LEONARDO da Chio
Nacque intorno al 1395-96 nell'isola greca di Chio. La sua data di nascita è desunta dal testo della bolla pontificia del 29 ott. 1431 con la quale L. veniva confermato nell'incarico di inquisitore della Congregazione dei fratres peregrinantes in Oriente, in cui si dice che egli era "in trigesimo sexto […] aetatis anno constitutus" (cfr. Loenertz, 1937). Non sono noti i nomi dei genitori.
Frutto di fantasie non suffragate da alcuna prova documentaria, o di fraintendimenti, appaiono infatti i tentativi più volte ripetutisi nel tempo di attribuirgli l'appartenenza a nobili famiglie quali i Giustiniani di Chio, i "de Garibaldo" (altra famiglia genovese aggregatasi all'"albergo" dei maonesi) o ai Montaldo.
Professo nel convento di S. Domenico di Chio, L. si distinse subito per la brillante intelligenza e venne pertanto inviato a compiere i suoi studi in Italia; qui, secondo una tradizione che tuttavia non trova conferme nella locale documentazione, avrebbe studiato teologia a Padova prima di trasferirsi a Genova, dove era sicuramente presente nel convento di S. Domenico nel 1426, anno in cui compose la prima delle sue numerose opere (molte delle quali perdute), un commentario al capitolo 49 della Genesi (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 17384). In quello stesso anno compare fra i testimoni nell'atto di concessione da parte dei frati predicatori in favore di Francesco Giustiniani per la costruzione di una cappella nella chiesa di S. Domenico, avvenuta il 10 maggio 1426. A partire da questo momento la biografia di L. è ampiamente documentata ed è possibile seguirne con sicurezza le varie fasi.
Nel biennio 1426-28 il capitolo generale dell'Ordine lo inviò a Perugia come lettore delle Sentenze, per dargli modo di completare la propria formazione teologica; a questo periodo risale un'altra opera di L.: un commento alle Decretali intitolato Tabula ampla super Decretum sequendo glossam Io. Andree (cfr. Calzamiglia, p. 63, che ricorre per quest'opera, come per i successivi trattati inediti di L., ai dati offerti dal manoscritto del sec. XV della Biblioteca del Seminario vescovile di Albenga, senza segnatura: "Leonardi Chiensis Manuscripta Opuscula"). Conseguito il grado di magister, egli iniziò una rapida carriera nelle gerarchie ecclesiastiche che lo condusse a essere nominato, già nel 1428, vicario generale della Congregazione dei fratres peregrinantes in Oriente in sostituzione del confratello Andreas Chrysoberges, incaricato di una legazione in Polonia. In tale veste L. fece ritorno a Chio, sede del suo ufficio, raggiungendo dapprima Creta a bordo della galea veneziana "Contarena", che in quegli anni svolgeva un regolare servizio di linea con la Terrasanta, e quindi l'isola natia con un viaggio del quale ci ha lasciato una vivace descrizione nei suoi scritti.
Nel corso del primo biennio 1428-30 durante il quale esercitò il vicariato, L. dovette dar prova di quella durezza di carattere e di quella intransigenza spinta fino all'asprezza che furono poi tratti caratteristici del suo atteggiamento dottrinale, arrivando a deporre e sostituire molti responsabili della conduzione di case dell'Ordine; ciò provocò un'inevitabile reazione e favorì il tentativo del Chrysoberges, rientrato nel frattempo dalla sua missione, di farlo destituire per rioccupare la sua antica carica. L. doveva tuttavia contare protezioni e apprezzamento tra le alte sfere dell'Ordine, tanto è vero che venne quasi subito nominato inquisitore nel territorio della stessa Congregazione e, a dispetto di un ripensamento del maestro generale, che aveva cercato di sollevarlo dall'incarico, ottenne da papa Eugenio IV la già citata bolla di conferma del 29 ott. 1431, con la quale gli venne attribuita la carica che avrebbe conservato per più di dodici anni.
