VALIANI, Leo
VALIANI (propr. Weiczen, italianizzato durante il fascismo), Leo. – Nacque a Fiume/Rijeka il 9 febbraio 1909 da genitori ebrei non praticanti di madrelingua tedesca e di estrazione piccolo borghese. Il padre Oser Wolf, nato a Jánosd (Transilvania) con il cognome Waizen e trasferitosi a Fiume nel 1891, era un piazzista di cereali animato da idee liberali. La madre Margherita Geller, nata a Brčko (Bosnia-Erzegovina), raggiunse Oser Wolf a Fiume nel 1906 e, pur essendo parente del fondatore del sionismo Theodor Herzl, non si occupava di politica. Leo ebbe due sorelle: Guglielmina (Selma, 1907) e Clara (1914).
I primi anni della sua vita si dispiegarono tra Fiume e Budapest, dove si trasferì nel 1916 quando Oser Wolf, chiamato alle armi, a causa di problemi cardiaci prestò servizio civile come impiegato. A Budapest Leo terminò la scuola elementare, iniziata a Fiume. Si rivelò un bambino precoce e, con l’aiuto del padre, seguì le sorti del conflitto attraverso i bollettini provenienti dal fronte e i quotidiani di lingua tedesca e ungherese, tra cui il socialdemocratico Népszava. Fu testimone della disgregazione dell’Austria-Ungheria e dell’esperienza della Repubblica dei consigli di Béla Kun, partecipando alla sfilata del 1° maggio 1919 al fianco dei lavoratori e mostrandosi affascinato anche dagli spartachisti tedeschi. Nonostante la moderazione del padre, preoccupato per l’affermazione dei bolscevichi in Russia, si considerava già un socialista, sebbene queste sue prime passioni politiche fossero il frutto di un istintivo sentimento di solidarietà verso le masse in lotta.
Rientrato a Fiume nel giugno del 1919, Valiani fu testimone di eventi che accrebbero il suo interesse per la politica e che, dall’occupazione di Gabriele D’Annunzio (dal cui carisma fu colpito) fino alla nascita dello Stato libero, lo immersero in un ambiente magmatico e caratterizzato da affascinanti suggestioni. Dopo le elezioni per la Costituente, vinte dal Partito autonomista di Riccardo Zanella, il 3 marzo 1922 la città fu attaccata dai fascisti. Il palazzo del governo fu danneggiato e Valiani, che abitava di fronte, fu colpito dalla violenza degli scontri. Prese allora coscienza, nonostante la giovane età, dei suoi sentimenti antifascisti.
Il 1924 fu un anno spartiacque, sul piano personale e politico. Il padre morì e Valiani dovette lasciare la scuola e cercare lavoro, viste le ristrettezze economiche in cui versava la madre con tre figli a carico. A proposito del suo percorso di studi, nel 1928 dichiarò di aver assolto la seconda classe di un istituto tecnico, per poi indicare nel liceo Dante Alighieri la prima scuola superiore frequentata a Fiume. Trovò lavoro presso la Banca mobiliare, ma continuò a studiare, sia pure in modo disorganico.
Si recava spesso nella confinante Sušak, dove consultava quotidiani stranieri in prevalenza di matrice socialista e liberale. Riusciva a far arrivare da Budapest, Vienna e Zagabria libri e riviste attraverso cui, dopo aver letto il Manifesto del Partito comunista, prese contatto con i classici del marxismo dei quali aveva sentito parlare grazie a opuscoli di propaganda inviatigli da Wilhelm Ippen, commerciante originario della Bucovina d’idee socialiste, marito della zia materna Irma, morto in un campo di concentramento sovietico nel 1952 e figura centrale nella sua formazione politico-culturale. Prima delle ‘leggi fascistissime’ del novembre del 1926, Valiani leggeva anche il Corriere della sera, Il Mondo e i quotidiani dei partiti antifascisti: Avanti!, La Giustizia, La Voce repubblicana, l’Unità.
Con il passare dei mesi e l’acuirsi della repressione, crebbe in lui la voglia di agire e, dopo aver aggiunto alle sue letture Il Quarto Stato, nel settembre del 1926 si recò a Milano. Qui conobbe i fondatori della rivista, Pietro Nenni e Carlo Rosselli, che lo invitarono a diffonderla nella Venezia Giulia e lo misero in contatto con Filippo Turati, Claudio Treves e Giuseppe Saragat, che lo ricevette nella sede della Banca commerciale italiana (Comit) di piazza Scala dove Valiani sarebbe tornato durante la Resistenza. Proprio al 1926 risalgono i suoi primi due articoli, pubblicati sull’Avanti! in forma di brevi corrispondenze non firmate. Fino al 1936 Valiani non avrebbe pubblicato altri scritti, pur avviando nel 1926-27 una collaborazione con la Népszava. In questa fase egli mantenne contatti epistolari con Turati e Nenni, che gli chiesero di diffondere a Fiume La Libertà, quotidiano della Concentrazione antifascista.
