LEO, Leonardo de (di)
Nacque a San Vito degli Schiavi (l'odierna San Vito dei Normanni, nel Brindisino) il 5 ag. 1694, secondogenito di Corrado e di Rosabetta (Elisabetta) Pinto. Rimasto orfano di padre in tenera età, a 6 anni fu avviato allo studio della musica dallo zio Stanislao de Leo, cantore della matrice di San Vito. Grazie all'interessamento di un altro parente, il dottor fisico Teodomiro de Leo suo padrino, nel 1709 poté trasferirsi a Napoli come allievo esterno del conservatorio di S. Maria della Pietà dei Turchini, andando ad abitare in una casa dello stesso conservatorio nella parrocchia di S. Giuseppe Maggiore. Allievo di N. Fago e, per il canto, di A. Basso, il L. è stato anche ritenuto allievo in Roma di G.O. Pitoni.
Terminati gli studi, negli ultimi due anni di tirocinio, come d'uso per i migliori allievi del conservatorio, il L. propose nel teatrino della Pietà due sue composizioni, il dramma sacro L'infedeltà abbattuta in Assisicon la fuga dei saraceni a gloria di s. Chiara (testo di G. Maggio, 1712), subito replicato al teatro di palazzo Vicereale, e l'oratorio Il trionfodella castità di s. Alessio (N. Corvo, 1713), composizioni che gli meritarono l'attenzione dell'ambiente napoletano e i primi utili impieghi. Nell'aprile del 1713 il L. venne infatti nominato organista sopranumerario della cappella vicereale (vi diverrà primo organista nel 1725), quindi maestro di cappella del marchese Rocco Stella (1715), del principe Nicola di Sannicandro e della chiesa di S. Maria della Solitaria (1717).
Sposatosi il 14 giugno 1713 con Anna Teresa Losi, sorella di Nicola e Saverio, anch'essi allievi dei Turchini, il L. andò a vivere nel distretto di S. Anna a Palazzo (strada della Gallitta).
Poco si sa dei figli nati dal matrimonio (Rosa, 1714; Gaetano, 1716; Gennaro, 1717; Pasquale, 1721; Maria Maddalena, 1724): tracce documentarie restano in merito a Rosa, andata sposa nel 1741 a Nicola Fabi, protetto della principessa Maria Caracciolo, e a Maria Maddalena, a cui nel 1744 furono invece impedite, per intervento del regio uditore Bernardo Ulloa e malgrado la formale protesta del L. (Arch. di Stato di Napoli, Atti dei notai, 1744, F. Manduca, c. 463), le nozze riparatrici con il nobile Paolo Morelli.
Intanto, a partire dal 1714, il L. aveva cominciato a musicare libretti di estrazione arcadica per il teatro di S. Bartolomeo. Potendo contare su alcuni dei più grandi virtuosi dell'epoca, ricalcò con successo il modello scarlattiano, componendo Pisistrato (D. Lalli, 1714), Sofonisba (F. Silvani, 1718) e CajoGracco (S. Stampiglia, 1720); opere che, avendo per interprete di spicco il soprano Marianna Benti Bulgarelli, furono subito replicate a palazzo vicereale. Quindi, nel 1725 il giovanissimo sopranista C. Broschi (Farinelli) contribuì alla fortuna della ZenobiainPalmira (A. Zeno).
