COLISTA, Lelio
Figlio di Pietro, giurista e scrittore latino della Biblioteca Vaticana, e di Margherita Riveri de Honorantis, nacque a Roma il 13 genn. 1629. Trascorse i primi anni di vita in un ambiente culturale tra i più stimolanti della Roma del XVII secolo: abitò nel palazzo posto ad angolo tra via del Corso e via Lata, non lontano da S. Marcello con lo oratorio del SS. Crocifisso, i palazzi dei Colonna, dei Mancini, degli Aldobrandini e il Collegio Romano, noti centri propulsori delle varie attività musicali e letterarie della città.
Non si conosce il nome del suo maestro; certo è che il C. dovette avere precoci disposizioni alla musica, se iniziò la sua carriera come "putto cantore". Allora questo tipo di formazione musicale veniva impartito o presso chiese come S. Pietro (cappella Giulia), S. Maria Maggiore (cappella Liberiana), SS. Apostoli, S. Giovanni dei Fiorentini, S. Luigi dei Francesi, S. Spirito in Sassia o anche dai cantori del papa, da compositori, organisti privati, che curavano soprattutto i ragazzi dotati di talento nel canto e nella composizione.
La sua formazione ebbe luogo presso i gesuiti nel seminario romano, ove poté stabilire rapporti personali con A. Kircher e C. Schott. Nel 1648, a diciannove anni, era già celebre come liutista, chitarrista, tiorbista e compositore: "insignis Cytharaedus, & veré Romanae Urbis Orpheus". Lo stile di alcune sue prime composizioni fa pensare a quello di Stefano Landi (morto nel 1639), ma senza dubbio già in questi lavori giovanili si intravede l'impronta delle più tarde sonate a tre. Nella sinfonia per quattro liuti il primo tempo, costruito sui toni ecclesiastici, si muove in stretto contrappunto, mentre gli altri due tempi sembrano guidati da "affetti pietosi e malinconici" come dirà Pietro della Valle (cit. in Wessely-Kropik, 1961). Le sinfonie giovanili sono davvero "bellissime sinfonie" (Pitoni).
Fin dall'inizio della sua attività il C. si presenta come un rivoluzionario nell'ambito della tradizionale struttura della musica romana; nelle arie, nelle cantate e soprattutto nelle sonate a tre il C. si abbandonò a libere improvvisazioni non solo nella parte del violino ma anche in quella dei bassi.
Per quanto riguarda l'attività di esecutore non si hanno molte notizie anche se, proprio in quel periodo, l'attività di un musicista veniva incoraggiata, più che nelle chiese e negli oratori, nell'ambiente più raccolto dei salotti aristocratici e nei teatri privati. Secondo la Wessely-Kropik le uniche notizie in merito ci sono fornite da Gaspar Sanz, il quale riferisce che, durante il suo periodo romano anteriore al 1674, partecipò a molte "accademie" alle quali frequentemente prendeva parte anche il C., e dal Kircher che dà ampie notizie su una accademia avvenuta nel 1652, e che rimane l'ultima notizia relativa alla attività artistica del Colista.
Con la salita al soglio pontificio di Alessandro VII Chigi, inizia uno splendido periodo nella vita del compositore. Nel 1656 il suo nome appare fra i ventidue scudieri nella famiglia di Alessandro VII con la paga di 4 scudi e mezzo al mese. Dal 25 dic. 1659 ricoprì la carica di stilusCuriae Romanae e, rimasto vacante il posto di "custode delle pitture della cappella pontificia" per la morte di Francesco Marini (ottobre 1658), il C. firma per la prima volta il 1º genn. 1660 la ricevuta allo stipendio del camerlengo con le parole: "Io Lelio Colista custode delle pitture della cappella di Sisto..." (Wessely-Kropik, 1961, p. 44). Mantenne questo posto di custode fino alla morte e certamente occupò una posizione di prestigio nella famiglia papale rispetto agli altri strumentisti romani. Sulla base di queste cariche papali è ovvio che il C. pretendesse, vuoi nelle chiese vuoi negli oratori, la partecipazione dei cantori della cappella Sistina. È strano comunque che le indubbie capacità musicali del C., riscontrabili dai conti dei suoi alti onorari, non trovino conferma nelle testimonianze dei suoi colleghi musicisti, che lo ignorano completamente fino a farlo cadere nell'oblio dopo la morte: Antimo Liberati, ad esempio, suo contemporaneo (1617-1692) e membro della cappella papale come cantore fin dal 1661, non lo menziona mai nei suoi scritti.
