Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Leon Battista Alberti è, insieme a Filippo Brunelleschi, protagonista di primo piano dell’architettura quattrocentesca. La sua attività di teorico e quella di progettista, tesa a un recupero dell’antico maturato sullo studio dei monumenti e delle fonti, contribuiscono in modo determinante all’aggiornamento di alcuni fra i più importanti centri italiani del Rinascimento come Roma, Firenze, Rimini e Mantova.
Un umanista architetto
Figlio naturale di un esule fiorentino, Battista degli Alberti nasce a Genova nel 1406; trasferitosi a Venezia e, dopo il 1416, a Padova, segue l’insegnamento dell’umanista Gasparino Barzizza. Studioso di fisica e matematica, si laurea in diritto canonico a Bologna nel 1428, intraprendendo poi la carriera nella burocrazia ecclesiastica. Forse a seguito di un viaggio all’estero e di un più probabile soggiorno fiorentino (dal 1428 era stato revocato l’esilio) è a Roma nel 1432 dove è nominato abbreviatore apostolico ed entra a far parte della corte di Eugenio IV. Si allevia in questo modo la condizione di disagio economico della quale, con i dissapori familiari e i problemi di salute, Leon Battista Alberti risente, maturando un’attitudine pessimistica. In contrasto con i valori positivi dell’umanesimo, questo timbro emerge dalla ricca produzione letteraria, di carattere soprattutto morale, cui si dedica nell’arco di tutta la vita.
Frequentando la cerchia pontificia e, viaggiando al seguito del papa nei centri di maggiore fervore culturale, alimenta, sulla base della sua formazione filosofica e scientifica, un crescente interesse per pittura, scultura, e soprattutto architettura. Nato al di fuori della dimensione pratico-applicativa della bottega o del cantiere, il suo interesse per le arti si sviluppa a partire dalla riflessione teorica: egli manifesta infatti un certo distacco rispetto alla fase di realizzazione, nella quale legge un’inevitabile corruzione dell’idea iniziale, lasciando che siano altri a condurre i lavori delle prime opere.
Gli anni Trenta e Quaranta fra Roma, Firenze, Ferrara
Rilevante per la definizione del suo linguaggio, basato sulla profonda comprensione dell’antico, è il tempo che Alberti trascorre a Roma, dove stabilisce la sua residenza dal 1443. Non è noto a quali attività si sia dedicato in quegli anni; sicuramente coltivò la produzione letteraria. È probabile che abbia frequentato la cerchia del cardinale Prospero Colonna, che comprendeva anche gli antiquari Flavio Biondo e Ciriaco d’Ancona, e che abbia preso parte alle iniziative da lui promosse: gli scavi delle rovine del Quirinale, all’epoca credute del palazzo di Mecenate, e il tentato recupero di alcune imbarcazioni romane dal lago di Nemi (cui è forse da riferire il perduto scritto Navis). Fra il 1443 e il 1455 redige un testo cartografico dal titolo Descriptio urbis Romae, nel quale anticipa i principi della topografia moderna.
Nonostante le riserve espresse su certi orientamenti della corte papale, con l’elezione nel 1447 al soglio pontificio dell’umanista Tommaso Parentucelli con il nome di Nicolò V, Alberti potrebbe aver partecipato al rinnovamento edilizio e urbano voluto dal pontefice. Si ricordano in particolare la ristrutturazione della chiesa di Santo Stefano Rotondo e della basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano, messa a punto nel 1452 ma presto interrotta per essere poi ripresa sotto Paolo II.
Nel 1434 e ancora dal 1439 al 1443 soggiorna a Firenze, la patria a lungo vagheggiata, che grazie alla presenza di Masaccio, Donatello e Brunelleschi era diventata il centro artistico più aggiornato dell’epoca. Qui compone nel 1435 il De pictura. Il testo, dedicato nella traduzione in volgare dell’anno dopo proprio a Brunelleschi, descrive per la prima volta le fondamentali conquiste rinascimentali in campo prospettico, cui lo stesso Alberti si applica con esperimenti ottici. Non meno rilevante nel processo di emancipazione delle arti dalla dimensione meccanica risulta, insieme al trattato sull’architettura, il più tardo De statua (1464), che espone la teoria classicista delle proporzioni.
