DANDOLO, Leonardo
Figlio secondogenito del doge Andrea del ramo di S. Luca e di Francesca Morosini, nacque probabilmente nel 1326. Lo troviamo ricordato per la prima volta in un documento del 24 nov. 1351, ove appare testimone in Treviso alla concessione della nobiltà rusticana alla famiglia Martignago: non è ancora indicato con il titolo di "cavaliere" (miles), che gli sarà conferito qualche anno più tardi, ma semplicemente come figlio del doge allora in carica. In seguito il suo nome compare in un atto del notaio Raffaino de' Caresini del 24 marzo 1352 assieme con quello del fratello Fantino. Il 10 febbr. 1353 il doge Andrea dispose a favore del figlio Leonardo lasciandogli 1.000 ducati d'oro.
Il 23 dic. 1357, durante la guerra con l'Ungheria che terminò con la perdita della Dalmazia, il D. fu eletto sopracomito di galera agli ordini di Bernardo Giustinian, capitano generale del mare, con il compito di proteggere Sebenico. Nel 1361, dopo la morte di Giovanni Dolfin, concorse al dogato in ballottaggio con Pietro Gradenigo, figlio del doge Bartolomeo, Marco Corner e il procuratore Andrea Contarini. Fu invece eletto Lorenzo Celsi, che al momento era capitano generale del Golfo. Il 29 settembre dello stesso anno ospitò nella sua casa il duca d'Austria, in visita ufficiale a Venezia: il duca si trattenne presso di lui per sei giorni. Cade in questi anni una sua missione diplomatica presso il re d'Ungheria, nel corso della quale fu creato cavaliere (miles) da quel sovrano: in seguito il nome del D. appare sempre accompagnato, nei documenti, dal titolo di miles. Nel 1363, probabilmente in maggio, il D. fu eletto duca di Candia. Non vi sono dubbi circa questa nomina, malgrado l'esistenza di almeno un altro Leonardo Dandolo a lui contemporaneo (e che morì prigioniero a Padova nel 1373), perché il cronista Niccolò Trevisan, che fu testimonio oculare degli avvenimenti, attesta che il nuovo duca di Candia era il figlio del defunto doge Andrea Dandolo. All'inizio del suo governo scoppiò la nota ribellione dei feudatari dell'isola, causata dalla pressione fiscale della madrepatria. Il D. si oppose coraggiosamente ai ribelli rischiando di essere ucciso, fu incarcerato e restò prigioniero fino al maggio del 1364 quando l'esercito inviato da Venezia pose fine sanguinosamente alla insurrezione. Subito dopo la liberazione il D. tornò a Venezia, probabilmente con la galera di Pietro Soranzo che giunse per prima nella città ad annunziare la vittoria (4 giugno). Nel 1366, secondo il Cappellari Vivaro, fu mandato ambasciatore in Ungheria per concordare l'aiuto di Venezia contro i Turchi. Il 12 febbr. 1367 fu eletto fra i dodici oratori che con la squadra veneziana e, insieme alle galere inviate dal re di Napoli, da Genova e da Pisa, avrebbero accompagnato da Marsiglia papa Urbano V che tornava a Roma. In particolare il D., con Nicolò Falier, Giovanni Gradenigo e Zaccaria Contarini, fu prescelto dal Maggior Consiglio per far parte del gruppo di dignitari che avrebbero viaggiato sulla stessa nave del papa. Partita da Marsiglia il 20 maggio, il 4 giugno la flotta entrava nel porto di Corneto - il primo compreso nei domini della Chiesa -; il 9 giugno Urbano V fece il suo ingresso in Roma.
In quest'anno il Petrarca cominciò a scrivere il De sui ipsius et multorum ignorantia, il noto opuscolo contro i quattro "averroisti" veneziani, uno dei quali è il Dandolo. Il D. e i suoi amici Guido da Bagnolo, Zaccaria Contarini e Tommaso Talenti avevano infatti intentato una sorta di processo al poeta (probabilmente nel 1366), giungendo alla conclusione che era un uomo dabbene, ma sostanzialmente ignorante. Questo giudizio provocò un forte risentimento nel poeta, che si affrettò a rispondere con uno scritto polemico. Il Petrarca ricorda che i quattro erano soliti frequentare la sua casa a Venezia intrattenendosi a parlare con lui: ne tace il nome, che comunque ci è noto attraverso la glossa di un codice marciano. Qui si legge che erano tutti ricchi, ma non dotti e il meno dotto fra loro era il D. "miles" che, assieme al Contarini "di non molte lettere", era nobile. Venivano poi il mercante Talenti (il cui nome sarà poi legato alla nascita della scuola di Rialto) e il medico Guido da Bagnolo. Quest'ultimo fu medico del re di Cipro e, morendo, lasciò un consistente fondo librario. Tutti e quattro si professavano filosofi aristotelici e averroisti. Il contrasto con il Petrarca, al di là dei motivi immediati di polemica, è indice, in ultima analisi, del dissidio fra due mentalità diverse, che perdurerà nella cultura veneziana fra la scuola della Cancelleria ducale e quella di Rialto. Da una parte stanno i cultori delle discipline letterarie e dall'altra quelli delle scienze esatte, cui evidentemente apparteneva il Dandolo. È inoltre rivelatore, nel caso specifico, della formazione o, per lo meno, delle propensioni culturali del Dandolo.
