CAPILUPI, Lelio
Nacque a Mantova nel 1497 da Benedetto, segretario di Isabella d'Este e benemerito raccoglitore di codici che costituiranno il patrimonio della famiglia, e da Taddea dei Grotti. Era il primogenito di otto figli di cui tre, oltre il C., si distinsero variamente nel campo della letteratura e dell'erudizione: Alfonso, Camillo e Ippolito.
Al servizio dei Gonzaga, il C. fu in relazione, da Mantova e da Roma, con la figlia di Isabella d'Este, Eleonora Gonzaga duchessa d'Urbino, e con la nuora di lei Giulia Varano. Tra le lettere pubblicate del C., due datate da Roma il 2 ottobre e il 5 nov. 1546, informano la Gonzaga sulle mosse militari di Carlo V contro gli smalcaldici sugli accordi dell'imperatore col papa.
Il sentimento filospagnolo della Gonzaga ha fatto supporre nel C. una deviazione da quella che era stata la tradizionale propensione della famiglia, al servizio dei Gonzaga, verso Francesco I e gli alleati dei Francesi. Senonché le lettere di corrispondenza con la duchessa di Urbino mancano di vero e proprio giudizio politico. Attratto a Roma nella sfera di relazioni cortigiane dominate dal fratello Ippolito, il C. si limita in effetti a raccogliere notizie, che invia alla Gonzaga come indiscrezioni, dicerie affrancate da una seria partecipazione a ciò che sta narrando. Perciò forse la lettera più interessante tra quelle spedite da Roma non è una relazione su avvenimenti politici, ma la descrizione di una avventura amorosa che il mantovano indirizza a un maestro di casa della Gonzaga, l'ex frate Pietro Panfili, in data 5 nov. 1546 (lo stesso giorno in cui informava la duchessa sugli avvenimenti di portata internazionale di cui avrebbe dovuto essere il sagace interprete). Quel che colpisce nella lettera è, oltre all'abilità narrativa, la spregiudicatezza con cui egli confessa di aver usufruito di un omaggio della Varano per soddisfare gli impegni derivati dalla propria avventura, nonché il consiglio, rivolto, tramite il Panfili, alla devota protettrice, di non darsi troppo pensiero per la propria anima. ("Vi prego di nuovo a non mi accusar con la signora duchessa di Camerino per non esser cagion ch'ella patisca per me, et, seppur le lo volete dire, dite anchor a S. Eccellentia cheme son pentito et ho fatto la penitenza con la perdita di quelle due camiscie c'havea fatto lavorar per me et eran molto belle, sicché non accade che per me si disciplini. So ben che madama illustrissima dirà che son pazzo et troppo sensuale, ma se ne riderà et non vorrà disciplinarsi per me et farà bene et prudentemente, havendo io homai età per sapermi, s'io voglio, governare"). Il C. è un cortigiano che riesce ancora a trovare a Roma, travagliata dai densi avvenimenti internazionali di metà Cinquecento, lo spazio per una attività personale spregiudicata e irriverente, è una specie di Aretino in formato ridotto, che attinge da una parvenza di impegno ufficiale gli incentivi per una vita "capigliata" e indolente.
Tornato a Mantova, il C. continuerà a corrispondere col Panfili sulle operazioni della guerra in Francia e sui contrasti tra Ferrante Gonzaga e il duca d'Alba (lettera del 19 ag. 1557), sulla fortunata campagna di Filippo II a San Quintino e sulla disfatta della nobiltà francese (lettera del 24 ag. 1557), ma queste informazioni hanno valore di "avvisi" tanto privi sono di significato politico e di un'autentica partecipazione dello scrittore.
I versi di argomento politico, indirizzati a re e potenti di Europa, non evadono dai limiti di pura convenzionalità e di decorosa retorica: che costituiscono le principali caratteristiche del dettato del C. poeta, sia che ricalchi le orme del Bembo in sonetti ispirati ad una rigorosa osservanza petrarchistica, sia che tenti un puntuale recupero dai classici, come nel troppo celebre sonetto "Figlia di Giove e madre alma d'Amore", desunto dal modello lucreziano.
Il C. era particolarmente dotato per questo tipo di riproduzioni classicistiche. La propria preparazione culturale, prevalentemente latina, dovette ben presto disporlo non solo a quel tipo di esercitazione retorica per cui andò famoso in ambiente mantovano (quella che prevedeva la compilazione di veri e propri centoni da Virgilio), ma a quel lavoro di più difficile intarsio che consisteva nell'adattare particolari figure e motivi desunti dalla tradizione latina in un tessuto espressivo non contrastante al gusto petrarchistico. Si contemperavano in questa maniera due tendenze ugualmente vive nella cultura poetica del maturo Rinascimento: quella che, grosso modo, poteva risalire alla riforma del Bembo, e l'altra, alessandrinistica e tesa a un recupero parziale dei classici a fianco del Petrarca, che ebbe in Bernardo Tasso il suo più geniale interprete. Non a caso l'amicizia del C. col Tasso fu tra le più prolungate e proficue della sua vita. Studioso di Virgilio, bembiano, seguace del Tasso in un centro culturale che risentiva in maniera urgente la lezione dei classici, il C. ci appare come una personalità eclettica e priva di originalità, volta alla riproduzione di quelle forme che, rimosse da una autentica esigenza culturale, potevano nondimeno contraddistinguere una notevole carriera letteraria.
Apprezzabile fu la sua fortuna, autorizzata da un elogio dell'Ariosto (Orlando Furioso, XLV, st. 12). Le sue poesie furono raccolte e stampate, insieme con quelle di Ippolito e Camillo, nel volume Rime del Sign. Lelio e fratelli Capilupi, Mantova 1585 (più volte riprodotto). Alcune rime comprese nell'edizione mantovana erano state già accolte nella celebre antologia curata da Dionigi Atanagi: De le rime di diversi nobili poeti toscani,libro primo, Venezia 1565. I Centones ex Virgilio. Epigrammata, furono stampati a Roma nel 1590.
Lo scrittore morì a Mantova nel 1560.
Fonti e Bibl.: A. Carpino, Un poemetto contro i monaci di L. C…, Girgenti 1904; L. Collari, Le rime inedite di L. C. mantovano, Roma 1903; L. Berra, Cinque lettere inedite di L. C., in Arch. della Società romana di storia patria, LIII-LV (1930-1932), pp. 357 ss.; G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, Venezia 1647, I, p. 145; S. Bettinelli, Delle lettere e delle arti mantovane, Mantova 1753, p. 103; G. B. Intra, D'Ippolito Capilupi e del suo tempo, in Arch. stor. lomb., XX (1893), pp. 76 ss.; Id., Di Camillo Capilupi e de' suoi scritti, ibid., pp. 693 ss.; A. Carpino, I Capilupi,poeti mantovani del sec. XVI, Catania 1901; Lirici del Cinquecento, a cura di L. Baldacci, Firenze 1957, ad Indicem; Lirici del Cinquecento, a cura di D. Ponghiroli, Torino 1958, ad Indicem.