LEISHMANIOSI (dal nome di Sir William B. Leishman)
Gruppo di malattie protozoarie determinate da parassiti del genere Leishmania (appartenente alla famiglia dei Tripanosomidi e alla sottofamiglia degli Erpetomonadi), in cui la membrana ondulante e rudimentale o assente e il cinetonucleo è situato fra il trofonucleo e il flagello. Le Leishmanie vivono principalmente nelle cellule endoteliali, ma anche nei leucociti e nel sangue circolante degli animali; sono rappresentate da piccole masse citoplasmiche ovali, che nelle colture si sviluppano in corpi flagelliferi, come in natura avviene anche nell'insetto ospite definitivo. Tre specie o varietà parassitano l'uomo, le quali morfologicamente non sono gran fatto differenziate, ma producono le seguenti tre diverse malattie:
1. Leishmaniosi interna o viscerale o kala-azar. - Confusa prima con la malaria cronica più grave, verso il 1870 fu riconosciuta come entità morbosa sui generis, endemo-epidemica in qualche distretto dell'India, dove il nome indigeno kala-azar significa febbre nera.
Nel 1903, separatamente, il medico militare W. B. Leishman e C. Donovan ne scoprirono l'agente infettivo, denominato perciò Leishmania donovani. Già in Italia T. Cigliano, indipendentemente, aveva scoperto una simile malattia e un primo focolaio endemico fra i bimbi di Forio d'Ischia; ma il suo studio (eseguito dal 1866 al 1876 su 40 casi descritti come leucemia lienale), comparso in un giornale di medicina omeopatica, era passato inosservato. In seguito altri clinici e pediatri napoletani (A. Cardarelli, L. Somma, F. Fede, T. Guida) differenziarono tale entità clinica col nome di pseudoleucemia splenica infantile febbrile. In ricerche anatomo-patologiche G. Pianese fin dal 1892 trovò che certe cellule della milza, del fegato, del midollo osseo erano ripiene di corpicciuoli tingibili con i colori basici e rappresentanti uno speciale microrganismo, da lui stesso riconosciuto poi nel 1895 di natura protozoaria e identico alla Leishmania donovani. U. Gabbi e i suoi allievi riscontrarono successivamente focolai della malattia in una ventina di provincie italiane; analoghe constatazioni vennero fatte in Spagna, Portogallo, Grecia, Russia meridionale, Africa settentrionale, Levante, Estremo Oriente, Argentina, ecc. Sperimentalmente animali ricettivi per la Leishmania donovani risultarono il cane, lo sciacallo, i ratti, le scimmie, le cavie; esiste anche una diversa leishmaniosi canina. Le indagini cliniche e di laboratorio di U. Gabbi e della sua scuola dimostrarono infondata la distinzione fra il kala-azar indiano e il kala-azar mediterraneo, fra la Leishmania donovani e la presunta Leishmania infantum, sostenuta da Ch. Nicolle e altri. Prevale qua e là il morbo nell'infanzia, ma molti casi di adulti furono anche notificati. La trasmissione all'uomo è data da qualche specie di Phlebotomus (Phl. argentipes e altri) e parrebbe che serbatoio del virus siano i Gekidi, come il Platydactilus muralis (tarantola del volgo). All'habitat di queste specie zoologiche sarebbero quindi limitate le zone di endemicità.
L'incubazione varia fra 10 giorni e qualche mese, e la malattia ben di rado ha decorso acuto e breve durata (35-45 giorni); per solito ha inizio subdolo e tendenza alla cronicità, potendo prolungarsi da cinque a sei mesi fino a tre anni e più. Eccezionali le guarigioni spontanee, solo con l'attuale cura specifica la mortalità poté essere abbassata al 10%.
Nella sintomatologia predomina il trinomio febbre, splenomegalia e anemia. Altri segni più o meno costanti e accentuati, precoci e tardivi, sono: deperimento, pallore particolare cupo, diverso da quello terreo dei malarici e giallo cereo degli anchilostomiasici (melanodermia nella gente di colore), addome protuberante e asimmetrico, tachicardia e talora aritmia, ipotensione arteriosa, edemi più o meno diffusi e transitorî, disturbi gastroenterici, apatia.