Rientrato a Venezia, il D. fu eletto podestà di Treviso dove, nell'estate del 1367, ricevette con grandi onori il conte di Savoia Amedeo VI e, il 26 luglio dell'anno seguente, la famiglia del re di Cipro che, di ritorno da Roma, doveva imbarcarsi a Venezia. Il D. lasciò la podesteria di Treviso prima del 18 sett. 1368, quando essa risulta ricoperta da Dardo Polano. Il 14 nov. 1368 il D. era in procinto di assumere il governatorato di Capodistria. Il 6 maggio (probabilmente del 1369) fu chiamato in giudizio dagli avogadori di Comun con l'accusa di aver investito, quand'era sopracomito di galera, un vascello catalano. Questa vicenda giudiziaria si concluse con un'assoluzione. Dopo la repressione della rivolta di Trieste, che era insorta contro la Repubblica di S. Marco con l'appoggio dei duchi d'Austria, il 28 nov. 1369 il D. fu incaricato di avviare le trattative con questi ultimi. Con Nicolò Falier si recò nel Friuli dove prese contatto con gli emissari dei duchi. Questa prima missione fallì. L'accordo venne concluso soltanto il 20 ottobre dell'anno seguente: i duchi rinunciarono alle pretese su Trieste in cambio di un tributo. Nel 1372, alla vigilia della guerra contro Francesco da Carrara, il D. fu eletto fra i tre delegati a trattare con i Padovani nel tentativo di comporre il dissidio tra le due potenze. Poco tempo dopo era fra i savi destinati ad esaminare la questione padovana. Scoppiata la guerra e intervenuti gli Ungheresi in aiuto dei Carraresi, il D. venne nominato provveditore all'esercito assieme a Piero della Fontana: suo compito era quello di coadiuvare il capitano generale delle truppe venete Giberto da Correggio. Caduto quest'ultimo ammalato, il comando passò ai due provveditori, che il 1° luglio 1373 riportarono un'importante vittoria sulle forze ungaro-padovane, facendo prigioniero anche il voivoda Stefano di Transilvania, nipote del re di Ungheria. I due provveditori si alternavano giornalmente nel comando generale e, benché il D. avesse cercato di ingaggiar battaglia il 30 giugno, lo scontro si svolse il 1° luglio, quando il comando spettava al Fontana, che è comunemente ricordato come il vincitore della giornata, al successo della quale, ad ogni modo, il D. contribuì attivamente sostenendo un'ala dello schieramento veneziano. Ammalatosi, verso la fine di agosto o, al massimo, ai primi di settembre, il D. rientrò a Venezia. Fu nominato poco dopo fra i savi eletti sull'annosa questione delle "decime dei morti". Il 21 marzo 1375 era ancora a Venezia, dove fece da testimonio ad un prestito pubblico. Nella primavera del 1376 andò in missione a Faenza presso John Hawkwood, che la Repubblica intendeva assoldare per combattere Leopoldo d'Austria, il cui esercito aveva attaccato Treviso. Il 14 agosto fu inviato a Padova per ratificare a nome della Repubblica la lega da poco conclusa contro l'Asburgo. In ottobre raggiunse in zona di operazioni l'esercito veneziano con il compito di provvedere alle sue necessità urgenti. Ebbe quindi l'incarico di avviare trattative per una tregua con gli Asburgo: fu così a Conegliano e, in seguito, in Austria con il procuratore Pietro Corner per definire la pace. Di là tornò, a pace conclusa, nell'ottobre del 1378.