Tra il 1926 e l’inizio del 1928, il suo mentore politico fu Ermanno Bartellini, un socialista conosciuto a Trieste durante un viaggio di lavoro e al vertice di un gruppo di antifascisti che ruotava intorno a Pietre, con cui Valiani collaborò fino al suo primo arresto, avvenuto a Fiume il 27 febbraio 1928 quando, di ritorno da Sušak, fu trovato in possesso di giornali antifascisti. Il suo arresto non fu figlio di una casualità: i fascisti ne monitoravano infatti i movimenti. La perquisizione dell’abitazione portò alla luce altri giornali e libri ‘eversivi’, oltre a corrispondenza compromettente. Valiani, interrogato, rivendicò la sua fede nel socialismo e dichiarò di essere un corrispondente della Népszava. Riconobbe di essere stato in contatto con i socialisti italiani e fu denunciato al Tribunale speciale il 2 marzo. Nelle settimane successive, la sua posizione si aggravò con la scoperta dei suoi rapporti con Bartellini. La madre e la fidanzata di allora, Elena, tentarono di farlo ‘ravvedere’, ma provocarono in lui fastidio acuendo la sua intransigenza. La Commissione istruttoria del tribunale accolse le tesi della difesa e, ignorando i due articoli pubblicati sull’Avanti!, ricondusse la sua attività alla collaborazione con il socialismo ungherese. Dopo cinque mesi di carcere, Valiani evitò la condanna ma non quattro anni di confino, ridotti a uno da scontare a Ponza.
Qui conobbe vari esponenti del Partito comunista d’Italia (PCd’I), tra cui Giuseppe Berti, che lo convinse a entrare nel partito. Nel 1929 tornò a Fiume, dove riprese il lavoro presso la Banca mobiliare. Lì, mostrando una radicalizzazione delle sue posizioni politiche, fondò una cellula comunista. Fu arrestato il 24 febbraio 1931 e, dopo essersi detto pronto alla lotta armata contro il fascismo, fu condannato a dodici anni e sette mesi di reclusione, che scontò a Lucca e Civitavecchia al fianco di Pietro Secchia, Altiero Spinelli, Emilio Sereni, Manlio Rossi Doria, Umberto Terracini e Giovanni Parodi. In carcere, pur subendo la censura di regime e le restrizioni riservate ai detenuti politici, Valiani continuò a studiare e, sotto la guida di Secchia, consolidò la sua fede nel comunismo e il suo legame ideale con l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche).
Uscì dal carcere il 7 marzo 1936 usufruendo di un’amnistia e si rifugiò a Parigi dove, aiutato da Edoardo D’Onofrio e Teresa Noce, durante la stagione dei fronti popolari iniziò una feconda attività giornalistica collaborando con testate espressioni della linea dell’Internazionale comunista (Komintern). Nello stesso 1936, allo scoppio della guerra civile, si recò in Spagna da inviato del giornale del PCd’I Il Grido del popolo, ma iniziò a scrivere anche per fogli riconducibili al marxismo eterodosso e, dal 1937, per La Voce degli italiani, quotidiano dell’Unione popolare italiana diretto da Giuseppe Di Vittorio, nella cui redazione conobbe Nidia Pancini che sarebbe divenuta sua moglie e madre del suo unico figlio, Rolando. Nel 1937, anno in cui aderì alla Lega italiana dei diritti dell’uomo (LIDU), conobbe Franco Venturi e Aldo Garosci, militanti di Giustizia e libertà (GL), che divennero i suoi amici più cari e che contribuirono a indebolirne le certezze ideologiche.
Nel 1937-39, pur militando nel PCd’I, per lui una comunità verso cui era riconoscente, Valiani iniziò a ripensare la sua identità politica. In Spagna criticò da sinistra i comunisti perché non perseguivano la ‘rivoluzione di classe’, firmando articoli su Que faire? e Drapeau rouge con lo pseudonimo Paul Chevalier, ma, da militante ortodosso, scrisse anche su La correspondance internationale firmandosi Leo Giuliani. Avrebbe poi usato altri pseudonimi (Federico Ricci, Antonio Liberi, Federico), firmandosi Leo Valiani per la prima volta nel 1944.