Nel contempo, il L. si adattava a scrivere anche scene buffe (ottimo interprete ne fu il basso G. Corrado), arie e prologhi da inserire in opere serie altrui, quali Eumene (1715), Sesostri (1717) e Bajazet (1722), con musiche di F. Gasparini; Rinaldo (di G.F. Händel, 1718) e Ariannae Teseo (di N. Porpora, 1721), ove campeggiarono il soprano Faustina Bordoni e il contraltista N. Grimaldi, all'epoca anche direttore del S. Bartolomeo. Del 1724 è poi Turno Aricino, per una più estesa collaborazione con L. Vinci. La coeva committenza di serenate encomiastiche conferma il gradimento raggiunto dal L. presso l'alta aristocrazia: Il gran giorno d'Arcadia (1716), per la nascita del primogenito dell'imperatore Carlo VI; Diana amante (1717), in onore della contessa Daun; Le nozze in danza (1718), per lo sposalizio del principe di Sannicandro; In lode dell'ammiraglio Binghs plenipotenzario del re d'Inghilterra (1719), eseguita a casa Grimaldi con intervento dello stesso contraltista e della Benti Bulgarelli; Onore e Virtù (1722), per il genetliaco dell'imperatrice Elisabetta Cristina.
Tuttavia, la compresenza, fra gli altri, di D. Sarro, F. Mancini, Vinci, Porpora e J.A. Hasse, maestri che a Napoli occupavano posti chiave per la produzione musicale e l'attività didattica, impedì al L. di emergere pienamente fino al 1730, anno in cui appunto Vinci moriva, Hasse si trasferiva a Venezia sulle orme di Porpora, e Sarro e Mancini cominciavano a diradare gli impegni compositivi. La gara emulativa apertasi alla metà degli anni Venti fra i citati maestri trova peraltro una suggestiva vetrina nell'edizione delle Dieci tragedie cristiane dedicate dal duca Annibale Marchese all'imperatore Carlo VI, per le quali "dieci musicisti napoletani de' più dotti in materia" scrissero i cori di fine atto in stile monodico (al L. toccarono quelli della Sofronia).
Anche in ragione dell'affollamento della piazza napoletana si spiegano i primi contatti aperti dal L. con i maggiori teatri di Roma: Capranica (Il trionfo di Camillaregina dei Volsci, S. Stampiglia, 1726; Il Cid, G. Alberghetti, 1727), Pace (Ariannae Teseo, 1729, nuova ed. tutta con musica del L.) e delle Dame (Evergete, Lalli, 1731); nonché con quelli di Venezia: S. Angelo (Timocrate, Lalli, 1723) e S. Giovanni Crisostomo (Catone in Utica, 1729, con D. Gizzi, Grimaldi e Farinelli: è il primo libretto metastasiano musicato dal L., cui farà seguito nello stesso teatro, nel 1735, La clemenza di Tito).
D'altra parte, dilatando la giovanile esperienza di interpolatore di scene buffe, a Napoli il L. collaborò con teatri alternativi al S. Bartolomeo specializzati nel genere comico e dialettale di ambientazione borghese-popolare e perciò all'epoca considerati "minori", malgrado la crescente affluenza di pubblico pagante. Per la compagnia del teatro dei Fiorentini, di cui faceva parte come basso buffo il cognato N. Losi, scrisse tra il 1723 e il 1726 La 'mpeca [imbroglio] scoperta, Lo pazzo apposta e L'ammorefedele (tutti su versi di F. Oliva), Le fente zingare e Donna Violante (F.A. Tullio); e ancora La semmeglianza de chi l'ha fatta (D. Senialbo, 1726); Lo matremmoneio annascuso (S. Maltrano, 1727). Per il teatro Nuovo, gestito dall'impresario A. Carasale: Orismene ovvero Dalli sdegni l'amore (C. de Palma, 1726); La pastorella commattuta (T. Mariani, 1728) e La schiava per amore (Id., 1729); Rosmene (B. Saddumene, 1730). Si deve proprio alla cura compositiva del L. se il genere cominciò allora ad affacciarsi con nuova dignità d'arte nell'ambito della tradizione lirico-drammatica, pur mantenendo l'impronta caratteristica derivatagli dall'uso di modelli popolareggianti.
