BAGLIONI, Lelio (al secolo Ottaviano)
Nacque nel 1550 quasi certamente a Firenze: "florentinus" viene in genere designato nei documenti. Non conosciamo il nome di sua madre; sappiamo invece che suo padre, Domenico di Baccio d'Agnolo, esercitava la professione di "legnajuolo architetto".
Entrato nell'Ordine dei servi di Maria il 1° febbr. 1559, il B. vi professò il 19 sett. 1569; nel 1576 fu creato maestro, dopo aver discusso per tre giorni continui conclusioni teologiche alla presenza del p. Giacomo Tavanti, generale dell'Ordine. Sempre nello stesso anno - difese "per rogo di ser Francesco Barni" le tesi prescritte alla presenza di Matteo Rinuccini, provicario generale fiorentino - fu incorporato nella università dei teologi di Firenze su parere unanime di ventidue di questi. Negli anni seguenti il B. dava alle stampe due trattati teologici.
Nel 1577 usciva in Firenze un Tractatus de praedestinatione, dedicato all'arcivescovo coadiutore di Siena Alessandro Piccolomini. Nella prefazione il B. spiegava di aver affrontato l'argomento con la massima chiarezza, facilità e brevità, in modo da poter riuscire di giovamento "etiam parum exercitatis in negotio theologico" (p. 6).
Nel 1579, sempre in Firenze, appariva il suo Tractatus de peccato originali, dedicato al cardinale Ferdinando de' Medici. Nella dedica il B. confessava di esser stato incerto se pubblicare o meno questo lavoro "cum quod de Praedestinatione edideram - egli scrive - non multis abhinc diebus non nullas passum fuisse difficultates non ignorarem". Ma, superate le opposizioni, la decisione era poi venuta immediata.
In queste due opere, che si inseriscono nella trattatistica teologica di stampo controversistico più in voga dagli inizi del '500, il B. dimostra notevole dottrina e profonda conoscenza della letteratura teologica cattolica ed assume una posizione improntata, anche se nell'ambito delle decisioni conciliari tridentine, ad una fiducia assai accentuata nelle forze dell'uomo in rapporto alla giustificazione. Con tale atteggiamento egli si discosta nettamente da quel filone, ben vivo con il Bonucci e il Mazzocchi anche nell'Ordine dei serviti, che si richiamava per questo complesso di problemi al pensiero di s. Agostino.
Per questi suoi lavori il B. si meritò dal Poccianti (Catalogus Scriptorum Florentinorum..., Florentiae 1589, p. 113) un caldo elogio. Ma non mancarono anche gli attacchi del teologo pistoiese Cosimo Filiarchi che accusò apertamente il B. di pelagianesimo nel Compendium de officio sacerdotis (1590). Si noti per altro che il B. già nel Tractatus de praedestinatione aveva polemizzato con estrema vivacità con le posizioni di chiara impronta agostiniana sostenute dal Filiarchi nella Quaestio de causa praedestinationis et reprobationis (Florentiae 1575). Una Responsio ad apologiam Cosmi Philiarchi del B. ci è conservata manoscritta nella Bibl. Naz. di Firenze (Fondo Conventi soppressi, G. V. 1315).
Dopo esser stato reggente a Siena e a Bologna, il B. venne chiamato nel 1585 a ricoprire la carica di provinciale della Provincia toscana. Il 4 giugno 1588, nel capitolo generale tenutosi a Cesena, il B. fu eletto procuratore generale dell'Ordine, succedendo a Paolo Sarpi. Il 28 marzo 1590, deceduto il generale p. G. Libranzio da Budrio, fu nominato da Sisto V vicario generale. Compiuta in tale veste la prima visita all'Ordine e constatato quanto fosse "trasandato per tutti e luoghi e poco men che del tutto disviato (il) divoto Terz'Ordine...", diede incarico al p. Arcangelo Giani (sett. 159o) di tradurre in volgare la regola già stabilita nel 1413 dal p. Stefano Mucciacchelli e approvata da Martino V. Essa apparve nel 1591, a Firenze, sotto il titolo: Regola che diede papa Martino V e confermò Innocentio VIII a' fratelli e le sorelle della Compagnia de' Servi di Santa Maria. Nel capitolo da lui convocato e tenutosi a Parma il 1° giugno 1591 il B. fu eletto generale, non senza un preciso intervento presso i padri capitolari - cosi vuole almeno il Micanzio - da parte del cardinale protettore Giulio Antonio Santori.