Nel 1664, al seguito del cardinale legato Flavio Chigi in missione diplomatica, fu a Parigi, dove tenne con grande successo dei concerti per Luigi XIV insieme con Bernardo Pasquini. Sembra che la sua presenza a Parigi lasciasse una notevole impressione: egli è l'unico italiano, con Giacomo Carissimi, ad apparire con sei lavori di "une agréable, doucer" in un manoscritto francese della seconda metà del secolo XVII (Wessely-Kropik, 1961, p. 86). Il ritorno a Roma avvenne il 9 ottobre del 1664.
In questo periodo ebbe inizio la notevole fortuna economica del Colista. Investì in buoni di Stato 4.600 scudi in quattro anni, concluse operazioni finanziarie, acquistò due "censi". Le sue quotazioni andarono a mano a mano aumentando: dai modesti 10 scudi e 67 lire nel 1663 a 42 scudi e 70 lire nel 1664, a 80 scudi e 20 lire nel 1665, 100 scudi e 85 lire nel 1666, 170 scudi nel 1667, 190 scudi negli anni 1668-1670. Oltre che dagli onorari derivanti dalle prestazioni di solista, di maestro e di compositore, i suoi capitali venivano incrementati con doni onorifici di nobili protettori, tanto che la sua posizione economica era certamente solida quando l'8 sett. 1669 sposò la "puella romana" Margarita Petrignani.
A Roma lavorò a S. Luigi dei Francesi nel 1658-59 e dal 1673 al 1675; dal 1660 al 1680 fu liutista nell'Oratorio di S. Marcello, dove fu anche maestro di cappella nel 1661 e nel 1667. Nel 1675, anno santo, fece parte, con C. Mannelli e B. Pasquini, del "concertino" dell'orchestra costituita per l'esecuzione di quattordici oratori dalla Compagnia della Pietà in S. Giovanni dei Fiorentini. Mentre non risulta abbia fatto parte della Congregazione di S. Cecilia, che vide fra i suoi membri i figli Domenico Bartolomeo e Giovanni Battista Saverio Lelio e i nipoti Matteo e Alessio, il 4 ott. 1675 entrò nell'Arciconfraternita delle Sacre Stimmate di S. Francesco - cui avevano aderito il suocero Girolamo Petrignani, nel 1649, e sua figlia Margarita, dal gennaio 1661 -, fatto che gli schiuse certo un'altra sfera di attività artistica.
Nel 1677 è domiciliato in "Isola in Strada nuova" (oggi via della Panetteria). Già padre di cinque figli (Leopoldo, Domenico Bartolomeo, Giacinto, Angelica, Chiara), vedrà la nascita del sesto - Giovanni Battista Saverio Lelio - due giorni prima di morire. Il 9 ott. 1680, gravemente ammalato per cause sconosciute, consegnò il suo testamento "nuncupativo" al notaio Giovanni Battista Rondini, alla presenza di sette testimoni.
Morì a Roma il 13 ott. 1680.
Di grande importanza l'inventario dei beni ereditari del C., da cui prende risalto il ragguardevole patrimonio accumulato nella pur breve carriera musicale. Tra gli strumenti musicali: "Un spinettone dipinto di fuori di arabeschi", "Un Cimbalo con suoi piedi", "Sei arcileuti con sue casse", "Due chitarre con sue casse", "Una mandolina d'hebano, et avorio senza cassa", "Un timpanetto rosso", "Due chitarre senza cassa", "Tre vioIoni, e due viole da gamba", "Due viole, Due violini", "Un leuto alla francese", "Sei arcileuti, con sue casse tutti nobbili", "Un leuto piccolo con sua cassa", "Un leutino piccolo", "doi altri leuti piccoli vecchi con sua cassa et una viola da gamba con sua cassa", per un totale di trentacinque strumenti. Troppo lungo sarebbe riportare la ricchezza della mobilia, l'incredibile numero di quadri e di suppellettili varie. Ricordiamo solo "Quattro piatti reali di Raffaello d'Urbino con sue cornici dorate". Altrettanto ricca l'argenteria e la gioielleria.