È comunque negli anni Trenta che la fortuna del L. conobbe un deciso incremento in ogni campo: chiamato a sostituire G. Sarcuni alla cattedrale, iniziò nel contempo la scalata al ruolo di maestro della Cappella Vicereale, ove già era primo organista in successione ad A. Scarlatti. Così, nel 1730 il L. subentrò a Vinci come provicemaestro e nel 1737 a Mancini come vicemaestro. L'entrata a Napoli dei Borbone fu di incentivo al cursus del L., che nel gennaio del 1744 fu nominato infine primo maestro della nuova Cappella Reale, al soldo di 35 ducati annui e in successione a Sarro. Nei quindici anni di servizio presso l'istituzione il L. scrisse messe (dalla formazione più severa per 4 voci e basso continuo, a quella più fastosa per soli, doppio coro a 5 voci e doppia orchestra), mottetti concertati, salmi, inni e lezioni, per lo più informati a quello stile così detto "misto", per cui sensibilità armonica, tecniche concertanti e stile osservato palestriniano si alternano ovvero si contemperano con lirica espressività. L'esito è sostanzialmente analogo a quello percepibile nella coeva produzione del "rivale" F. Durante, esponente di una tradizione sacra solo virtualmente contrapponibile all'esperienza maturata dal L. nel campo. Per la Cappella Reale il L. compose anche i suoi più celebri oratori su versi metastasiani, S. Elena al Calvario (1732, portata al successo dai sopranisti G. Conti e D. Gizzi) e La morte di Abel (1733). Più ecletticamente orientati, così come le cantate sacre, verso il sistema operistico, tali oratori conobbero numerose repliche in tutta Italia, procurando al L. nuove committenze nel genere: Lagloria restituita al Calvario (Bologna 1734), S. Francesco da Paolaneldeserto (Lecce 1738), Il Verbo eterno e la Religione (Firenze 1741). Esperienza ambiguamente sospesa fra oratorio, azione sacra e melodramma è poi l'Opera di s. Genoviefa (1743: non se ne conoscono rappresentazioni).
Anche la coeva attività didattica nei conservatori sancisce il crescente prestigio del L.: dal 1734 al 1737 vicemaestro e dal 1741 primo maestro alla Pietà in successione a Fago, dal 1739 fu primo maestro al S. Onofrio in successione a F. Feo. Le opere didattiche pervenute, nonché la serie di allievi che vanteranno ascendenza diretta (P. Cafaro, G. Bonno, G. Sciroli, N. Piccinni, D. Fischietti, N. Sala, M. Valentini) o indiretta (G.B. Pergolesi, N. Jommelli), sono tutte testimonianze dell'alto magistero mantenuto nel tempo dal Leo. Significativa per la peculiare disposizione del L. a coniugare scienza contrappuntistica, cantabilità armonicamente generata e sensibilità timbrica, è la produzione da camera risalente a quegli anni: 2 Concerti per flautoe archi, 6 Concerti di violoncellocon violiniper esclusivo servizio del duca di Maddaloni (1737-38) e il Concerto per 4 violini obbligatiper servizio del marchese del Vasto, paragonabile per complessità di scrittura a un concerto grosso händeliano (Moser, p. 239).
Sempre negli anni Trenta si infittirono le presenze del L. al S. Bartolomeo. Su richiesta dell'impresario Carasale, non solo tornò a ricalcare filoni tradizionali, componendo Nitocri reginad'Egitto (Zeno, 1733), Il castellod'Atlante (Mariani, 1734; con G. Majorano [Caffarelli], nuovo sopranista della Cappella Reale), LucioPapirio (A. Salvi, 1735), Farnace (Lalli, 1736), ma soprattutto il L. assecondò il crescente gradimento del pubblico verso i nuovi libretti metastasiani, musicando Semiramide (1730); Il Demetrio (1732, riproposto integralmente a Roma per il carnevale del 1742 al teatro Argentina; fu rimaneggiato nel 1735 per il teatrino dei principi di Sangro a Torremaggiore; Napoli, teatro S. Carlo, estate 1738, con la collaborazione di Fago, de Majo, Logroscino e R. Broschi), l'Emira (1735), prima opera del L. a essere eseguita in Austria (Salisburgo 1749).