Della sua attività in qualità di inquisitore non abbiamo testimonianze precise, ma indubbiamente egli dovette svolgere il compito dando prova di notevoli capacità, conquistandosi la fiducia non solo del pontefice, ma anche della classe dirigente locale. In particolare, L. era divenuto il direttore spirituale di Maria Giustiniani, figlia di quel Paride, appaltatore delle miniere d'allume di Focea, che era all'epoca uno dei principali membri della Maona di Chio, la quale assai probabilmente esercitò attraverso i propri contatti in Italia e in Oriente un'influenza non indifferente nell'orientare le scelte della Curia pontificia al momento della nomina del nuovo arcivescovo di Mitilene. In base agli accordi sottoscritti nel concilio di Firenze, il successore del defunto Doroteo avrebbe dovuto essere un ecclesiastico greco, ma, in parte per calcoli diplomatici della Curia, in parte forse per pressioni esercitate dal signore di Lesbo, Dorino (I) Gattilusio, di origini genovesi, la scelta cadde su L., il quale fu eletto il 28 giugno 1444 e ricevette poco tempo dopo il pallio per procuratorem dalle mani del cappellano papale Giorgio di Caristos.
Se effettivamente fu il Gattilusio a premere affinché la sede mitilenese venisse affidata a un ecclesiastico latino di notevole influenza e preparazione, dobbiamo ammettere che la sua manovra si rivelò un pieno successo, anche alla luce dei rapporti sviluppatisi negli anni seguenti fra L. e i signori di Lesbo.
La nomina alla nuova sede comportò per L., in una fase iniziale, un minor carico di impegni che gli consentì di dedicarsi nuovamente alla scrittura. A questo periodo risalgono infatti due delle sue opere più elaborate, il trattato De statu hominis, scritto nel 1445 e dedicato a Eugenio IV (cfr. Calzamiglia, pp. 65 s.) e il più famoso De nobilitate, dedicato l'anno successivo all'erudito Andreolo Giustiniani, membro della Maona di Chio, nel quale L. polemizza con le teorie di Poggio Bracciolini, dimostrandosi pienamente inserito nei più aggiornati dibattiti della cultura umanistica del tempo. Il De nobilitate, edito unitamente ad alcune annotazioni biografiche da M. Giustiniani, Caroli Poggii De nobilitate liber disceptatorius, et Leonardi Chiensis De vera nobilitate contra Poggium tractatus apologeticus, cum eorum vita et annotationibus, Abellini 1657, è stato riedito a cura di L. Calzamiglia - F. Levrero - G. Puerari, Albenga 1984.
Nel 1449, facendo conto sulle sue influenti amicizie, il Gattilusio inviò L. quale ambasciatore in Occidente per trattare la questione della dispensa necessaria per il matrimonio del suo erede Domenico con una cugina, figlia di Palamede Gattilusio signore di Enos; in tale occasione L. donò una copia del De nobilitate al cardinale Domenico Capranica, approfittando della propria residenza in Curia per ottenere alcuni privilegi personali (tra cui la rendita sulla chiesa dei Ss. Pietro e Paolo dei Veneziani a Costantinopoli, la facoltà di testare e l'unione alla sua arcidiocesi delle diocesi di Chio e di Focea Vecchia e Focea Nuova). Scontratosi con la ferma opposizione alla concessione della dispensa da parte del doge di Genova Ludovico Fregoso, genero di Palamede Gattilusio, L. si recò a Genova per un incontro con lo stesso Fregoso, del quale seppe conquistarsi comunque la fiducia; tornò quindi alla fine dell'anno a Mitilene, dove forse non fu estraneo alla scelta di Maria Giustiniani quale moglie di Domenico Gattilusio.
I contatti stabiliti in Curia in occasione di questa missione diplomatica non dovettero essere estranei al suo successivo coinvolgimento nelle vicende della proclamazione dell'unione fra le Chiese. Il cardinale Isidoro di Kiev, legato pontificio, lo invitò infatti a raggiungerlo a Chio nel 1452 per consultarlo e lo inserì quindi nella delegazione latina che raggiunse Costantinopoli il 26 ottobre.
