LEONARDO da Guarcino (Leonardo da Patrasso)
Figlio di Pietro, membro della famiglia dei Conti, imparentato con i Caetani e appartenente alla piccola nobiltà della Campagna, e di Perna, figlia di Filippo (II) di Jenne, un ramo collaterale dei Conti di Segni; nacque verosimilmente tra il quarto e il quinto decennio del XIII secolo. Come luogo di nascita di L., che fu una tra le figure più autorevoli della Curia romana, sono state in passato proposte diverse località tra le quali Anagni e Alatri, ma il particolare legame con Guarcino, toponimo con il quale viene spesso citato in documenti (in alternativa o congiuntamente a Patrasso, diocesi greca al tempo tradizionalmente amministrata da membri della famiglia), nonché nell'iscrizione funeraria ("Leonardus Patrassus de Guarcino" riportata in Floridi, 1966, p. 18), e i consistenti lasciti in favore della cittadina laziale non lasciano margini a dubbi.
Dal testamento che L. dispose nel 1311 (cfr. Paravicini Bagliani, pp. 384-401, con indicazione delle precedenti edizioni) si evince la sua appartenenza all'Ordine dei predicatori; appartenenza suggerita non solamente dalla tipologia delle opere letterarie in suo possesso, ma anche dalla disposizione testamentaria che prevedeva la propria sepoltura nella chiesa domenicana della città in cui fosse deceduto. La presenza di domenicani tra gli esecutori testamentari ne avvalora ulteriormente l'appartenenza.
Sui primi anni della sua carriera ecclesiastica, che prese avvio dal canonicato nella cattedrale di Alatri, sappiamo che nel 1264 fu assegnato da papa Urbano IV, in qualità di tesoriere, presso la diocesi di Patrasso, di cui era titolare dal 1254 lo zio Benedetto di Giffrido Conti. Successivamente, in una data sconosciuta, L. fu eletto vescovo della diocesi di Modone, sede suffraganea di Patrasso. A partire dal 1290, in concomitanza con la crescente importanza in Curia del nipote Benedetto Caetani, futuro papa con il nome di Bonifacio VIII, la carriera di L. subì una repentina accelerazione. Nel corso del 1290 fu infatti nominato dal capitolo diocesano di Alatri vescovo della città, incarico fino a poco prima ricoperto dal parente Giacomo Tommassi. Tale nomina fu confermata il 16 settembre da papa Niccolò IV.
Nell'esercizio di tale mandato spicca la sua presenza in occasione di una solenne cerimonia di pacificazione celebrata il 3 giugno 1293 nella piazza di S. Maria Maggiore di Alatri, cui presero parte rappresentanti della stessa cittadina e di diverse località limitrofe e i cardinali Benedetto Caetani e Giacomo Colonna.
Nel 1295 Bonifacio VIII affidò a L. la diocesi di Jesi, unica località fra quelle che gli furono affidate che non viene citata e beneficiata nel lascito testamentario. Il 17 giugno 1297 ricevette l'investitura per la diocesi di Aversa. In occasione dell'assunzione di tale incarico, L. rinunciò formalmente alla diocesi di Modone che rimise all'arcivescovo di Costantinopoli. Il 20 luglio 1299 divenne arcivescovo di Capua, conservando in commenda la diocesi di Aversa.
Il conferimento di queste ultime due cariche deve porsi in relazione all'importanza che l'area rivestiva per la famiglia Caetani, i cui membri avevano acquistato proprietà e beneficiato di feudi donati dai primi regnanti di casa d'Angiò. Ad attestare direttamente i legami di L. con i monarchi di Sicilia è il dono, fatto da Carlo II, di una pregevolissima Bibbia legata in bianco, citata nel testamento.