In occasione del concilio di Ferrara (1438), Alberti rinnova l’amicizia con Leonello d’Este, signore della città dal 1441, e con il fratello Meliaduse; a questi dedica alcune delle sue opere (fra cui il breve trattato di geometria Ludi rerum mathematicarum). Per questa ragione taluni ipotizzano un intervento di Alberti nelle due iniziative cittadine che si contraddistinguono per il linguaggio moderno e l’ispirazione antiquaria. Si tratta dell’Arco cosiddetto del Cavallo, su cui è posto il monumento equestre a Nicolò III – per cui Alberti è documentato come consulente fra il 1444 e il 1445, scrivendo per l’occasione il De equo animante – e della torre campanaria della cattedrale, già cominciata nel 1412.
Il De re aedificatoria
Forse a Ferrara, sollecitato dall’interesse creatosi intorno al De architectura di Vitruvio, Alberti comincia a lavorare a uno scritto sull’architettura, dapprima inteso come commento al testo antico e poi concepito quale vero e proprio trattato. Ultimato nel 1452, ma pubblicato a Firenze solo nel 1485, il De re aedificatoria è capostipite della fertile produzione di testi specialistici del Quattrocento e del Cinquecento. Si pone quale un contributo fondamentale all’affermazione dell’architettura come disciplina universale. Il trattato è organizzato in dieci libri che discutono, secondo le categorie vitruviane di firmitas , utilitas e venustas, i molteplici aspetti connessi ai problemi costruttivi, alla funzione e alla tipologia delle strutture, nonché alla decorazione degli edifici sacri (che Alberti chiama templi) e alla teoria della proporzione, offrendo inoltre una disanima del sistema degli ordini classici e una definizione della bellezza basata sul concetto di armonia (concinnitas).
Il Tempio Malatestiano di Rimini
Probabilmente in occasione di un soggiorno effettuato nel 1450 a Fabriano, al seguito di Nicolò V, maturano le condizioni per il rifacimento della chiesa di San Francesco a Rimini. Se l’ipotesi indica una sorta di patrocinio papale per l’impresa – ricondotta al Giubileo di quell’anno – è innegabile il ruolo esercitato da Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 e finanziatore dell’opera. Personaggio discusso che ebbe però il merito di assoldare umanisti di vaglia e artisti del calibro di Piero della Francesca, promuove l’ammodernamento della chiesa al fine di collocarvi le sepolture di famiglia. La dimensione dinastica, congiunta ai significati ermetici delle decorazioni interne affidate allo scultore Agostino di Duccio, contribuisce a conferire un accento profano alla denominazione di Tempio Malatestiano con cui l’edificio è indicato, a sottolineare l’ideazione di Alberti e l’ispirazione anticheggiante.
Quello che è ritenuto il progetto originario, noto grazie alla medaglia celebrativa coniata probabilmente da Matteo de’ Pasti, il direttore dei lavori, prevedeva un rivestimento marmoreo che, sovrapposto alla struttura gotica, ne aggiornava l’aspetto classicista. Sono da interpretare in questo senso la facciata, ispirata, nella sua organizzazione a tre fornici ritmati da colonne poste sopra un’alta base, agli archi trionfali romani, e la monumentale sequenza di archi profondi che scandiscono la fiancata secondo un motivo derivato dagli acquedotti antichi. Era inoltre prevista la realizzazione di una grande cupola emisferica, anch’essa di ispirazione romana.
Le opere fiorentine
Un filo lega le opere progettate da Alberti a Firenze. Tutte commissionate con intenti autocelebrativi e ambizioni urbanistiche dal mercante Giovanni Rucellai nel quartiere di Santa Maria Novella, sono contraddistinte da una lettura innovativa della tradizione locale.
È emblematica in questo senso la facciata della chiesa di Santa Maria Novella, alla cui ultimazione l’architetto è chiamato già nel 1458. Egli è impegnato nei lavori dal 1460 fino al 1470. Prendendo spunto dal preesistente paramento marmoreo a intarsi geometrici bianchi e verdi tipici del romanico e del gotico fiorentini, Alberti ne riorganizza il ritmo secondo schemi compositivi determinati da un nuovo sistema metrico proporzionale. Riassumendo e neutralizzando – grazie all’inserimento fra i due livelli di un attico e di ampie volute di raccordo – tanto le incongruenze derivanti dalla mancata corrispondenza tra le parti, quanto lo sviluppo verticale dell’edificio gotico, la facciata albertiana introduce elementi tratti dal linguaggio classico come l’uso degli ordini architettonici, il timpano di coronamento e i caratteri capitali romani dell’iscrizione sul fregio.