Nel primo triennio del suo generalato il B. iniziò e condusse a termine il restauro del convento di Montesenario, la culla dell'Ordine, e vi ristabilì ufficialmente la vita eremitica. Ma si preoccupò soprattutto di instaurare una più rigida osservanza della regola nell'Ordine. A tale scopo promulgò i Decreta pro recte sancteque Fratrum Ordinis Servorum B. M. V. Regulari vita instituenda iuxta formam sacri Concilii Tridentini, Regulae B. Patris Augustini: Constitutionum Ordinis, nec non iuxta bullam reformationis foelicis recordationis Pii PP V... (Florentiae 1593), in ottemperanza anche a quanto era stato suggerito da Clemente VIII con lettere apostoliche dell'11 dic. 1592 dopo la visita al convento di S. Marcello in Roma.
Interessanti da notare alcuni elementi ribaditi dal B. nei Decreta. Nel capitolo De horis canonicis et oratione mentali il B. statuisce: "per semihoram singulis diebus fiat tam salutaris, et necessaria exercitatio orationis mentalis". E suggerisce quindi, con insistenza, la lettura di "libri meditationum, qui a sanctis Patribus, et piis viris, et praecipue ab eximio, Doctore sui Ordinis Patre Sancto Augustino sunt conscripti".
Nel capitolo generale da lui convocato per il 28 maggio 1594 a Budrio il B. fu riconfermato nella carica per un triennio. Subito dopo la sua rielezione si riscontra una certa tensione fra lui e il cardinale protettore dell'Ordine. Ne è prova una lettera molto forte indirizzata dal B. al Santori il 1° giugno 1594 per giustificarsi delle azioni da lui compiute durante il capitolo di Lombardia (Arch. Gen. O. S. M., Negotia Religionis, vol. 174, ff. 285-287). La tensione fra i due si trasformò ben presto in ostilità.
Il cardinale protettore avrebbe voluto promuovere al generalato, una volta scaduto il nuovo triennio del B., il p. Gabriello Colissoni, e a tal fine aveva chiesto l'appoggio del Baglioni. Ma questi aveva mosso al candidato del Santori una guerra spietata, ritenendolo uomo ambizioso e disonesto. La questione, che non era rimasta circoscritta ai maggiori interessati, provocò forti reazioni in tutto l'Ordine, che si divise così in due correnti. Dalla parte del B. si schierò anche fra, Paolo Sarpi. La divisione prodottasi all'interno dell'Ordine è testimoniata negli stessi Annales O. S. M.: "... aemulationes multae inter primarios, et dissidia non parva successerant, quorum ratione Laelius Generalis Romae in magno discrimine versabatur. Neque deerant pro inhiantibus ad illum Magistratum externi favores Magnatum, et Principum...". Clemente VIII, che già prima della scadenza del triennio del B. aveva nominato A. M. Montorsoli vicario generale apostolico e a lui aveva delegato la presidenza del capitolo provinciale toscano (14 maggio 1597), interferì nei lavori del capitolo generale tenuto a Roma il 1° giugno 1597 con un breve in forza del quale il Montorsoli venne nominato generale dell'Ordine.
Il Tozzi (Libro di spogli segnato A, in Arch. Gen. O. S. M.) sotto l'anno 1598 riporta: "M.o Lelio Baglioni doppo esser stato carcerato 25 mesi torna a Firenze...". Ci sfugge il valore da attribuirsi a tale notizia. Non mancano testimonianze secondo le quali il B. nell'ultimo periodo del suo generalato avrebbe avuto da superare a Roma non lievi difficoltà. Ma è soltanto il Tozzi ad affermare che il B. si trovava "carcerato". Nessuna notizia del genere risulta dai registri del generale Montorsoli. E d'altra parte nessuna lacuna mostrano i registri di generalato del B., neppure per l'ultimo periodo. In ogni modo l'avventura del B. sarebbe da ascriversi quasi certamente al cardìnal protettore e non al Montorsoli, nei registri di generalato del quale qualche cenno della cosa avrebbe dovuto senza altro trovarsi. Forse ha qualche relazione con gli strascichi di questa vicenda una sentenza di proscioglimento del B. emessa dal cardinale Santori il 21 genn. 1600 e riportata dal Vicentini (cfr. I servi di Maria nei documenti e codici veneziani, Treviglio 1933, p. 347). Tuttavia non va dimenticato che il Montorsoli, il noto autore della Lettera spirituale,manifestò tutt'altro che simpatia per il Baglioni. Suo "capital nimico" lo chiamava il B. in una lettera senza data, scritta però certamente dopo la morte del Montorsoli (Arch. Gen. O. S. M., Negotia Religionis,vol. 614, f. 252). Ma il B. stesso aveva forse avuto il torto, da generale, di definire prodotto di "humor malinconici" la Lettera spirituale che il Montorsoli riteneva direttamente ispirata e voluta da Dio.