Funzionale a mostrare in equilibrata e razionale alternanza i più nobili affetti, l'opera metastasiana del resto si conferma protagonista assoluta delle stagioni successive. L'onnipresente Carasale, impresario anche del S. Carlo (il nuovo teatro voluto dai Borbone), commissionò essenzialmente titoli del Trapassi, e L. fece la sua parte musicando per 220 ducati l'Olimpiade (1737, seconda opera della stagione inaugurale), ove trionfò il contralto Vittoria Tesi nel ruolo di Megacle.
Considerata un capolavoro nel genere per l'orientamento "affettivo" tanto delle formule belcantistiche quanto dell'invenzione strumentale, l'opera, nelle sue 21 arie e 1 duetto (tutti con il da capo), risplende di madrigalismi intesi a dilatare nel suono l'elegante segno poetico, anche con il ricorso ad ardite soluzioni cromatiche sui passi più patetici (atto II, scena 9: Se cerca, se dice). L'orchestrazione è appunto protagonista al pari del canto nel gioco espressivo, come dimostra l'inedita dilatazione dei ritornelli introduttivi alle arie, il continuo rinvio tematico fra diversi registri, l'accurata selezione e combinazione di timbri e dinamiche a seconda delle passioni messe in campo (I, 3: Quel destrier, con trombe lunghe e timpani; II, 14: Gemo in punto, con archi ora in tremolo ora a note sbalzate).
Il ritmo produttivo imposto dalla nuova gestione teatrale (il S. Carlo è fin da principio sotto la vigilanza del regio uditore) si scontra tuttavia con la disposizione alla scrittura lenta e accurata del L., oberato da crescenti responsabilità didattiche e compositive. Resta indicativo, in merito, l'aneddoto sulla guardia messa dall'uditore B. Ulloa a sorvegliare che il L., già impegnato nell'elaborazione della festa teatrale Le nozze di Psiche con Amore (1738), consegnasse in tempo per il matrimonio di Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia anche la partitura rinnovata del citato Demetrio (accorgimento inutile, così che l'opera andò in scena in forma di "pasticcio"). Di seguito il L. partecipò alla realizzazione di altri pasticci su testi metastasiani, quali: Demofoonte (1735, con Sarro e Mancini); Artaserse (1738) e Temistocle (1738, con Vinci e G.A. Ristori); Issipile (1742, nella partitura di Hasse il L. inserisce arie a uso del Caffarelli). Malgrado il ricorrente obbligo a dividere le committenze più prestigiose con altri maestri celebri, il L. poté omaggiare la nuova casa regnante musicando ad hoc intermezzi (L'impresario delle Canarie, Metastasio, Madrid 1739, per il matrimonio di Filippo di Borbone, poi replicato in tutt'Italia) e feste teatrali (Decebalo, Napoli 1743; La contesa dell'Amore e della Virtù, ibid. 1740, in onore del principe ereditario di Spagna). Alla stessa epoca risalgono 12 Arie per servizio della principessa del Brasile (1741, perdute).
Dopo l'"incidente" del Demetrio il L. scrisse exnovo per il S. Carlo soltanto L'Andromaca (ed. Salvi), portata al successo nel 1742 dal solito Caffarelli; d'altra parte, per le stagioni 1742-43, offrì in replica Ciro riconosciuto e Olimpiade, inserendovi, con ardire inconsueto per le scene napoletane, cori in stile mottettistico, affidati in esecuzione agli allievi della Pietà. Nello stesso periodo, su incarico di Domenico Barone marchese di Liveri (succeduto al Carasale nella gestione del teatro), il L. avviò la prima grande riforma dell'orchestra del S. Carlo, portandola a 55 elementi (4 oboi, 3 fagotti, 4 trombe e corni, 30 violini, 6 viole, 2 violoncelli, 4 contrabbassi e 2 cembali).