Nel settembre del 1939, pur essendo in pericolo per le implicazioni del patto Ribbentrop-Molotov, non fuggì. Affidato a Venturi un manoscritto di storia ungherese, fu arrestato e rinchiuso nel campo d’internamento di Le Vernet, dove conobbe Arthur Koestler. Qui, non volendo sembrare un opportunista e far apparire il proprio travaglio come un espediente per conservare la libertà, solo dopo aver scelto di condividere la sorte dei compagni manifestò il dissenso verso la linea del PCd’I, da cui fu espulso. Luigi Longo, Mario Montagnana e centinaia di comunisti detenuti gli tolsero il saluto. Sempre più ostile al modello sovietico e alle purghe staliniane, Valiani sostenne che Lev Trockij e i leader bolscevichi processati in URSS non erano traditori, ma criticò anche il trockijsmo sulla praticabilità della rivoluzione mondiale e di un comunismo affrancato dal Komintern. Aderì a GL attraverso Venturi e, all’inizio di ottobre del 1940, evase da Le Vernet deciso a lasciare la Francia occupata dai nazisti.
Dopo un viaggio di più di un anno, passando per Marsiglia, Algeri e Casablanca (dove rimase nove mesi), nel dicembre del 1941 approdò in Messico. Qui si confrontò con importanti esponenti del movimento operaio internazionale: Julián Gorkin, Marceau Pivert e Victor Serge. Pubblicò il primo studio storico, Historia del socialismo europeo en el siglo XX, in parte frutto dei dialoghi parigini con Garosci e Venturi e da interpretare come un tentativo di riformulare il socialismo rifiutando il mito dell’Unione Sovietica, il partito unico e il controllo statale dell’economia e della società. Studiò le radici di una cultura politica che considerava ormai appiattita sul comunismo e sul socialismo massimalista e che intese rinnovare guardando in primis all’associazionismo britannico, distinguendo tra socializzazione, nazionalizzazione e pianificazione.
Ottenne la laurea in scienze politiche il 15 luglio 1942, riprendendo gli studi iniziati a Parigi dove aveva seguito alcune lezioni di Élie Halévy, riferimento centrale per le sue riflessioni sul totalitarismo. Pur convinto della necessità di abbattere il fascismo con una rivoluzione e di superare il capitalismo, Valiani allargò i suoi orizzonti teorici. Mise in discussione il marxismo e mirò a elaborare un’idea di socialismo libertario incentrata sulle autonomie. Si avvicinò a una concezione democratico-radicale della rivoluzione che non puntasse alla nazionalizzazione dell’economia, ma al parziale controllo operaio attraverso i consigli. Questa idea, che lo spinse a teorizzare forme di autogoverno popolare, avrebbe preso forma durante la Resistenza con la nascita dei Comitati di liberazione nazionale (CLN), visti come organismi di base della rivoluzione democratica e dello Stato postfascista.
Nel 1942 conobbe Max Salvadori, antifascista liberale e ufficiale del britannico Special operations executive (SOE), che favorì il suo rientro in Italia attraverso Cuba, Miami, New York, Halifax, Londra e Algeri. Giunto a Roma il 9 ottobre, a piedi da Salerno, avviata una stretta collaborazione con il SOE in funzione antifascista, Valiani aderì al Partito d’azione (PdA) e fu inviato a Milano da Ugo La Malfa per rafforzarne la rete organizzativa. Qui conobbe Ferruccio Parri, con cui si recò in Svizzera per discutere con gli anglo-americani i caratteri della guerra partigiana. A Milano conobbe finalmente il figlio Rolando, dal 1939 rimasto con Nidia che sposò nello stesso 1943. Il 31 ottobre intervenne a Torre Pellice quando fu decisa dagli azionisti la politicizzazione delle bande partigiane, idea resa operativa dall’Esecutivo Alta Italia del PdA il 14 febbraio 1944, un mese dopo che Valiani era divenuto segretario per il Nord del partito, che rappresentò nel CLN Alta Italia (CLNAI). Diresse l’edizione lombarda del quotidiano azionista L’Italia libera e giocò un ruolo fondamentale nella Resistenza con Vittorio Foa, Riccardo Lombardi e altri, tra cui Sandro Pertini, Longo e Sereni. Con questi ultimi, il 25 aprile 1945, ordinò da Milano l’insurrezione generale e decise la condanna a morte di Benito Mussolini.