Il 2 marzo 1300 L. ricevette l'investitura a cardinale vescovo di Albano nel corso della quarta promozione cardinalizia del pontificato di Bonifacio VIII. L'importanza delle funzioni esercitate da L. nell'ambito della Curia romana è riscontrabile dall'analisi di diverse lettere pontificie dalle quali, soprattutto a partire dagli anni 1295-96, si evince l'attività nell'ambito finanziario e i rapporti con mercanti e banchieri pisani e fiorentini. Fra le diverse citazioni spicca, il 1° sett. 1301, l'incarico affidatogli dal pontefice di curare nel Principato di Acaia, nella provincia del Principato di Atene, nell'isola di Creta e in quelle adiacenti la raccolta della decima triennale destinata a finanziare il tentativo angioino di riconquistare la Sicilia occupata da un ventennio dagli Aragonesi. I rapporti di L. con il Principato di Acaia sono documentati da una lettera di Clemente V del 17 genn. 1306, che asseconda la volontà della principessa Isabella di Villehardouin, sostenuta dal cardinale, di costruire un monastero dedicato a S. Chiara in Cefalonia. Dopo la morte di Bonifacio VIII L. fu tra i diciotto cardinali che presero parte al conclave e che elessero il 22 ott. 1303 Benedetto XI. L. partecipò anche al travagliato conclave che, apertosi il 18 luglio 1304 a Perugia, si concluse il 5 giugno del 1305 con l'elezione del francese Clemente V e il conseguente trasferimento del Papato in Francia, dove anch'egli avrebbe in seguito risieduto in più occasioni.
Agli inizi del 1304 il re di Francia Filippo IV il Bello - non pago dell'esito delle missioni diplomatiche che gli avevano garantito, con la bolla Tunc navis Petri, l'assoluzione da parte di Benedetto XI dalle sentenze di scomunica che gravavano sullo stesso monarca e sulla famiglia reale francese - inviò due agenti, Guglielmo di Chatenay e Ugo di Celle, con l'incarico di verificare la disponibilità dei membri del Collegio cardinalizio a indire un concilio. Gli incaricati, che giunsero mentre la Curia si stava lentamente trasferendo da Viterbo a Perugia, iniziarono alla presenza di un notaio una serie di incontri privati con i cardinali, incontri che si svolsero tra l'8 aprile e il 15 maggio a Roma, Viterbo e Perugia. In merito a tale richiesta il Collegio cardinalizio si divise in due fazioni. L. fece parte del gruppo maggioritario di nove cardinali che, pur non avendo posizioni preconcette, non si espresse immediatamente in favore del concilio, preferendo rinviare a una discussione interna alla Chiesa tale scelta. Il 7 nov. 1305 Clemente V gli concesse l'amministrazione e la cura del monastero di S. Stefano al Celio in Roma.
In occasione del processo alla memoria di Bonifacio VIII, che Clemente V fu costretto ad avviare a partire dal settembre 1309 su pressione del re di Francia, L. difese sempre strenuamente papa Caetani.
In una lettera del 3 luglio 1310 indirizzata al pontefice, Filippo il Bello, fra le diverse recriminazioni concernenti i lunghi tempi dell'istruttoria per il processo, chiamava indirettamente in causa L. lamentando l'atteggiamento di alcuni partigiani di Bonifacio VIII che non si erano limitati a terrorizzare i testimoni ma erano giunti a catturarne diversi, torturandone alcuni e mettendone a morte altri. Clemente V, il 23 agosto, replicando alle diverse argomentazioni sottolineava in merito a questo punto come la vicenda riguardasse due monaci dell'abbazia benedettina abruzzese di S. Giovanni in Venere, della quale, come attestato da una lettera dei registri di Bonifacio VIII, L. aveva ricevuto il 4 giugno 1300 l'administratio et cura con la piena facoltà di disporre defructibus in eius et monasterii commodum. I monaci si erano infatti recati ad Avignone, probabilmente al fine di rappresentare motivi di insoddisfazione nei confronti del commendatario, suscitando l'irritazione del cardinale e finendo per essere messi in prigione dai familiari dello stesso. Uno dei monaci fu interrogato sulla vicenda nell'ambito del processo, mentre del secondo si venne a sapere che si trovava in Francia al seguito di Guglielmo di Nogaret, ispiratore del processo a Bonifacio VIII. Nonostante le recriminazioni di alcuni cardinali, il papa non adottò alcun provvedimento nei confronti dei responsabili di tale vicenda, mentre l'abbazia di S. Giovanni figurò comunque tra i beneficiari testamentari di L. alla quale fu assegnato un legato di 100 fiorini. Per concludere in merito al processo L., al pari degli altri cardinali nominati da Bonifacio VIII, non fu chiamato a deporre nel corso delle audizioni che si svolsero nei primi mesi del 1311 nell'ambito dell'inchiesta sul bonum zelum di Filippo il Bello.