L'autorevolezza del L. è massima anche fuori di Napoli: indicato nel carteggio di padre G.B. Martini (Schnoebelen) quale uno dei migliori maestri del tempo, il L. musicava libretti metastasiani per il teatro Malvezzi di Bologna (Siface, 1737, ripreso a Lisbona nello stesso anno) e il Regio di Torino (Ciroriconosciuto, 1739; AchilleinSciro, 1740). Si segnalano inoltre: ScipionenelleSpagne (Zeno, Milano, teatro Ducale, 1740); Vologeso re de' Parti (da Zeno, Torino, Regio, 1744, con il sopranista G. Conti [Giziello] e la direzione di G. Somis).
È soprattutto la corte torinese a tributare al L. sotto vario titolo il trionfo che a Napoli doveva invece condividere con altri maestri; andrebbe anche inteso come un tentativo della corte sabauda di assicurarsi per più lungo termine i servigi del maestro napoletano il generoso vitalizio (100 once d'argento) offerto da Carlo Emanuele III per la composizione del Miserereconcertatoa due cori a 4 voci con accompagnamento di due organi (1739), opera costruita nell'alternanza di 20 pezzi tra polifonici (a procedimento accordale, fugato o di semicori in contrappunto fiorito) e solistici di carattere recitativo-salmodico.
Ma Napoli rimase piazza elettiva del L. che infatti, non solo rinnovò vecchie partiture altrui (teatro Nuovo, 1732: Lavecchiatrammera [megera], di A. Orefice e La festa di Bacco, di Vinci, entrambe su versi di F.A. Tullio; 1733: La Rosilla, ancora di Orefice, versi di A. Oliva); ma soprattutto elaborò titoli nuovi, considerati vertice insuperato nel genere. Al Nuovo si segnalano Amore mette sinno (libretto di Mariani; 1732); La simpatia del sangue (P. Trinchera; 1737); L'ambizione delusa (D. Canicà; 1742). Ma resta memorabile fra tutti la trilogia su versi dell'avvocato G.A. Federico (all'epoca già celebre per aver collaborato con Pergolesi): Amor vuol sofferenza (1739), dedicato a Lelio Carafa, duca di Maddaloni, principale mecenate napoletano del L., L'Alidoro (1740) e Il fantastico (1743). Nel contempo al teatro dei Fiorentini andarono in scena Onorevinceamore (1736), L'amico traditore (1737), Il conte (Federico, 1738), La fedeltàodiata (A. Palomba, 1744).
Amor vuol sofferenza (ed. integrale a cura di G.A. Pastore, Bari 1962) è in assoluto il titolo più famoso del L., lodato da esegeti di ogni epoca per finezza e varietà di scrittura (Pastore, pp. 80-83). Alla vivace sceneggiatura di Federico sul tema della catena di amori non corrisposti, il L. applica diffusamente stilemi recitativi, lirici e di orchestrazione propri dell'opera eroica, ottenendo così un duplice risultato: da un lato, altisonanti arie di paragone o di furia, in bocca a personaggi antieroici per eccellenza, sortiscono ossimori esilaranti (I, 10: Se l'oscia; II, 7: Quel gran torrente; III, 9: Sono appunto un pastorello); dall'altro, l'eleganza di certe formule lirico-strumentali esalta la delicatezza di nuovi caratteri, soprattutto femminili, non necessariamente comici (Eugenia, I, 6: Mi vuol già misera, I, 14: Si fa soave). Il L. non rinuncia, per altro verso, a rituali imprestiti popolareggianti (canzoni a dispetto, ritmi di danza, tamburelli e colascioni in scena, come nel duetto dialettale di Mosca e Vastarella, III, 15: Io vorria) e a deformazioni burlesche, quali sillabazioni onomatopeiche, sticotimie serrate, guizzi ritmici, improvvisi salti melodici, intesi tutti a esaltare in specie le peculiarità espressive del basso così detto parlante, ruolo all'epoca ancora sostenuto dal buffo G. Corrado (qui nei panni di Tonti, borghese tanto ricco quanto stolido). A segnalare l'acme del viluppo drammatico il L. utilizza poi sia recitativi obbligati (3 nel titolo in oggetto) sia brani d'assieme, che per dinamismo scenico-musicale precorrono i concertati dell'opera buffa.
