Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Umanista poliedrico (scrittore in latino e in italiano, architetto, teorico delle arti), Leon Battista Alberti difende la scelta del volgare promuovendo il primo Certame Coronario a Firenze nel 1441 e optando per la lingua italiana nella stesura di diverse sue opere. Nella sua produzione spiccano i quattro libri Della famiglia nei quali l’autore, in una trattazione dialogica e fondata principalmente sull’esperienza, affronta temi legati alla centralità della famiglia nella vita civile.
Cenni biografici
Leon Battista Alberti
Proemio libro III - Della famiglia
I libri della famiglia
Più tosto forse e’ prudenti mi loderanno s’io, scrivendo in modo che ciascuno m’intenda, prima cerco giovare a molti che piacere a pochi, ché sai quanto siano pochissimi a questi dí e’ litterati. E molto qui a me piacerebbe se chi sa biasimare, ancora altanto sapesse dicendo farsi lodare. Ben confesso quella antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non però veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto d’averla in odio, che in essa qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai di presso dire quel ch’io voglio, e in modo ch’io sono pur inteso, ove questi biasimatori in quella antica sanno se non tacere, e in questa moderna sanno se non vituperare chi non tace. E sento io questo: chi fusse piú di me dotto, o tale quale molti vogliono essere riputati, costui in questa oggi commune troverrebbe non meno ornamenti che in quella, quale essi tanto prepongono e tanto in altri desiderano. Né posso io patire che a molti dispiaccia quello che pur usano, e pur lodino quello che né intendono, né in sé curano d’intendere. Troppo biasimo chi richiede in altri quello che in sé stessi recusa. E sia quanto dicono quella antica apresso di tutte le genti piena d’autorità, solo perché in essa molti dotti scrissero, simile certo sarà la nostra s’e’ dotti la vorranno molto con suo studio e vigilie essere elimata e polita.
L.B. Alberti, I libri della famiglia, a cura di R. Romano, A. Tenenti, F. Furlan, Einaudi, Torino, 1994
Leon Battista Alberti è uno degli esponenti più poliedrici dell’umanesimo italiano: umanista e scrittore in latino e volgare, forte sostenitore dell’uso della lingua italiana non solo dal punto di vista teorico ma soprattutto nelle sue opere. Architetto rinomato, scrive anche importanti trattati come il De re aedificatoria (1452), De pictura (1435, poi anche volgarizzato e dedicato a Filippo Brunelleschi: in esso per primo teorizza la prospettiva artificiale).
Figlio naturale di Lorenzo Alberti, Leon Battista nasce a Genova, dove il padre era in esilio. La famiglia Alberti è una delle maggiori casate fiorentine di mercanti che, a causa delle continue lotte nel Comune toscano, è bandita dalla città dalla fine del XIV secolo. Grazie a traffici fiorenti gli Alberti riescono comunque a mantenere alto il tenore di vita nelle diverse città in cui trovano rifugio.
La formazione di Leon Battista inizia a Padova, alla scuola umanistica di Gasparino Barzizza, poi prosegue a Bologna dove Alberti oltre ad apprendere il greco da Francesco Filelfo, intraprende gli studi di diritto canonico che lo portano ad addottorarsi (1428); nello stesso anno abbraccia la vita ecclesiastica. La svolta nella carriera di Alberti avviene quando nel 1432 diventa abbreviatore apostolico della cancelleria papale. L’impressione che la vista della città di Roma provoca in lui è importante anche per comprendere la sua inclinazione per l’architettura. Al servizio di diversi papi ha modo di viaggiare per l’Italia, entrando in contatto con centri importanti dell’umanesimo; in particolare soggiorna varie volte a Firenze, dove gli Alberti sono stati riammessi dalla fine degli anni Venti. Muore a Roma nel 1472.
L’umanesimo volgare e il Certame Coronario
Leon Battista Alberti partecipa attivamente, prendendo posizione a favore del volgare, al dibattito quattrocentesco sull’uso della lingua italiana. Una prima tappa importante della “questione della lingua” nel Quattrocento è la discussione tra Leonardo Bruni e Flavio Biondo nel 1435, riguardo alla lingua parlata dagli antichi romani. Flavio Biondo nella lettera De verbis romanae locutionis (1435) sostiene la tesi del latino come unica lingua dei dotti e del volgo, inquinato ai tempi delle invasioni barbariche dagli apporti germanici e differenziatosi nei diversi volgari.
Invece per Bruni, autore delle Vite di Dante e di Francesco Petrarca in volgare (1436), la situazione linguistica a Roma è caratterizzata dalla diglossia: i letterati parlano il latino classico, quello testimoniato dalle opere scritte dei grandi autori, mentre il popolo si esprime in volgare, linguaggio popolare non regolato dalla grammatica, coesistente col sermo literatus fin dai tempi antichi.
