COCCORANTE, Leonardo Carlo
Figlio di Matteo e di Antonia Pianese, nacque a Napoli l'8 nov. 1680. Altre poche notizie biografiche su questo pittore di rovine "bizzarre" e giardini ornati con sculture classiche riprese dalla vasta zona archeologica dei Campi Flegrei, di vedute di Napoli e dei porti del viceregno analiticamente resi, di scene macabre ed esoteriche volte in "capriccio" risultano dal processetto matrimoniale (Napoli, Arch. storico diocesano, Matrimoni 1714, n. 95), pubblicato da Borrelli nel 1974. Il C. sposò il 23 dic. 1714 Giovanna Golino, vedova di Nicola Buonocore morto ammazzato quattro anni prima. È interessante notare che al momento del processetto (7 maggio 1714) il C. si dichiarava pittore, abitante alle Gradelle dell'Annunziata: i testimoni non appartenevano al mondo culturale del pittore, come in casi simili avveniva, ma erano un benestante e un "sicario di giustizia"; mentre al matrimonio testimoniava un Nicola Martoriello che non dichiarava né la sua attività né le sue origini e non si è perciò in grado di indicare se fosse un congiunto, o meno, di Gaetano Martoriello pittore di paesaggi alla moda. Più interessante appare il dettaglio, ricavato dal medesimo documento, della residenza del C. nei pressi del carcere della Vicaria, così come confermava il testimone Giuseppe Martinelli, benestante, figlio del fisico Ludovico: notizia che in un certo senso convaliderebbe quella tradizionale (di seguito citata) che voleva presente il C., in giovane età, presso il detto carcere.
Le matrici dell'arte del C. vanno ricercate nei vari generi della tradizione, che egli innovò e fuse, tradotti in una personalissima visione lirica che si contrappone a quanto di macchinoso avevano dato i precedenti generisti. Le fonti settecentesche indicano nel vedutista e rovinista Angelo Maria Costa, rinchiuso per ladrocinio nelle carceri della Vicaria e graziato dal viceré affinché realizzasse ornati con architetture e fogliami in alcuni ambienti dell'annesso tribunale di Castel Capuano, il primo maestro del C., giovanissimo carceriere. La notizia non è stata confermata dai documenti, ma diventa plausibile se si ricollega al recupero dell'affresco che orna la farmacia dell'ex convento di S. Maria della Stella che il C. siglò e datò nel 1707. Qui una fantasiosa composizione di colonne viste "dal sotto in su" con vasi, cascatelle di fiori e paesaggi, orna il voltone avvalorando, in un certo senso, anche la tradizionale notizia del discepolato del C. presso il fiorista Nicola Casissa.
A questo primo periodo appartengono alcuni quadri, di vaste dimensioni, raffiguranti imponenti loggiati prospicienti il mare, eseguiti con un fare calligrafico che può essergli derivato dallo studio dei dipinti di A. Luciani, del Costa e di Gennaro Grieco, come, per esempio, Il loggiato che si staglia su un fondo di paese sul mare (firmato: Napoli, Galleria nazionale di Capodimonte; replica, siglato: sul mercato antiquario nel 1970, in The Burlington Magazine, CXII [1970], supplemento, tav. XLV, e nella City Art Gallery and Temple Newsam House di Leeds, in catalogo, 1954-57, p. 12, e in The Connoisseur, CXLII [1958], p. 25). Attribuite al C., in antico, sono state due vaste composizioni di architetture classiche completate da paesaggi realistici (il capo di Posillipo con la costa e la veduta della Gaiola con la villa delle Cannonate), che servono da sfondo a due gruppi di piccole figure: Cristo e l'adultera e La resurrezione di Lazzaro (Napoli, Facoltà di architettura).
Il De Dominici (1743) cita due quadri di gran valore realizzati dal C., che facevano parte della famosa collezione dell'avvocato Matteo Sarno, raffiguranti S. Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli con i suoi compagni esposti alle fiere e Daniele nella fossa dei leoni, opere non recuperate, ma i cui bozzetti devono ritenersi quelli, di egual soggetto, appartenenti al Museo del Pio Monte della misericordia di Napoli. Allo stesso genere delle scene sacre ambientate tra ruderi classici, appartiene il Sacrificio d'Isacco del Museo di Beauvais. Di questo periodo sono due raffinatissimi piccoli quadri (siglati: Firenze, Gall. Corsini) raffiguranti, uno, un vasto loggiato con giardino e sculture classiche e, l'altro, una darsena con vascelli, ambedue esemplati su quadri famosi del generista Gennaro Grieco.