Fra gli incarichi affidatigli da Rucellai è l’ideazione di una nuova facciata per il proprio palazzo, cui l’architetto si dedica dopo la ristrutturazione interna dell’edificio (conclusa nel 1452), elaborando un’alternativa al modello che Michelozzo Michelozzi aveva realizzato per i Medici una decina d’anni prima. Utilizzando il bugnato tradizionale dell’edilizia locale in una versione ingentilita, Alberti qualifica i diversi piani dell’edificio con il motivo della sovrapposizione degli ordini, applicata qui per la prima volta in forma compiuta.
Dal 1461 circa è impegnato nella cappella Rucellai della chiesa di San Pancrazio. Qui è collocato un prezioso tempietto marmoreo, datato 1467, rappresentante il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il suo involucro propone il connubio fra il linguaggio anticheggiante dell’ordine architettonico e il decorativismo geometrico della tradizione fiorentina.
Al servizio di Ludovico Gonzaga
Al soggiorno compiuto a Mantova in occasione della Dieta del 1459 risalgono i primi accordi tra Alberti e il signore della città, Ludovico Gonzaga. Essi riguardano una serie di interventi edilizi dalla forte connotazione urbanistica che si collocano nel fertile clima culturale della città, animato dal genio di Andrea Mantegna.
Alberti lavora nel 1460 a ben quattro progetti: la riedificazione della rotonda romanica di San Lorenzo, destinata a rimanere senza esito; la realizzazione di una loggia davanti al palazzo della Ragione; l’ideazione di un monumento a Virgilio (non realizzato); infine, il disegno per la nuova chiesa di San Sebastiano.
La costruzione della chiesa di San Sebastiano, inizialmente pensata per ospitare il mausoleo della famiglia Gonzaga, incontra numerose difficoltà dovute alle caratteristiche del sito prescelto e alla decisione di erigere il vano ecclesiastico sopra un’alta cripta. Affidati all’architetto Luca Fancelli, i lavori vengono interrotti alla morte di Ludovico nel 1478 per essere ripresi e ultimati, con molte modifiche rispetto all’idea iniziale, fra il 1499 e il 1512. Anche a causa degli interventi successivi – in particolare quello novecentesco che la trasforma in un sacrario ai caduti – la struttura si discosta dunque dal progetto albertiano, di cui rimane memoria in un disegno realizzato da Antonio Labacco nei primi decenni del Cinquecento. Offrendo nuovi spunti di riflessione sulla tipologia centralizzata, il progetto prevedeva una struttura a croce greca, con cupola ispirata all’antico.
Nel 1470, con l’intento di realizzare un edificio “più capace, più eterno, più degno, più lieto” di quello previsto, come lo stesso Alberti ha modo di affermare in una lettera del 21 ottobre di quell’anno, ottiene l’incarico della riedificazione della chiesa di Sant’Andrea, già affidata nel 1459 a Antonio di Manetto Ciaccheri. L’iniziativa era stata osteggiata dai benedettini che ne erano titolari; appariva evidente l’ingerenza politica esercitata dal marchese sulla reliquia del sangue di Cristo, ivi custodita, al fine di ottenere il consenso pubblico. Alberti propone una rielaborazione dello schema longitudinale riletto sulla base di quello che l’architetto stesso indica come tempio etrusco; la chiesa è risolta come un’ampia navata affiancata da cappelle. Di grande importanza è anche la correlazione raggiunta fra interno ed esterno: la facciata propone il medesimo modulo che scandisce il ritmo della navata, ispirato ancora una volta alle antiche tipologie costruttive dell’arco e del tempio.
Su incarico del marchese Ludovico, nel 1470 Alberti revisiona il disegno per la tribuna della chiesa della Santissima Annunziata a Firenze. Il progetto prevedeva una struttura circolare animata da nove cappelle, in parte emergenti dal perimetro, e coronata da una cupola a calotta emisferica. Ultimata secondo la revisione albertiana nel 1477, dunque dopo la scomparsa del maestro a Roma nell’aprile del 1472, alterata dagli interventi successivi, la rotonda dell’Annunziata si pone in dialogo diretto con l’incompiuta chiesa circolare di Santa Maria degli Angeli di Brunelleschi, caposaldo dell’architettura del primo Rinascimento.