Al di là delle ripicche personali, l'antagonismo tra il B. e il Montorsoli celava per altro più profondi dissensi circa il modo di attuare la riforma nell'Ordine. Così infatti giudicava il Montorsoli l'opera di riforma voluta dal B. in una lettera al p. Tavanti dell'8 febbr. 1597: "havend'havuto impositione di nuova Riforma, era obbligato all'osservanza più degli altri; e con lo stamparla senz'essergli imposto, dichiarando al mondo che noi prima non l'osservavamo, e insieme mostrando voler' egli osservare; insiem'ancora ha uccellato il Papa, e fatto i suoi sudditi per i nuovi precetti, più che mai trasgressori" (B. Dominelli, Epistolario del p. Angelo M. Montorsoli (1547-1600), in Studi Stor. O. S. M.,VIII [1957-58], p. 112). Alla riforma proposta dal B. sul piano delle leggi, dei decreti, il Montorsoli preferiva ed opponeva una riforma che andasse diretta all'anima, che scaturisse da un contatto più vero e profondo con la parola e con la grazia di Dio e che informasse e riformasse quindi tutta la vita di pietà e di conseguenza tutta la vita monastica. Non è un caso che la Lettera fosse stampata proprio nel 1597.
Nel 1598 il B. fu chiamato ad insegnare metafisica allo Studio di Pisa "cum stipendio LX centussium", come ricorda il Fabroni, e a partire dal 1599 sino al 1602 lesse anche Sacra Scrittura il giovedì e nei giorni festivi.
In occasione delle controversie veneto-pontificie, su preghiera e per insistenza del cardinale Carlo de' Medici, il B. stilò una Apologia contra le considerazioni di Fra Paolo Sarpi da Venezia dell'Ordine de Servi sopra le censure della Santità di N. S. Papa Paolo Quinto. E contro il Trattato de' Sette Theologi di Venezia sopra l'Interdetto di Sua Santità, Divisa in due parti dove si tratta della Potestà, e Libertà Ecclesiastica, Perugia 1606.
Prima di entrare nel vivo dell'argomento, il B. non può far a meno di dolersi "estremamente [del Sarpi], a nome di tutta la Religione, che dell'atto da lui fatto, ne sente grandissimo cordoglio, e rammarico". Non sa immaginare "qual cosa a ciò fare l'habbia spinto" per aver conosciuto il Sarpi "in tutte le sue attioni molto riguardevole e circospetto nel parlare, e massime mordacemente". Ma si sente costretto a rilevarne "un odio intenso contro il Pontefice Romano" e "contro la sua Autorità un gran disprezzo". Nella risposta alle Considerazioni il B. non abbandona mai, pur nella confutazione, un tono moderato e garbato. Egli tende a convincere e cerca quindi di evitare con ogni mezzo una rottura. Tuttavia le tesi difese dal B. si spingono talora su posizioni veramente estreme. Per quanto concerne l'autorità pontificia, ad esempio, il B., che pur si ispira in genere ad una impostazione di tipo bellarminiano, afferma talora l'absoluta potestas papale anche in temporalibus (cfr. le proposizioni VIII, XXI, XXX). Nella seconda parte il discorso del B. si fa invece a tratti più aspro. Egli non esita a paragonare i teologi veneziani a Lutero, Calvino "e altri moderni Heretici". Essi cercano di "(fabricar) una tale libertà di conscienzia, che tende solo a non conoscere alcuno per superiore, né obedirlo in qualsivoglia modo, se non quanto loro piace; fine a punto di tutti gli Heretici moderni;..." (II, 5).
Si tratta, in ultima analisi, di un lavoro serrato, scritto di getto, nel quale il B. paga il suo tributo alla Curia romana in nome proprio e dell'Ordine. E tuttavia in esso, oltre il taglio del massimalismo curiale, comune a tutti coloro che da parte romana parteciparono alla "guerra delle scritture", sembrano trasparire qua e là, da taluni cauti, velati interrogativi, da certe ipotesi appena abbozzate e magari subito dopo lasciate in sospeso, posizioni e atteggiamenti forse più mobili e personali.
In relazione alle controversie veneto-pontificie, il B. stilò anche delle Considerazioni sopra il discorso di fra' Marcantonio Cappello sulla controversia fra N. S. e la Serenissima Repubblica di Venezia, rimaste per altro inedite (Bibl. Naz. di Firenze, Fondo Conventi soppressi, G. V. 1315).