Ammirato dai contemporanei come grande virtuoso di liuto e di chitarra, morì senza avere visto pubblicato alcuna sua sonata, e forse, come sostiene la Wessely-Kropik, ciò fu dovuto al fatto che non poté contribuire alla diffusione delle sue composizioni, in particolare delle sonate a tre, ove gli venne meno la possibilità di essere esecutore della parte affidata al violino mancandogli la capacità esecutiva e la concezione virtuosistica della zona acuta dello strumento, come invece può rilevarsi nei lavori di C. A. Lonati e di C. Mannelli. L'essere maestro di liuto d'altronde, e cioè di uno strumento strettamente legato all'arte del canto, favorì la cantabilità tipica delle sue sonate a tre. In esse quel che di nuovo e di bello era già avvertito ai suoi tempi era l'unione di un contrappunto vincolato alla scuola romana con una nobile cantilena piena di malinconica espressione, caratteristiche che dovevano contrassegnare più tardi anche le sonate a tre di Corelli. Riconosciuto precursore dello stesso Corelli e dell'inglese H. Purcell, autore di arie e cantate - nel cui stile si sente l'influenza del Carissimi - forse artisticamente più valide di quelle dei contemporanei Cesti e Stradella, il nome del C. cadde stranamente e rapidamente in oblio in Italia: quando l'editore bolognese Giacomo Monti pubblicò una sonata a tre del C. in una raccolta del 1680, non seppe altrimenti intitolarla che con l'indicazione "del sig. N. N. Romano". In Inghilterra i suoi lavori continuarono a godere di una certa popolarità anche dopo la morte di Purcell: nel 1708 il violinista Thomas Dean con il suo complesso eseguì nella Stationer's Hall a Londra "a full piece of the famous Signior Colista" (cfr. Wessely-Kropik, 1961, p. 97). In rapporti di amicizia con nobili famiglie (Colonna, Chigi, Orsini, Odescalchi), il C. ebbe molti allievi, ma di questi si conoscono solo i nomi di Gaspar Sanz e Daniel Eberlin.
Compose due oratori (senza titolo), rappresentati al SS. Crocifisso l'8 apr. 1661 e il 25 marzo 1667 (musica e testo perduti).
Rimangono manoscritti: 5 cantate: "Che tante catene", per contralto, tenore, basso, 2 violini e basso continuo (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds de musique ancienne,Vm. 18), "Dimmi quando amore indegno", per 2 soprani, tenore e basso continuo (Ibid., ibid.), "Del vasto tuo impero", per 2 soprani, 2 violini e basso continuo (Londra, British Library, The Hirsch Library III. 1116), "Europa rapita", per soprano e basso continuo (Napoli, Biblioteca del Conservatorio di musica S. Pietro a Maiella, ms. 334-14), "Questa vita è sempre in guerra", per soprano e basso continuo (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds de musique ancienne,Vm. 18); 3 arie per soprano e basso continuo: "Doletevi di voi" (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, cod. 17-758), "Ho poca fortuna" (ibid.), "A morir chi mi condanna" (Modena, Biblioteca Caffagni, ms. 1, cc. 51-56); 29 sonate da chiesa a tre (Londra, British Library, Add. Mss. 31.431, 31.436, 33.236; Münster, Bischöfliches Priesterseminar u. Santini-Sammlung, ms. 1152; Oxford, Bodleian Library, Mus. Sch. d. 256, cc. 400-403; Oxford, Library of Christ Church, ms. 1126; Torino, Biblioteca nazionale, ms. Giordano, 15; Bibl. Ap. Vaticana, Barb. lat. 4197; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds de musique ancienne,Vm. 18); 3 sonate da camera a tre (Münster, Bischöfliches Priestersem. u. Santini-Sammlung, ms. 1152; Torino, Biblioteca nazionale, mss. Giordano, 15 e 16); 5 sonate a due (Londra, British Library, Add. Mss. 31.435; Münster, Bischöfliches Priestersem. u. Santini-Sammlung, ms. 1152); 9 composizioni per chitarra (Bruxelles, Bibliothèque du Conservatoire Royal de Musique, ms. 5615; Londra, British Library, Add. Mss. 31.435); 4 sonate per organo (Bibl. Ap. Vaticana, Barb. lat. 4197, cc. 30-31, 39-42).
Pubblicò: 6 sinfonie (a quattro: per 4 liuti; a sei: chitarra, 2 liuti, 2 tiorbe e arpa; a cinque: chitarra, liuto, 2 tiorbe e arpa; a quattro: chitarra, liuto, tiorba e arpa; a tre: chitarra, liuto e tiorba; a due: liuto e tiorba), in A. Kircher, Musurgia universalis..., I, Roma 1650; una sonata a tre in Scielta delle suonate a due Violini,con il basso continuo per l'organo,raccolte da diversi eccellenti autori, Bologna, G. Monti, 1680.
