee della pittura da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, Napoli 1977, ad ind.; A. Cirillo Mastrocinque, Leonardo da Besozzo e Sergianni Caracciolo in S. Giovanni a Carbonara, in Napoli nobilissima, s. 3, XVII (1978), pp. 41-49; M. Boskovits, Arte lombarda del primo Quattrocento: un riesame, in Arte in Lombardia tra Gotico e Rinascimento (catal.), a cura di M. Boskovits, Milano 1988, p. 40; M. Ferro, Masolino da Panicale e gli affreschi di Montegiordano, in La Diana. Annuario della scuola di specializzazione… Siena, I (1995), p. 97; P. Leone De Castris, Quattrocento aragonese: la pittura a Napoli al tempo di Alfonso e Ferrante d’Aragona (catal.), Napoli 1997, pp. 46-48; S. Bandera, in Pittura a Milano dall’Alto Medioevo al Tardogotico, a cura di M. Gregori, Milano 1997, pp. 235 s., 244 s.; F. Abbate, Storia dell’arte nell'Italia meridionale. Il Sud angioino e aragonese, Roma 1998, ad indicem; G. Toscano, La miniatura a Napoli da Renato d’Angiò ad Alfonso il Magnanimo, in La Biblioteca reale di Napoli al tempo della dinastia aragonese (catal., Napoli), a cura di G. Toscano, Valencia 1998, pp. 329, 330, 335; Id., Leonardo da Besozzo à Naples…, in Pierre, lumière, couleur. Études d’histoire de l’art du Moyen Âge en l’honneur d’Anne Prache, Paris 1999, pp. 413-424 ; Id., in El Renacimiento mediterráneo... (catal., Madrid-Valencia), a cura di M. Natale, Madrid 2001, pp. 79-99; Id., Aggiunte a Leonardo da Besozzo, in Arte medievale, n.s., III (2004), 2, pp. 125-137; A. Delle Foglie, Leonardo da Besozzo e Masolino: un dialogo tra Roma, Castiglione Olona e Napoli, in Arte lombarda, n.s., CXL (2004), 1, pp. 56-63; F. Maresca, Leonardo da Besozzo: un documento aragonese del 1449 rimasto in ombra. Qualche osservazione sugli affreschi della cappella Caracciolo del Sole, in Interventi sulla «questione meridionale», a cura di F. Abbate, Roma 2005, pp. 37-45; A. Delle Foglie, Leonardo da Besozzo e la cappella Caracciolo del Sole…, in Universitates e baronie: arte e architettura in Abruzzo e nel regno al tempo dei Durazzo. Atti del Convegno..., Guardiagrele-Chieti… 2006, a cura di P.F. Pistilli - F. Manzari - G. Curzi, Pescara 2008, pp. 289-302.