Nel luglio del 1311 fu inviato da papa Clemente V, insieme con altri quattro cardinali fra i quali il vescovo di Ostia, Niccolò Alberti, e Luca Fieschi, cardinale di S. Maria in via Lata, presso il campo di Enrico VII di Lussemburgo con il compito di accompagnarlo nel suo viaggio verso Roma per cingere la corona imperiale. La delegazione pontificia, che portava le disposizioni scritte del papa per l'incoronazione, raggiunse, il 4 agosto, il sovrano a Brescia dove l'armata tedesca, dopo aver preso e saccheggiato Cremona, era impegnata in un lungo e duro assedio (12 maggio - 24 settembre) al quale fu posto fine anche grazie all'iniziativa diplomatica di L. e degli altri cardinali. Il sovrano, che si era manifestato inflessibile a ogni proposta di mediazione, si era tuttavia impegnato a usare clemenza e, mantenendo fede alla parola data, fece il suo ingresso in città il 18 settembre.
Lasciata Brescia, L. seguì l'esercito tedesco lungo la strada per Roma; giunto a Lucca, provato dall'età e dalle fatiche si ammalò e fu ricoverato negli alloggi attigui alla chiesa di S. Frediano. L. morì il 6 dic. 1311 e fu sepolto a Lucca nella chiesa domenicana di S. Romano secondo le disposizioni testamentarie dettate il 30 novembre.
Beneficiario principale del testamento, redatto dal notaio Niccolò Bartolomeo da Guarcino, fu Andrea da Guarcino fratello di L., che in passato era stato anche a capo delle milizie di Alatri. Esecutori testamentari furono designati: il cardinale Francesco di Roffredo Caetani, Leonardo da Guarcino, notaio papale e nipote del cardinale, Tolomeo da Lucca, Ugo da Lucca e lo stesso notaio Niccolò. Nel testamento furono disposti molti lasciti in favore di parenti, familiari e servitori, nonché di ordini religiosi e di numerose chiese. Spicca in particolare la meticolosa assegnazione di lasciti destinati a Guarcino e alle sue chiese della cui cura fu incaricata in parte, almeno formalmente, la madre Perna.
Notevole interesse presentano poi nel testamento la composizione della ricca biblioteca di L., in parte di proprietà in parte in prestito, che includeva opere di carattere giuridico, storico, filosofico e teologico. L'ultima notizia sul testamento concerne il fratello Andrea che, il 29 maggio 1313, rilasciava quietanza a Ugo da Lucca e a Niccolò da Guarcino esecutori testamentari per il residuo dei beni rimasti dell'eredità. Dal testamento si evincono anche informazioni sulla cerchia del personale di L. fra i quali spicca il domenicano Tolomeo da Lucca, che dalla fine del giugno 1309 risultava essere in Avignone al servizio di Leonardo. Fra gli altri personaggi figurano anche Francesco da Lugnano e Pietro vescovo di Segni.
L. adottò lo stemma dei Caetani con una divisione perpendicolare: nella prima parte aurea vi erano doppi baltei cerulei fusi ondulatamene e obliqui verso destra; nella seconda parte argentea vi era un altro balteo ondulato di color minio. Nell'ambito della Curia romana, oltre a svolgere funzioni in campo finanziario tenendo i contatti, come già ricordato, con i circuiti mercantili e finanziari toscani, ebbe spesso l'incarico di seguire l'istruttoria per il conferimento di incarichi a ecclesiastici consacrandoli e immettendoli nelle diocesi di competenza. A L. furono inoltre assegnate delicate missioni diplomatiche che lo misero in stretto rapporto con principi e regnanti. La ricca biblioteca e la presenza di intellettuali nel sua cerchia ne fanno uno dei personaggi più in vista del suo tempo. Ma soprattutto, L. fu nell'ambito della Curia tra i più attenti a difendere la memoria di Bonifacio VIII dalle accuse formulate dalla corte francese, nonché le prerogative della Chiesa, in uno dei momenti più difficili della sua storia.
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