A partire dal 1607 il B. tenne, sempre nello Studio di Pisa, la cattedra di teologia nella quale subentrò al p. Tavanti. Il Fabroni, unendo nel giudizio anche il Tavanti, scrive del B.: "Uterque Theologorum principes habebantur et erant, et divinas litteras profitendo magnum decus addixerunt Pisanae Academiae". Secondo quanto afferma il Cerracchini nei Fasti teologali (Firenze 1738, pp. 299 s.), il B. sarebbe stato più volte proposto per i vescovadi di Cortona, Colle e Fiesole, ma egli non volle mai accettare.
Uscita alle stampe a Londra nel 1617 la prima parte del De Republica Ecclesiastica del De Dominis, il B. prese a confutame le affermazioni nello Exanien haereticarum fabularum quibus libri quattuor de Republica Ecclesiastica Marci Antonii De Dominis referti sunt.
Questa opera, con la quale il B. avrebbe voluto inserirsi nella controffensiva cattolica condotta contro il De Dominis dal Beyerlinck, dal Boudot, dal Becano, dal Cidonio, dal Lloyd, è rimasta incompiuta e inedita (Bibl. Naz. di Firenze, Fondo Conventi soppressi, G. V. 1315). Essa si muove nell'ambito di posizioni chiaramente bellarminiane, ma non vi mancano buoni spunti personali di esegesi biblica, in funzione di difesa, naturalmente, delle prerogative e del potere del pontefice nella Chiesa.
Il Cerracchini (op. cit.)e poi il Mazzuchelli (GliScrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 48)attribuirono al B. anche una Defensio Catholicae Fidei de Primatu Petri adversus Haereticas fabulas Marci Antonii De Dominis in decem libris de Republica Christiana concinnatos che, secondo il Mazzuchelli, si trovava, manoscritta e in francese, "nella Libreria della SS. Nunciata de' Padri Serviti". Ma assai probabilmente, se il titolo riportato è esatto, avrebbe dovuto o dovrebbe trattarsi di una continuazione dell'opera già intrapresa dal B. da parte di un altro o altri serviti, in quanto prima della morte del B. erano apparsi solo i primi quattro libri del De Republica Ecclesiastica. Stando al Mazzuchelli, il B. avrebbe scritto anche un Tractatus contra nefarios sui temporis Novatores. Ma tale indicazione, per la quale il Mazzuchelli rinvia agli Apparatus Sacri del Possevino, si dimostra infondata. Il Possevino cita infatti del B. (sotto "Lilius Baleonius") unicamente il De libero arbitrio (cfr. II, Venetiis 1606, p. 345). La notizia del Mazzuchelli deriva forse dall'Istoria degli scrittori fiorentini (Ferrara 1722, p. 348) del Negri in cui si dice a proposito del B.: "Edidit etiam Plura, contra nefarios sui temporis Novatores...".
Il B. morì in Pisa il 31 marzo 1620.
Sotto il suo ritratto nel vestibolo della biblioteca della SS. Annunziata fu scritto, con chiaro riferimento alla sua attività letteraria: "Ecclesiae libertates scriptis acerrime vendicavit". In questa luce va forse collocata e in gran parte spiegata la figura del B., che trova il suo posto più congeniale e non secondario fra i rappresentanti della Controriforma.
Per un giudizio complessivo della sua personalità non va dimenticato per altro quanto, molto generosamente, il Micanzio ha scritto di lui nella Vita del Sarpi: "uomo veramente di gran vivacità, ardito, dotto, e anco di vita incolpata".
Fonti e Bibl.: Nessun lavoro specifico è stato dedicato allo studio della personalità e del pensiero del B.; per le fonti e i riferim. bibliogr., oltre quanto è stato citato, son da ricordare: Annalium Sacri Ordinis Fratrum Servorum B. Mariae Virginis,II, Lucae 1721, pp. 282, 287, 290, 297-301, 480, 481, 514, 519, 554; Monumenta Ordinis Servorum Sanctae Mariae a PP. Augustino Morini et Peregrino Soulier edita, VI, Bruxelles 1903-1904, p. 162; VII, ibid. 1905, p. 120; VIII, ibid. 1906, pp. 21-88; XII, ibid. 1911, pp. 98, 165, 166; Cronotaxis priorum provincialium O. S. provinciae Tusciae, s. l. n. d., p. 13; F. Micanzio, Vita del p. Fra Paolo Sarpi, in Opere di F. Paolo Sarpi, VIHelmstat [ma Verona] 1765, pp. 29 ss.; A. Fabroni Historia Academiae Pisanae, II, Pisis 1792, pp. 115-117, 125; G. Galilei, Opere, ediz. naz., XII, p. 52; A. Rossi, Manuale di storia dell'Ordine dei Servi di Maria (1233-1954), Roma 1956, pp. 99 s., 328, 650.