Nel periodo che va dal 1720 al 1733 è da collocare un gruppo di opere, rese con libertà d'invenzione, improntate al binomio "mare-architetture": trattasi di dipinti concepiti attraverso la ricerca ambientale della luce che staglia in primo piano loggiati, rovine e rocce sullo sfondo di un mare in tempesta ripreso dal vero: eccezionali le due Burrasche (siglate) del Museo di Grenoble. Non diversamente la coppia (siglata: Palermo, coll. Villafranca) raffigurante Giardini con sculture classiche sullo sfondo del mare in procella. Provenienti dalla galleria del principe Marcantonio Borghese a Roma (viceré a Napoli nel 1721-22) due Burrasche (U.S.A., coll. priv.) e L'elefante con l'obelisco di Catania (siglato: Napoli, Banca commerciale ital.). La Grande burrasca al chiaro di luna con vascelli alla deriva (firmata: Coral Gables, Florida: Lowe Art Museum, University of Miami) fu esposta, nel 1724, alla mostra dei quadri del Corpus Domini, di Napoli, e citata dal De Dominici come acquistata dal letterato abate Nicolò Giovio.
In questa serie di opere il mare, vero come non mai, gioca una grossa parte: sullo sfondo la collina di Posillipo e l'isola di Capri, osservate dalla spiaggia di Mergellina, si fondono con la furia degli elementi. Le ripetizioni si giustificano con le molte richieste determinate dal fascino che conquistò gli stranieri davanti al golfo tutto colore e luce. Questo mare, sul quale si affaccia la città, è presente in quasi tutte le opere del C., formando l'ideale contraltare della pittura di paesaggio ove appaiono le colline ed i lontananti monti che circondano la città. La "veduta ideata" del C. non è mai tale, in senso stretto, in quanto gli elementi ed i dettagli, tutti ripresi dalla realtà, appaiono articolati secondo una precisa visione di aderenza al naturale. Fu questo che bloccò il C. dall'infrangere l'ultimo diaframma che lo separava dal rarefatto senso dell'assoluta fantasia e della libertà di tocco, invenzioni che l'avrebbero portato a precorrere le iridescenze alla Guardi, se il C. non avesse preferito alimentare il sogno della perfetta resa di colossali ruderi classici, risolvendo in nature morte i frammenti di bassorilievi e modanature. In tale periodo, che culmina con il 1738, il colore si fa più terso e calibrato, ed alle terre (ombra e bruciata) sostituisce rosati e verdi (cromo e smeraldo) e gialli (Siena e naturale). Di questo periodo sono le composizioni con le Storie di Alessandro Magno (Napoli, coll. priv.) e la coppia raffigurante il Ritrovamento delle tombe di Astianatte ed Achille da parte di Alessandro Magno (firm. e dat. 1733: Napoli, coll. E. Catello) commissionate dall'arcade ab. Giovio. È l'ultima rievocazione lirica del mondo classico, prima che l'equivoco dei rovinisti faccia apparire finte le vere pietre. La Scena campestre con ruderi,armenti e pastori (siglata: Los Angeles, coll. W. J. Hole) e la Visita di una famiglia a ruderi con grande piscina (siglata: U.S.A., coll. priv.) appaiono singolari per le composizioni di gruppi di ritratti.
L'intervento di pittori di figure in tutte le opere del C. è precisato dal contemporaneo De Dominici, il quale fornisce tre nomi di artisti. Il più anziano appare Giacomo Del Po (l'aedo del rococò napoletano e pittore famosissimo) il quale "accordò con stravagantissime invenzioni di figure, con incantesimi di notte, con fuochi, torce e fiaccole i bellissimi sotterranei pieni di stravaganti fantasie" dipinti dal Coccorante. Un quadro di tal gusto è stato recuperato presso il Museo provinciale D'Errico di Matera e presenta la scena di Un incantesimo di notte ambientato in un buio antro, con ruderi, attraversato da dinamiche chiare pennellate che creano un clima di tensione. L'opera è da collocare entro il primo decennio del Settecento quando il Del Po era interessato a ricerche di tal genere. Altra presenza è quella di Giuseppe Tomaioli: i suoi gruppi di turisti e di borghesi, veri ritratti di famiglia immessi tra le architetture del C., hanno un brio ed uno spigliato senso di cronaca mondana, colta dal vero, che fanno del Tomaioli un "generista" di alto livello, dimostrando l'antinomia con le accademiche forme dei suoi santi e madonne. Un basamento a forma di antico bassorilievo figurato dipinto dal C. nella Visitazione del Tomaioli (firmata e datata 1730: Napoli, chiesa di S. Giovanni Battista) dimostra che in quel tempo era già iniziata la collaborazione tra i due pittori. La terza personalità è quella di Giuseppe Marziale: intorno alla sua attività non è stato possibile reperire alcuna notizia, per cui è da classificare tra quei "dilettanti" che, secondo il De Dominici, crearono un importante rapporto culturale con il Coccorante. Ora a giudicare da un quadro di Stregoneria del C. (firmato: Madrid, coll. A. Gonzales) identificabile con quello descritto dal De Dominici come "cosa veramente mirabile per le figure accordate con sommo spirito da D. Giuseppe Marziale", ne sortisce che questi fu un singolare pittore di notevole forza espressiva, ricercatezza di particolari e magistero formale, al di fuori dei canoni del momento. La sua collaborazione con il C. ebbe inizio verso il 1738, così come indicano le figure dell'eccezionale Burrasca con ruderi (firmata: Firenze, coll. Cei) e quelle presenti in tutte le successive opere del Coccorante.