Dopo la caduta del governo Parri alla fine del 1945, l’esaurimento del ‘vento del Nord’, lo svuotamento dei CLN e il tramonto della rivoluzione democratica, descritti da Carlo Levi nel romanzo L’orologio (in cui Leo è Andrea Valenti), già membro della Consulta, Valiani fu eletto alla Costituente. Federalista e ostile ai nazionalismi, visti come i primi nemici della pace, contribuì alla formulazione dell’articolo 1 della Costituzione e si pronunciò per la Repubblica presidenziale. Sostenne il decentramento amministrativo e l’epurazione, criticando l’amnistia Togliatti. Con lo scioglimento del PdA, nel 1948 si candidò nel Fronte popolare PCI-PSI per solidarietà con il movimento operaio, ma con l’idea di lasciare la politica attiva, sostenendo poi l’autonomista Partito socialista unitario (PSU) e l’Unione italiana del lavoro (UIL).
Passando per Mediobanca, nel 1949 entrò alla Comit da collaboratore esterno della direzione per le missioni all’estero, recandosi in Europa orientale e Asia. Dopo il 1957, quando fu assunto come dirigente senza firma (rimase in servizio fino al 1975, nonostante la collaborazione sia continuata informalmente), fu consulente politico e culturale della banca, mantenendo uno stretto rapporto con Enrico Cuccia e soprattutto con Raffaele Mattioli che, dopo la morte di Federico Chabod nel 1960, gli affidò con Venturi la direzione della collana Studi e ricerche di storia economica italiana nell’età del Risorgimento e, dal 1967, la supervisione della creazione dell’Archivio storico.
Valiani, che conosceva sette lingue (fin da giovane tedesco, ungherese, italiano e croato; in seguito francese, inglese e spagnolo), si dedicò agli studi storici, influenzato da Gaetano Salvemini e Benedetto Croce, e al giornalismo. Condusse importanti battaglie politico-culturali per la modernizzazione dell’Italia sostenendo il superamento del Concordato, la riforma della burocrazia e del sistema scolastico. Attaccò la censura, la speculazione edilizia, il potere dei monopoli, le ingerenze del Vaticano nella vita pubblica. Non s’identificò in toto con un partito, ma incarnò appieno l’intellettuale militante novecentesco che, attraverso lo studio filologico del passato e il rinnovamento della storiografia sulle varie articolazioni del movimento operaio, rifletteva sul futuro della sinistra.
Autore di studi innovativi sul socialismo e sul comunismo, sull’antifascismo, il PdA, la Resistenza, il Partito socialista italiano (PSI) e la dissoluzione dell’Austria-Ungheria, oltre a diversi volumi anche autobiografici, pubblicò migliaia di saggi e articoli su riviste e giornali tra cui Critica sociale, il Ponte, L’Espresso, Tempo presente, Rivista storica italiana, Il Mondo, Movimento operaio, Nuova Antologia, La Voce repubblicana, Corriere della sera, dove nel 1970 fu chiamato da Giovanni Spadolini diventandone una delle firme di punta. Si oppose alla riforma della legge elettorale e, nel 1953, sostenne Unità popolare. Con Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e altri liberali di sinistra nel 1955 fu tra i fondatori del Partito radicale.
Favorevole al centro-sinistra e critico verso il radicalismo programmatico di alcuni suoi ex compagni, nel 1966 sostenne l’unificazione tra il PSI e il Partito socialdemocratico italiano (PSDI). Guardò con diffidenza al Sessantotto studentesco e durante gli anni Settanta, impegnato contro il terrorismo brigatista e l’eversione neofascista, senza prenderne la tessera si avvicinò al Partito repubblicano italiano (PRI) di La Malfa, di cui apprezzò la linea di rigore economico, la lotta all’inflazione e alla spesa pubblica improduttiva, la cultura riformatrice.
Le preoccupazioni di Valiani per la tenuta del quadro democratico non si attenuarono fino alla fine della guerra fredda. Mantenne riserve sulla politica del Partito comunista italiano (PCI) di Enrico Berlinguer, di cui criticò il compromesso storico approvando però la presa di distanza da Mosca, la solidarietà nazionale e i richiami all’austerità. Traumatizzato dal rapimento e dall’assassinio di Aldo Moro, si schierò a favore della linea della ‘fermezza’. Durante gli anni di piombo fu minacciato e visse sotto scorta.