Durante la guerra di Chioggia, in cui la coalizione fra Genova, Padova e l'Ungheria minacciò l'esistenza stessa della Repubblica di S. Marco, il D. ebbe parte attiva nella difesa della capitale. Dopo la sconfitta veneziana a Pola (7 maggio 1379), gli venne affidata la difesa del Lido, che egli cominciò dunque a provvedere di fortificazioni. Partecipò in seguito alla spedizione navale inviata in soccorso di Chioggia, spedizione che raggiunse la città assediata quando era già caduta in mano genovese (16 agosto). Contribuì subito dopo all'armamento straordinario di galere, deciso a Venezia, in un ampio sforzo bellico di fronte all'aggravarsi della situazione militare. Il 26 novembre, il D. venne inviato nel Trevigiano con altri ambasciatori per trattare una pace separata con gli emissari del re di Ungheria; rientrò a Venezia il 10 dicembre successivo senza aver concluso nulla. Col grado di sopracomito partecipò alle operazioni che, tra la fine di dicembre del 1379 ed il giugno dell'anno seguente, portarono alla riconquista di Chioggia (24 giugno 1380). Capitano a Treviso, assediata dagli armati di Francesco da Carrara, il 7 marzo 1381 il D. dovette anche affrontare una pericolosa sedizione delle sue truppe. Per evitare che la città cadesse nelle mani del signore di Padova, la Repubblica decise di offrire Treviso a Leopoldo II d'Austria a condizione che la presidiasse e che si assumesse l'onere della guerra con il Carrara. Il 2 maggio il D. consegnò le chiavi di Treviso ai rappresentanti del duca che presero ufficialmente possesso della città in nome del loro sovrano. Il D. si trattenne a Treviso fino all'11, probabilmente per attendere il duca Leopoldo, che arrivò infatti l'8; quindi tornò a Venezia assieme all'ex podestà di Treviso, Marco Zen. I due funzionari furono scortati da un reparto austriaco sino a Mestre, dove incontrarono gli ambasciatori che il governo della Repubblica inviava presso l'Asburgo. Il 12 ottobre il D. fu inviato insieme con Fantino Zorzi presso il re di Ungheria per la ratifica della pace di Torino dell'8 agosto. Il 16 marzo 1382 venne eletto procuratore di S. Marco a seguito della rinuncia di Pietro Giustinian.
Il D. si rallegrò molto dell'elezione (in cui, tra l'altro, era stato preferito a Carlo Zeno) perché, a suo giudizio, gli avrebbe facilitato il raggiungimento del dogato, carica che era stata l'aspirazione costante della sua vita. Il 6 giugno 1382, alla morte di Andrea Contarini, risulta infatti fra i cinque correttori della promissione ducale e, subito dopo, fra gli elettori del doge e candidato a sua volta in ballottaggio con Michele Morosini. Morto il Morosini pochi mesi dopo (15 o 16 ottobre), fu di nuovo fra i correttori della promissione; fu quindi fra gli elettori di Andrea Venier, dopo aver concorso a sua volta alla nomina.
Il 30 genn. 1383 il D. andò ambasciatore presso il patriarca di Aquileia e, il 4 giugno, fu a Genova con Pietro Emo per giustificare la mancata cessione di Tenedo ad Amedeo VII di Savoia, prevista invece dal dettato della pace di Torino. Il 12 ag. 1384 era fra i savi su una questione riguardante Chioggia. L'anno seguente, a nome del governo della Repubblica, concluse con gli Udinesi una lega quinquennale contro Francesco da Carrara, che aspirava al possesso del Friuli. Nel 1386, secondo il Cappellari Vivaro, andò in missione presso il papa Urbano VI. Nel 1387 fece parte della delegazione inviata in Ungheria per portare al re Sigismondo i rallegramenti della Repubblica per la felice conclusione dell'avventura della consorte, la regina Maria d'Angiò, liberata dagli stessi Veneziani. Gli ambasciatori giunsero presso il re il 19 giugno: il D. si trattenne per qualche tempo, insieme con un collega, presso il sovrano, mentre gli altri quattro rientrarono subito a Venezia. Trattò poi la cessione di Argo e Nauplia di Romania alla Repubblica di Venezia da parte di Maria d'Enghien, cessione che fu formalizzata nel 1388.
Un documento (29 maggio 1395) ricorda il D. a Venezia come depositario, assieme al collega procuratore Marco Zeno, della somma versata dalla contessa di Veglia a parziale estinzione di un debito con la Repubblica. L'11 settembre era a Faenza in missione ufficiale e il 22 gennaio dell'anno seguente è attestato a Venezia, impegnato nei suoi compiti di procuratore. Il 1° nov. 1398 rinunciò alla carica di procuratore sostenendo che l'età avanzata gli impediva di svolgere correttamente i suoi compiti. Questa decisione - secondo il Sanuto - "fu reputata gran cosa". Concorse nuovamente al dogato dopo la morte di Antonio Venier (23 nov. 1400). Trovandosi fra i quarantuno elettori e vista impossibile la sua nomina, si adoperò perché venisse scelto Michele Steno. Nel 1401, secondo il Priuli, fu avogadore di Comun e nel 1405 partecipò alle trattative di pace con il marchese di Ferrara.
Morì il 16 genn. 1406; il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni a Torcello.
L'epigrafe, che fu apposta sul suo monumento funebre, venne in seguito trasferita nel chiostro del seminario patriarcale di Venezia. Si conserva il suo testamento in data 7 genn. 1406. Il D. aveva avuto due mogli e numerosi figli, fra cui merita particolare menzione Fantino che fu professore di diritto all'università di Padova, diplomatico, vescovo di Padova nel 1448 e autore di trattati religiosi.
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