La storiografia tradizionale indica nel C. un pittore di vedute riprese dal vero; fino a quando alcune di esse non furono individuate, la notizia appariva priva di fondamento. Quelle recuperate appartenevano al ciclo di architetture e paesaggi dipinti tra il 1739 ed il 1741 per l'appartamento della regina Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo di Borbone, ubicato nel palazzo reale di Napoli. Il De Dominici aveva già esaltato tale avvenimento precisando che le opere rappresentavano "prospettive" (nella loggia prospiciente il mare, non più esistente) e "belle vedute con porti di mare, città e Paesi con navi mirabilmente accordate". Le vedute reperite appaiono rese con analitico rigore attraverso un colore trasparente disteso per campiture, nel quale, con rapidi piccoli colpi di tono su tono, il C. ricompone la realtà fusa da una luce che invade lo spazio e che immerge il tutto in un'atmosfera metafisica: una concezione che contrastava con quanto di movimento rococò aveva contraddistinto le precedenti opere. Del ciclo (acquistato nel 1784 dagli Harrach di Vienna e disperso subito dopo l'ultimo conflitto) faceva parte l'Uscita di Carlo ed Amalia di Borbone da palazzo reale (firmato: Roma, coll. priv.): un autentico reportage dell'avvenimento, un flash che ha fissato un attimo di vita della piazza popolata da piccole malinconiche figure avvolte dall'ora vespertina. Altra veduta, di stretta osservanza, è quella che rappresenta i Regij Studi di Napoli (firmata e datata 1739: Londra, coll. priv.): l'edificio è descritto in tutta la sua decrepitezza prima del restauro.
Le due vedute, che formano un solo panorama della città di Napoli, una dalla parte della riviera di Chiaia (Napoli, coll. Pisani) e l'altra dalla parte della Marinella (Firenze, coll priv.), recano la firma e la data 1739. Della serie dei paesi e dei porti, dipinti sempre per la regina, facevano parte il Porto di Taranto (firmato: Napoli, Gall. naz. di Capodimente), il Porto di Baja (firmato: Firenze, coll. priv.) e la vasta composizione del Cantiere di Baja con le navi alla fonda (siglato: Benevento, Museo del Sannio; A. Santangelo, in Le Arti, II [1940], p. 71). Nelle quattro splendide "rovine" delle più importanti opere classiche del viceregno (Napoli, Museo del Pio Monte della misericordia) nate per ornare un cabinet, il C. approda ad un personalissimo rovinismo velato di mestizia, ove la figura è esclusa per dare alle distrutte architetture un senso di esaltazione del mito della storia e dell'antichità classica. Queste opere, che sono state sempre considerate come le ultime eseguite dal C., furono precedute da una serie di quadri raffiguranti "ruderi ed architetture innalzate sullo sfondo di paesi di mare" (siglate: Napoli, coll. Morano) e da Paesaggi montani (siglati: Napoli, coll. Giardino), nonché da varianti di temi già proposti anni prima, come quelli del Museo provinciale D'Errico di Matera, del Museo Correale di Sorrento e della Raccolta Pagliara dell'istituto universitario "Suor Orsola" di Napoli.
Il C. morì nella città natale intorno al 1750.
La fortuna critica e commerciale del C. ebbe inizio presto dando origine a copie di bottega, come il Loggiato sul mare (siglato) del Museo D'Errico di Matera o come le copie del Museo Calvet di Avignone, ed a ripetizioni di particolari ingranditi di opere del maestro, come il Porto di mare con paese della Galleria nazionale di Capodimonte, a Napoli. Uno di questi "ripetitori" è stato individuato in Vincenzo Gricco, figlio di Gennaro, morto giovane nel 1735. Quattro sue architetture di Ruderi classici (firmate, Praga, Museo naz.) appaiono chiaramente desunte da opere del Coccorante.
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