Il 12 gennaio 1980 il presidente della Repubblica Pertini lo nominò senatore a vita. In Senato sedette da indipendente nel gruppo repubblicano, in quello della sinistra democratica e nel misto. Deluso dal nuovo corso socialista di Bettino Craxi, che aveva inizialmente sostenuto, critico verso l’aumento del debito pubblico, gli sprechi e la corruzione, visti come mali endemici dell’Italia, Valiani (che collaborò con la Fondazione Feltrinelli fin dalla sua nascita e fu presidente onorario della Società di studi fiumani) nel 1994 da Milano si recò al Senato per votare ‘no’ al primo governo Berlusconi. Fu il suo ultimo atto politico nel Parlamento della Repubblica che, a prezzo di grandi sacrifici, aveva contribuito a fondare. Sempre in contatto con Venturi e Garosci (per le sue riflessioni storiografiche e politiche sono fondamentali i rispettivi carteggi), corrispondente di storici, intellettuali, politici e giornalisti di varia estrazione culturale, pur avendo rivisto le sue idee politiche dopo il 1956 con la piena accettazione della liberaldemocrazia e il superamento di una concezione finalistica della storia, anche negli ultimi anni Valiani guardò al socialismo liberale, interrogandosi sul rapporto tra libertà e uguaglianza e seguendo l’attualità con una sorta di disincanto costruttivo.
Laico, agnostico, curioso e tormentato fino alla fine, morì a Milano il 18 settembre 1999.
Opere postume. Leo Valiani - Franco Venturi. Lettere 1943-1979, a cura di E. Tortarolo, Firenze 1999; Discorsi parlamentari, con un saggio di G. La Malfa, Bologna 2005; Leo Valiani tra storia e politica. Scritti di storia delle idee (1939-1956), a cura di D. Bidussa, Milano 2008; L’impegno e la ragione. Carteggio tra Aldo Garosci e Leo Valiani (1947-1983), a cura di F. Fantoni, Milano 2009; Democrazia laica. Epistolario, documenti, articoli (con M. Pannunzio), a cura di M. Teodori, I-II, Torino 2012; Questione meridionale e Unità d’Italia: uno scritto inedito, a cura di E. Mannucci - A. Ricciardi, Milano 2012. Per un elenco completo degli scritti pubblicati fino al 1999, si veda Tra storia e politica. Bibliografia degli scritti di Leo Valiani (1926-1999), a cura di G. Busino, Milano 2000.
Fonti e Bibl.: Milano, Fondazione Feltrinelli, Fondo Valiani, Documenti 1943-1998 e Corrispondenza 1938-1999; Archivio storico Intesa Sanpaolo, Patrimonio BCI (ASI-BCI), Attività di Leo Valiani all’estero (1949-1981) e Segreteria della Collana di storia economica della BCI e di Leo Valiani (1941-1998); Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, J5, b. 352, e Confino politico, b. 1079, Tribunale speciale per la difesa dello Stato, b. 069, f. 1088, e b. 363, f. 3395, Ministero di Grazia e Giustizia, Direzione generale istituti di prevenzione e pena, b. 78, f. 9716.
A. Ara, L. V., uomo e storico della Mitteleuropa, in Rivista storica italiana, 2000, n. 3, pp. 921-998; G. Busino, In memoria di L. V. (1909-1999), ibid., pp. 862-918; A. Ricciardi, L. V. Gli anni della formazione: tra socialismo, comunismo e rivoluzione democratica, Milano 2007; L’epistolario tra Ernesto Rossi e L. V., in Ernesto Rossi. Un democratico europeo, a cura di A. Braga - S. Michelotti, Soveria Mannelli 2009, pp. 285-328; Gaetano Salvemini e L. V.: un epistolario tra eretici (1945-1947), in Il prezzo della libertà. Gaetano Salvemini in esilio (1925-1949), a cura di P. Audenino, Soveria Mannelli 2009, pp. 277-315; L’utopia necessaria. L. V. a cento anni dalla nascita, a cura di C. Scibilia, Roma 2012; A. Ricciardi, Ex azionisti nell’Italia repubblicana: Enzo Enriques Agnoletti e L. V., in Storiografia, 2013, n. 17, pp. 11-42; Leo Weiczen Valiani. Fiuman, European, revolutionary, historian, a cura di V. D’Alessio, in West Croatian history journal, 2015, n. 10. Cfr. anche G. De Luna, Storia del Partito d’azione, Milano 1982, Torino 2006; I congressi del Partito d’azione 1944/1946/ 1947, a cura di G. Tartaglia, Roma 1984; E. Savino, La diaspora azionista. Dalla Resistenza alla nascita del Partito radicale, Milano 2010.