L'aria "A morir chi mi condanna" e le sonate per organo non appaiono nel catalogo redatto da H. Wessely-Kropik (1961). Tre sonate a tre sono, in un volume miscellaneo del XVII secolo, presso la Music Library della University of Chicago: neanche questa collocazione appare nel libro della WesselyKropik.
Domenico Bartolomeo (Menicuccio) (Roma 24 ag. 1671 - ivi 1º giugno 1707). Figlio del C., nel 1692 era violinista presso la corte del cardinale P. Ottoboni. Nel 1695 entrò a far parte della Congregazione di S. Cecilia, in cui, nel 1707, fu guardiano degli strumentisti.
Giovanni Battista Saverio Lelio (Roma 11 ott. 1680 - ivi 1º marzo 1761). Figlio del C. e fratello di Domenico Bartolomeo, nell'anno 1702 figura come organista nella Congregazione di S. Cecilia, dove fu guardiano degli organisti nel 1729, ma, nel 1742, gli fu rifiutata la patente di maestro di cappella. Dal 1732 alla morte fu organista nella basilica di S. Maria in Trastevere. Da alcune lettere di G. Chiti del 1747 risulta che conobbe G. B. Martini (cfr. Parisini, 1888). Restano manoscritti: Litaniae ad honorem Beatae Mariae Virginis Mariae Consolationis per 4 voci e organo; Salve Regina per 4 voci e Salve Regina per contralto e organo (Roma, Archivio capitolare di S. Maria in Trastevere).
Matteo (Roma? 1700 circa - ivi 9 aprile 1772). Figlio di Giovanni Battista Saverio Lelio, fu membro della Congregazione di S. Cecilia dall'anno 1719 come organista, e nella stessa guardiano degli organisti negli anni 1733, 1743, 1744, 1753, 1754 e 1757. Dal luglio 1728 fu organista in S. Giovanni in Laterano. Nel novembre 1770 conobbe Charles Burney, durante il soggiorno romano di questo, il quale lo nominò "celebre organista di quella chiesa". Lo stesso Burney riferisce come Matteo adoperasse la pedaliera dell'organo con grande abilità e "suona il suo strumento con uno stile veramente organistico, anche se il suo gusto è piuttosto antiquato". Quindi Matteo era forse rimasto per oltre quarant'anni organista in S. Giovanni in Laterano. Di lui rimangono manoscritti: aria per soprano e basso continuo "Sogno ma te non miro" (Metastasio), presso la British Library di Londra (coll. R. M. 23.e.1); i mottetti "Benedictus qui venis" e "O sacrum convivium" (Archivio musicale di S. Giovanni in Laterano, senza coll.).
Alessio (Roma? 1713 c. - ivi 30 ag. 1735). Fratello di Matteo, nel 1733 era membro della Congregazione di S. Cecilia.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vaticana, Cappella Giulia, O. Pitoni, Notizie de contrapuntisti e de compositori di musica..., I, 2 (1), p. 483; I, 2 (2), p. 697; A. Kircher, Musurgia Universalis, I, Romae 1650, pp. 480 ss.; G. Sanz, Instrucción de música sobra la guitarra española…, I, Zaragoza 1674, p. 7; F. Parisini, Carteggio inedito delp. G. B. Martini, Bologna 1888, pp. 263 ss.; E. Celani, Canzoni musicate del sec. XVII, in Riv. music. ital., XII (1905), p. 135; H. Wessely-Kropik, Henry Purcell als Instrumentalkomponist, in Studien zur Musikwissenschaft, XXII (1955), pp. 85 ss.; A. Liess, Materialien zur römischen Musikgesch. des Seicento. Musikerlisten des Oratorio S. Marcello 1664-1725, in Acta Musicologica, XXIX (1957), pp. 143 ss., 149-156; E. Rufini, Un precursore del Purcell:L. C., celebre musicista romano del sec. XVII, in Studi romani, VII (1959), pp. 444-447; H. Wessely-Kropik, Mitteil. aus dem Archiv der Arciconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini,detta della Pietà in Roma, XXIV (1960), pp. 47, 49, 51; Id., L. C., Wien 1961; H. J. Marx, Die Musik am Hofe Pietro Kardinal Ottobonis…, in Analecta musicol., V (1968), p. 166; L. Bianchi, Carissimi... Scarlatti e l'Oratorio musicale, Roma 1969, pp. 132, 134, 219; R. Giazotto, Quattro secoli di storia dell'Acc. naz. di S. Cecilia, Milano 1970, II, pp. 416-420; C. Burney, Viaggio musicale in Italia, Torino 1979, pp. 355 s.