La morte sorprese il L. intento a rielaborare appunto Amor vuol sofferenza il 31 ott. 1744, a Napoli. Fu sepolto nella chiesa di Monte Santo, nella cappella dei musici di real palazzo intitolata a S. Cecilia.
Amor vuol sofferenza, presto famosa anche fuori dall'Italia, tornò in scena al Nuovo sotto il titolo de La finta frascatana, con arie e recitativi aggiunti da M. Capranica. Analoga sorte toccò a Il fantastico, rinnovato da Palomba e P. Gomes come Il nuovo don Chisciotte per il teatro dei Fiorentini (1748). Del resto, alla metà del secolo il L. ancora contendeva a Pergolesi il ruolo di esponente esemplare del musicale "genio" napoletano (J.-J. Rousseau, Dictionnaire de musique, Genève 1767, s.v. Génie). Dopo l'entusiasmo per La frascatana di De Brosses ("Quelle invention! Quelle harmonie! Quelle excellente plaisanterie musicale", p. 1013), anche i "buffonisti" parigini accolsero con gran favore negli anni '50 Iviaggiatori del L., rifacimento de Il Giramondo (Palomba, Firenze 1743, teatro del Cocomero). In seguito la fama dell'autore restò più legata al campo didattico (nel viaggio italiano del 1770 Ch. Burney fece incetta di solfeggi del L., peraltro editi a Parigi fino al 1822) e sacro: così che, se attraverso le missioni gesuitiche le opere del L. si diffusero in America Latina (sopravvivendo alle stesse missioni), a fine Ottocento è possibile che Wagner mutui l'idea dei cori infantili del Parsifal (Der Glaube lebt) dall'ancora celebre Miserere, ritenuto pure da Verdi brano utile alla riformanda didattica dei conservatori (Pastore, pp. 139 s.). E questo fino alla metà del Novecento, quando una vera e propria rinascenza leana avvia il recupero in toto della produzione del Leo. Dal 1998 a San Vito dei Normanni opera un Centro studi e documentazione che, intitolato al L., è anche promotore di un festival barocco e di un progetto per l'edizione dell'operaomnia dell'autore.
Le composizioni del L. sono conservate in biblioteche italiane (principalmente nei conservatori di Napoli e Milano e presso il Civico Museo bibliografico musicale di Bologna) ed estere (soprattutto Vienna, Österreichische Nationalbibliothek; Bruxelles, Bibliothèque du Conservatoire royal; Parigi, Bibliothèque nationale de France; Londra, British Library; Washington, D.C., Library of Congress). Per una collocazione aggiornata cfr. i cataloghi di G.A. Pastore (Don Lionardo. Vita e opere di L. L., Cuneo 1994) e R. Krause (Die Musik in Geschichte und Gegenwart, ed. 2004, sub voce).