Leon Battista Alberti reinterpreta la teoria di Biondo nel proemio del terzo libro Della famiglia (1437) a favore della propria opzione per il volgare: infatti, se la tesi di Bruni della coesistenza di latino e volgare è funzionale all’affermazione della validità di quest’ultimo proprio grazie alla sua antichità, la posizione di Biondo sull’unicità del latino in età classica suffraga l’opera di diffusione del volgare come lingua di tutti. Il volgare ha secondo Alberti tutte le carte in regola per uguagliare il latino quanto a capacità espressive ed eleganza, ma presenta anche il vantaggio di potere essere fruito da un pubblico non esclusivamente di letterati. Sempre in difesa della pari dignità del volgare si colloca la composizione da parte dell’Alberti di quella che è considerata la prima grammatica in assoluto di una lingua moderna, la cosiddetta Grammatichetta vaticana o Grammatica della lingua toscana, conservata sotto forma di appunti nel codice Vaticano Reginense Latino 1370.
Inoltre ancora di Alberti è l’idea del primo Certame Coronario del 1441, una gara di poesia in volgare volta a dimostrare che la lingua volgare non è inferiore al latino, anzi è persino in grado di confrontarsi con esso su un tema classico e di rilevanza politica quale quello dell’amicizia. Diversi sono gli umanisti che vi si cimentano, come Ciriaco d’Ancona e Leonardo Dati: quest’ultimo e Alberti stesso vi partecipano con un primo esperimento di metrica barbara. La manifestazione, svoltasi in Santa Maria del Fiore il 22 ottobre, fallisce anche a causa della presenza, tra i giudici del concorso, di umanisti quali Poggio Bracciolini e Carlo Marsuppini, filomedicei, pertanto poco favorevoli alla ripresa del volgare, a Firenze sostenuta invece dalla vecchia aristocrazia contraria ai Medici.
Solo in seguito, a partire dagli anni Sessanta, i Medici soprattutto con Lorenzo il Magnifico, cercano di farsi a loro volta promotori della ripresa del volgare. Altrettanto importante per una maggiore presa di coscienza del valore del volgare risulta l’opera di Cristoforo Landino che, in adesione alla politica culturale di Lorenzo, nelle sue prolusioni petrarchesca (1467) e dantesca (1474) allo Studio fiorentino e, successivamente, nel commento alla Commedia (1481), nella cui prefazione celebra sia Alberti che il Magnifico, dimostra come non vi sia conflitto tra studi classici e pratica del volgare. Infine, non si può trascurare la rilevanza non solo letteraria della Raccolta Aragonese (1477), che raccogliendo testi di poeti toscani del Duecento e del Trecento (Dante e Petrarca ma anche gli stilnovisti) assieme a componimenti dello stesso Lorenzo, indica in Firenze l’erede culturale della grande tradizione poetica in volgare.
La produzione in volgare: i libri Della famiglia
Nella messe di scritti in volgare di Alberti si ricordano in primo luogo i quattro libri Della famiglia (1432-1443), capolavoro della prosa quattrocentesca, che nella forma del dialogo, privilegiata dagli umanisti, tengono insieme la dottrina degli antichi e l’esperienza dei moderni. In essi sono trattate diverse tematiche collegate alla realtà della famiglia quale nucleo principale della comunità civile, con l’intento di celebrare la casata degli Alberti e di mostrare il modo di vivere e la visione del mondo di una famiglia dell’alta borghesia fiorentina. Gli interlocutori sono esponenti della stessa famiglia “Alberta”, compreso il medesimo Battista, riuniti attorno al capezzale del padre morente nel 1421. Ai primi tre libri sull’educazione dei figli (libro I), sull’amore e il matrimonio (libro II), sulla masserizia, vale a dire sugli aspetti economici della gestione familiare (libro III), l’autore aggiunge, dopo il Certame Coronario del 1441, il quarto libro sull’amicizia, vincolo fondamentale nella vita associata. Nell’opera la realtà familiare assurge a modello concreto, effettivo di associazione umana positiva, mentre non troppo velata è la critica nei confronti dell’autorità statale, dell’attività degli uomini di governo. La discussione è ricondotta ai principi dell’esperienza: sintomatica è nel libro III la posizione di Lionardo, portavoce della cultura umanistica fondata sui classici, costretto a cedere davanti alla saggezza del vecchio Giannozzo che, nella trattazione dei modi in cui si possa acquisire e mantenere il patrimonio familiare e di come si possa farne un buon uso, fa appello principalmente alla conoscenza tramite la “pruova”.
Sebbene sarebbe riduttivo costringere le idee variamente espresse da Alberti nelle sue opere in una sorta di sistema filosofico unitario, il tema del rapporto tra virtù e fortuna si impone nella sua riflessione: nel prologo dei libri Della famiglia, meditando sui rovesci delle famiglie e delle comunità, l’umanista afferma con forza la sua concezione positiva, ottimistica della virtù umana contro la quale la fortuna ha scarso potere: “Non è potere della fortuna, non è, come alcuni sciocchi credono, così facile vincere chi non voglia essere vinto. Tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomette”.
La resistenza dell’uomo alla fortuna torna più volte nella sua produzione, con cenni diversi, in cui è possibile riconoscere soprattutto un’impronta stoica, come nei dialoghi in volgare Teogenio (1441) e Della tranquillità dell’animo (1441-1442) e in vari dialoghi latini Intercoenales, composti nell’arco di tutta la vita. L’ultimo trattato importante di Alberti è il De iciarchia (1470), che riprende alcuni degli argomenti dei libri Della famiglia come la gestione del patrimonio, la partecipazione alla vita pubblica ma anche il valore del dominio di sé.