Nel corso delle serrate trattative fra partigiani e avversari dell'unione che si svolsero nelle settimane seguenti L. si distinse, al contrario del cardinale, fautore di una linea più conciliante, per l'atteggiamento di assoluta intransigenza nei confronti degli antiunionisti, tra i quali spiccava il futuro patriarca Gennadios, arrivando ad accusare di "paviditas" l'imperatore Costantino XI per non aver voluto accogliere il suo suggerimento di arrestarli e trascinarli davanti a un tribunale inquisitoriale nominato ad hoc. Alla fine, prevalendo le esigenze politiche su quelle dottrinali, l'imperatore impose la proclamazione dell'unione, che ebbe luogo in S. Sofia il 12 dicembre alla presenza, tra gli altri, dello stesso Leonardo.
Trattenutosi insieme con il cardinale Isidoro nella capitale bizantina per vigilare sulla messa in pratica dei decreti di unione, L. si trovò a essere testimone e protagonista dei drammatici eventi dell'assedio ottomano, iniziato il 5 apr. 1453. L. affiancò il cardinale nel comando di un contingente di mercenari occidentali addetti alla difesa di un tratto delle mura e fu così testimone diretto dei furiosi combattimenti che per quasi due mesi si svolsero intorno alla città. Al momento della caduta, all'alba del 29 maggio, egli rimase ferito e venne catturato dai Turchi. Come molti altri protagonisti della difesa, tra cui lo stesso Isidoro di Kiev, L. riuscì tuttavia dopo qualche tempo a fuggire approfittando della confusione o, forse, fu riscattato da qualche mercante genovese; una volta libero raggiunse la colonia genovese di Pera, posta sull'altra sponda del Corno d'Oro, che, capitolando, era riuscita a sfuggire al saccheggio. In seguito arrivò a Chio da dove, il 16 agosto, indirizzò a papa Niccolò V la lunga e dettagliata relazione degli eventi dell'assedio e della caduta di Costantinopoli nota come Epistula de urbis Constantinopoleos excidio, che rimane tutt'oggi la sua opera più famosa (per le edizioni cfr. Repertorium fontium…, p. 186).
Rientrato nella sua sede, riprese l'opera pastorale, senza trascurare tuttavia la polemica contro i suoi antichi avversari, divenuti collaboratori del potere ottomano, come dimostra il trattato De emanatione recte Fidei, redatto nel 1455 e violentemente polemico nei confronti del patriarca "intruso" Gennadios, nominato da Maometto II (cfr. Liber polemografie. Discorso sull'arte della guerra, a cura di L. Calzamiglia, Imperia 1989, pp. 69 s.); il 28 maggio dello stesso anno Callisto III unì anche l'arcidiocesi di Metimna, rimasta vacante, alla sede di Mitilene e, contestualmente, autorizzò L. a creare notai per il tribunale ecclesiastico locale, la cui attività è attestata sotto la sua presidenza almeno fino al 1457. In una data successiva al 1455 L. portò a compimento la stesura del trattatello Liber polemografie (ibid.).
Nel 1458, di fronte a una situazione politica che andava peggiorando costantemente, Niccolò (II) Gattilusio, che poco prima aveva usurpato la signoria di Mitilene assassinando il fratello Domenico, tentò di attirare le simpatie dei potentati cristiani nei confronti della propria causa inviando ancora una volta L., l'unico personaggio di riconosciuto prestigio sul quale potesse far conto, quale proprio ambasciatore a Genova, in Francia e in Borgogna. L'ormai anziano prelato tornò quindi in Occidente per perorare la causa del suo screditato sovrano di fronte al governatore francese di Genova, più per una precisa valutazione della minaccia ottomana che per fedeltà nei suoi confronti. I documenti attestano la sua presenza in Genova nel febbraio-marzo del 1459, ma non è possibile sapere se egli abbia proseguito il suo viaggio Oltralpe o se sia rimasto in Genova. È comunque certo che morì in Occidente nel corso dello stesso anno, in quanto già il 3 dic. 1459 Pio II provvide a nominare il monaco benedettino Benedetto nuovo titolare della cattedra mitilenese, resasi vacante per la morte del titolare.
L'evidenza dei documenti fa quindi giustizia tanto delle fantasiose narrazioni di un martirio di L. all'epoca della conquista turca di Mitilene, nel 1462, quanto dell'errata attribuzione alla sua penna, fatta da Hopf (1866), della relazione sulla caduta dell'isola, da attribuirsi invece al citato Benedetto, sulla base della quale si era ritenuto che L. fosse sopravvissuto fino al 1482.
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