Musica sacra (con basso continuo): Ordinarium Missae: 8 messe complete (1733-44: 1 a 4 voci; 1 a 5 voci e orchestra; 3 per soli, coro e orch.; 1 per soli, doppio coro e archi; 1 per soli, doppio coro e doppia orchestra - anche versione con orchestra unica) e vari brani singoli (Kyrie per 4 voci e orchestra; Gloria per alto, doppio coro e orchestra; Credo per 4 voci e Credo per soli, coro e violini; Credo-Sanctus-Agnus per doppio coro e archi). Proprium Missae: 7 introiti (1 del 1719, 6 del 1744), 7 graduali e 3 Alleluja (tutti del 1744); 6 offertori; 3 communi; 1 Improperium. Salmi: 3 Miserere completi (per 4 voci; 4 voci e violini; doppio coro a 4 voci, 1739, revisione di H.W. Hitchcock, Saint Louis 1961 e R. Ewerhart, Heidelberg 1962) e 2 Miserere a 2 strofe (soprano e coro); 9 Dixit Dominus (1 per soli e coro; 6 per soli, coro e orchestra; 2 per soli, doppio coro e orchestra); Confitebor per coro a 4 voci e violini; 2 Beatusvir (per alto e violini; per soli, coro e orchestra); 3 Laudate pueri (per soli e doppio coro; per alto e orchestra; per basso, violino e corno); versetti sciolti dai salmi CXII, CXV e CXVI. Cantica e inni: 2 Magnificat per soli, coro e archi (revisione di R.J. Bloesch, Minneapolis 1976); Pange lingua per doppio coro e doppia orch.; Ave Maris Stella per 2 soprani e archi; Te Deum per 4 voci e orchestra (1744). Uffici: 3 Christus (per soprano; 2 soprani; soprano, coro e archi); 2 SalveRegina (soprano e archi); 27 responsori a 4 voci per la settimana santa (1744) e 1 per soli, coro e archi per S. Antonio da Padova. Lezioni: ciclo completo per la settimana santa per soprano e alto (1744); 5 brani sciolti (3 per soprano, 2 per alto). Litania per coro e archi. Mottetti: 2 per soprano; 5 per soprano e archi; 2 per soprano e orchestra; 1 per alto e archi; 1 per 4 voci e orchestra; 2 per soli, coro e orchestra; 1 per soli, doppio coro e orchestra. Cantate, arie e duetti: Cantataper s. Vincenzo Ferreri per soli, coro e orchestra (1733); Cantataper il miracolo di s. Gennaro a 5 voci e orchestra (perduta); 11 cantate spirituali a voce sola (4 per soprano; 7 per alto); 4 arie per voce sola e strumenti (2 per soprano, 2 per tenore); 2 duetti con archi (per 2 soprani; per alto e soprano). Oratori oltre quelli indicati in precedenza: Dalla morte alla vita di s. Maria Maddalena Eremita (C. de Petris, Atrani d'Amalfi 1722, perduto); Per la Ss. Vergine del Rosario a 4 voci con 2 violini, viola e basso continuo (Napoli 1724); La Vergine addolorata per i tormenti del suo Ss. Figlio (Palermo 1729); Perla festa di s. Vincenzo Ferreri (forse 1733); Il trionfo della Croce (Torino 1762); La Passione (Metastasio); Saul et Gionata.
Musica profana: cantate (con basso continuo): 19 per soprano; 8 per alto;13 per soprano e archi; 1 per alto e violino; 1 per soprano, alto e basso (Le nozze di Jole ed Ercole); 4 per soprano, alto, basso, oboe e violini. Inoltre circa 260 arie, per lo più da opere teatrali. Musica strumentale: oltre i lavori citati in precedenza si segnalano 2 trii per flauto, violino, fagotto o violoncello (ed. Londra 1795 circa); 14 toccate per cembalo (ed. Londra 1708; revisione di C. Prontera, Roma 1996); Pastorale e trattenimento per organo; 8 fughe, 1 marcia (2 versioni) e 3 minuetti per strumenti a tasto.
Opere didattiche: Solfeggi per soprano e alto (anche ed. Parigi 1722-1822); Instituzioni,o Regole del contrappunto e Lezionidi canto fermo (1739); Esercizi sulle mutazioni; fughe a 4, 6, 8 voci; Partimenti (186 pezzi, 1739 circa - 1744); canone So che vanti uncore a 3 voci.
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