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Bruni, Leonardo

di Carlo Dionisotti - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Bruni, Leonardo

Carlo Dionisotti

, Letterato e uomo politico (Arezzo 1370 - Firenze 1444). Con lui ha inizio e subito raggiunge un alto livello d'intelligenza critica, non superato per tutto il Quattrocento, l'interpretazione umanistica della vita e dell'opera di Dante. Giovane, il B. fu testimone e probabilmente partecipe del dissidio apertosi negli ultimi decenni del Trecento fra i fedeli del culto tradizionale di D. e i propugnatori di una nuova cultura, che a quel culto si ribellavano o lo accettavano con crescenti, imbarazzanti riserve. Di questo dissidio, durato ed esasperatosi nel primo Quattrocento, il B. si fece interprete nel suo dialogo latino ad Petrum Paulum Histrum, dedicato cioè all'amico Vergerio poco dopo il 1401. Protagonista del dialogo è il Niccoli, che in un primo tempo, opponendosi al Salutati, maestro suo e del B., inveisce contro D., in un secondo tempo lo difende ed elogia. La contraddizione fra i due tempi di un discorso tenuto dalla stessa persona in giorni consecutivi, pur essendo giustificata da motivi retorici, non appare in tutto risolta e lascia un margine di ambiguità.

Storicamente, l'invettiva del Niccoli è confermata da altre, indipendenti e posteriori testimonianze; non così la palinodia attribuitagli dal B., che pur gli era allora amico e che esplicitamente nel dialogo si dichiarava in tutto solidale con lui. A parte ciò, risulta chiaro l'intento di riportare la discussione sull'opera e sull'importanza di D. nell'ambito della cultura umanistica, all'infuori del culto tradizionale praticato e difeso dai fedeli della vecchia cultura. Anche è chiaro l'intento di impostare la discussione in modo da attenuare il pur inevitabile dissenso fra gli anziani maestri, come il Salutati, rispettosi della tradizione trecentesca in cui erano cresciuti, e i giovani impazienti e ribelli come il Niccoli. È probabile che già allora il B., non meno del Niccoli deciso a voltar pagina, si rendesse però conto dell'inopportunità di una rottura dispettosa e mirasse a salvare il salvabile di un recente passato, che alla Toscana e a Firenze in ispecie aveva bene o male assicurato un'indiscutibile preminenza letteraria su ogni altra nazione. La nuova letteratura, che il B. e gli amici suoi avevano in mente, doveva essere latina di lingua e aperta, come in antico era stata, alle fonti greche: tutt'altra insomma da quella del Trecento. Ma il B. anche si preoccupava e sempre più si preoccupò in seguito che fosse letteratura italiana e toscana, e proprio per questo non cessò di riflettere sulla questione che il suo dialogo aveva piuttosto illustrato che risolto.

Dopo lungo intervallo, probabilmente nel 1436, il B. compose in volgare una succinta vita di D., cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti. Valendosi della sua esperienza di cancelliere e di storico di Firenze, il B. rivendicò nella vita di D. l'importanza dell'impegno politico. Parallelamente, nell'opera del poeta riconobbe il successo di un tenace, formidabile impegno artistico e dottrinale, piuttosto che di una religiosa o comunque mistica ispirazione. Inabile a scrivere decentemente in latino e appena mediocre, come anche erano stati i contemporanei suoi, nella prosa volgare, mediocre anche nelle rime di minor impegno, nei sonetti, D. era stato, secondo il B., poeta supremo nelle canzoni e nel poema. Il rilievo dato alle canzoni (" perfette e limate e leggiadre e piene d'alte sentenze, e tutte hanno generosi cominciamenti ") dimostra come il giudizio del B. mirasse all'arte, non soltanto alla grandezza e altezza della finzione. Poeta supremo D. era stato, quanto la lingua da lui usata comportava che egli o altri fosse. Comunque il difetto della lingua non era imputabile al poeta: in qualunque lingua, poeta si dimostra chi consegue " eccellente ed ammirabile stile in versi, coperto da leggiadra e alta finzione "; " lo scrivere in istile letterato o vulgare non ha a fare al fatto, né altra differenza è se non come scrivere in greco o in latino ". Questa memorabile precisazione, pietra miliare nella storia della poetica rinascimentale, è confermata dal conclusivo paragone fra D. e il Petrarca: " in tutta la lingua latina Dante per certo non è pari al Petrarca. Nel dire volgare il Petrarca in canzone è pari a Dante, in sonetti il vantaggia. Confesso niente di manco che Dante nell'opera sua principale vantaggia ogni opera del Petrarca ". Risulta chiaro di qui che, volgendosi indietro, il B. non soggiaceva più al prestigio umanistico del Petrarca, e riconosceva per contro nel remoto preumanistico D. un maestro, nonostante la lingua, più autorevole e congeniale. Significativa anche è in questa vita di D. l'insistente e dura polemica contro il Boccaccio: non soltanto contro l'interpretazione amorosa e mistica che il Boccaccio aveva proposto di D., ma contro l'opera stessa, amorosa e favolosa, di lui. Respingendo cautamente la lezione del Petrarca e violentemente quella del Boccaccio, il B. proponeva un'interpretazione laica, tutta politica, scientifica e letteraria, della vita e dell'opera di D., indubbiamente parziale e tendenziosa (Beatrice è ignorata, Gemma Donati riabilitata), ma nei suoi limiti e con le debite riserve convincentissima per coerenza e vigore, e piuttosto unica che rara, fino all'età moderna, per la sua aderenza ai documenti e ai testi (fondamentale resta la testimonianza del B. su alcune epistole perdute e sugli autografi che egli conobbe e seppe descrivere come allora solo un umanista poteva: " Fu ancora scrittore perfetto, ed era la lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune epistole di sua propria mano scritte ").

Bibl. - Ultima ediz. del dialogo, con trad. e note, in E. Garin, Prosatori latini del Quattrocento, Milano-Napoli 1952, 44-99; della vita di D. in H. Baron, L. Bruni Aretino. Humanistisch-philosophische Schriften, Lipsia 1928, 50-69. Notevoli i riferimenti a D. negli Historiarum fiorentini populi libri, a c. di E. Santini, città di Castello-Bologna 1914-20, 77, 90, 92, 95, 105-106. Tuttavia controversa l'interpretazione dei primi due testi. Fondamentale resta V. Rossi, Scritti di critica letteraria, Firenze 1930, I, 293-307, e Il Quattrocento, Milano 1933, 105-107. Cfr. anche E. Santini, La produzione volgare di L. Bruni, in " Giorn. stor. " LX (1912) 289-339; recens. di R. Sabbadini, ibid. XCVI [1930] 129-133); C.A. Madrignani, Di alcune biografie umanistiche di D. e Petrarca, in " Belfagor " XVIII (1963) 32-42; C. Dionisotti, D. nel Quattrocento, in Atti del Congresso internazionale di studi danteschi, Firenze 1965, 344-354; E. Garin, D. nel Rinascimento, in " Rinascimento " VII (1967) 3-28. Non persuasiva la tesi che i due libri del dialogo rappresentino due distinti momenti e che pertanto il primo fosse concepito e steso indipendentemente dal secondo: H. Baron, The Crisis of the Early Renaissance, Princeton 1955, passim; ID., Humanistic and Political Literature in Florence and Venice, Cambridge 1955, 126-165; iD., L. Bruni: professional rhetorician or civic humanist?, in " Past and Present " XXXVI (1967) 21-37; ID., Frolli Petrarch to L. Bruni, Chicago 1968, 102-137.

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