Socini, Lelio e Fausto
Teologi italiani del 16° sec. che hanno dato il nome alla dottrina teologico-morale del socinianesimo (➔), diffusa negli ambienti colti d’Europa nei secc. 16°, 17° e 18° e conservata ancora a fondamento delle dottrine religiose ed etiche dell’unitarianismo. L’elaboratore e sistematizzatore del socinianesimo, nonché il più famoso dei due, fu Fausto (Siena 1539 - Lucławice, Cracovia, 1604); ma i motivi fondamentali che lo ispirarono nella sua opera e il metodo di ricerca e critica da lui seguito risalgono allo zio Lelio (Siena 1525 - Zurigo 1562), figlio di Mariano il Giovane. Lelio, iniziato prestissimo alle idee protestanti, avviò la critica di ogni tradizione e dogma, non solo cattolico, ma anche luterano, calvinista e zwingliano, seguendo l’ispirazione di Camillo Renato, il quale, fondandosi su uno spiritualismo mistico, propugnava una concezione puramente etica della vita cristiana. Nel 1547 Lelio iniziò una lunga serie di viaggi, soprattutto in Germania e in Polonia, dai quali però tornò sempre in Svizzera, fermandosi specialmente a Zurigo; qui godeva infatti della protezione di uno tra i più fedeli seguaci di Zwingli, H. Bullinger, le cui idee, improntate in gran parte all’umanesimo di Ficino e G. Pico della Mirandola, erano più vicine che non quelle di Zwingli alle idee di Lelio S. e di altri italiani che applicavano la critica umanistica di Valla al dogma cristologico, raccogliendo anche le suggestioni degli spagnoli Serveto, quanto alla critica antitrinitaria, e Valdés, quanto alla concezione puramente spirituale della religione. È pur vero che tutti gli scritti sicuramente noti ai contemporanei (pochi e brevi) di Lelio S. possono essere considerati come ‘ortodossi’ dal punto di vista zwingliano, ma non si può dire la stessa cosa delle sue vere opinioni, che egli manifestava in forma dubitativa e in scritti pseudonimi o anonimi, fra i quali notevoli alcuni appunti sulla Trinità e una Paraphrasis in initium evangelii s. Johannis. Con uno scritto pure sull’inizio del Vangelo giovanneo cominciò la sua attività teologica Fausto S., che vi riprendeva in pieno motivi e parole dello scritto dello zio, del quale aveva potuto raccogliere l’eredità di abbozzi, appunti, questioni lasciati a Zurigo, accorrendovi da Lione, dove si trovava, poco più che ventenne, a far pratica commerciale, e dove aveva anche sentito fortemente la suggestione religiosa della Riforma. Nel 1563 Fausto tornò in Italia, dove rimase per una dozzina d’anni come segretario dei Medici, sotto la protezione di Isabella Medici-Orsini. In questo periodo preparò il De auctoritate sanctae scripturae, sua prima famosissima opera (apparsa pseudonima come tutte le altre fino al 1590, anno nel quale l’Inquisizione sequestrò tutti i suoi beni ed egli si poté considerare sciolto da una promessa evidentemente fatta ai Medici suoi protettori). Nel 1575 Fausto abbandonò definitivamente l’Italia. Dopo un breve periodo di permanenza in Svizzera (soprattutto a Basilea), dove sostenne una disputa con F. Pucci dalla quale ha origine il De Jesu Christo servatore (pubbl. nel 1594), Fausto si recò in Transilvania, su invito di G. Biandrata, per convincere F. Dávid ad ammettere la necessità dell’adorazione di Cristo. Fallito il tentativo, Fausto si recò in Polonia, vivendo quasi di continuo a Cracovia; egli prese, come Lelio, l’atteggiamento dello studioso e dell’indagatore, rimanendo fuori dalla Ecclesia minor antitrinitaria polacca (negava, infatti, il valore sacramentale del battesimo, fondamentale invece per il primo anabattismo antitrinitario polacco) ma acquistando, per le sue cognizioni teologiche e la sua abilità controversistica, autorità grandissima all’interno di essa. La sua opera non consistette nell’istituire una nuova Chiesa o nell’elaborare una nuova dottrina, ma nell’assistere, approfondire e sistemare nell’unità organizzativa, e nella consapevolezza dottrinale, quel movimento che, al lume della tradizione ereticale italiana, gli sembrava l’unico che offrisse garanzie di purezza cristiana.