Clinicamente si distinguono tre fasi o periodi della malattia: il primo è dominato da un moderato tipo febbrile, senza brividi iniziali, irregolare, intermittente o continuo-remittente, a due o tre fastigi quotidiani; nel secondo spicca l'anemia splenomegalica con febbre più intensa e persistente, dopo brevi soste o intervalli apiretici; nel terzo l'astenia e il deperimento progressivo e profondo, accompagnati da emorragie naso-boccali e sottocutanee, portano alla cachessia e sue complicanze fatali, specie delle vie respiratorie e più ancora delle vie digerenti (noma, stomatite, tonsillite, faringite ulcerosa, diarrea e dissenteria sanguinolenta).
Il sangue all'esame microscopico già nel primo periodo presenta diminuzione dei corpuscoli rossi e bianchi e dell'emoglobina; nel secondo tali condizioni s'accentuano sempre più fino a un residuo di due milioni di eritrociti per mmc. e a 2000-1500 leucociti, però con aumento dei mononucleari.
All'autopsia, con il corpo emaciato e la muscolatura atrofica, contrasta la milza molto ingrossata, talora enorme, fino a raggiungere il peso di kg. 2½ nell'adulto e oltre 600 gr. nei bambini, occupando spesso l'addome sinistro oltre l'ombellico e talora fino al bacino; essa è molle, congesta nei casi acuti, dura, di color rosso cupo nei cronici. Il fegato quasi sempre è anche ingrossato, ma non eccessivamente; i margini non alterati; al taglio il colorito è giallo rossastro o di noce moscata. Il midollo osseo non è più giallo, ma rosso, rammollito, diffluente. All'esame microscopico si riscontra diffusa invasione parassitaria nell'endotelio dei capillari sanguigni linfatici, fino a formare cumuli di 200 e più leishmanie in una cellula. Gli organi più invasi sono, in ordine decrescente: la milza, il midollo osseo, il fegato, le ghiandole linfatiche; in minor grado il pancreas, i reni, i surreni, i testicoli, i polmoni.
Di fronte ad altre malattie febbrili che possono pure dare notevole splenomegalia (malaria, malattia di Banti, lue ereditaria, ecc.) la diagnosi è assicurata dal reperto positivo delle leishmanie. Per la ricerca microscopica si colorano col metodo di Giemsa e di Leishman gli strisci preparati con succo estratto mercé puntura della milza, del fegato, o meglio ancora del midollo osseo (alla testa della tibia); nel sangue periferico il reperto è di rado positivo.
Per orientarsi nella diagnosi clinica bisogna ricordare che la leishmaniosi infantile è un po' diversa nella sua sindrome da quella degli adulti. Il color cereo della cute, il tipo febbrile continuo remittente, i disturbi gastrointestinali e bronchiali, le emorragie cutanee e delle mucose, la necrosi delle gengive sono in certo modo proprie dei bambini. L'anemia globulare è per solito poco accentuata negli adulti, la milza non è mai tanto voluminosa, la febbre è piuttosto intermittente, gli altri sintomi o sono assai meno rilevanti o mancano addirittura; il reperto parassitario nella milza è talora poco abbondante. Con le cure la regressione della splenomegalia è meno rapida.
Come e più che in altre malattie protozoarie, l'antimonio è da considerarsi uno specifico. A. Castellani (1913) adoperò per il primo in un caso a Ceylon il tartaro stibiato (tartrato di potassio e antimonio) per iniezioni endovenose. Indipendentemente lo adottarono anche G. Cristina e G. Caronia (1914), che ne fissarono la dose proporzionata all'età e le modalità dell'applicazione; meglio tollerato è il tartrato di sodio e antimonio. Più comodi, essendo amministrabili anche per via intramuscolare, sono lo stibenil, lo stibosan, lo stibional Zambeletti e altri simili preparati organici di antimonio che si trovano in commercio. In qualche caso di milza dura, sclerosata, irriconoscibile, si rende necessaria la splenectomia (P. Timpano).
2. Leishmaniosi cutanea o bottone orientale (sinonimi: bottone di Aleppo, di Baghdād, di Delhi, di Biskra, ulcera del Bauru [Brasile], Pian bois [Guinea], ecc.). - È una malattia ulcerosa specifica inoculabile da uomo ad uomo, prodotta da un'altra specie di leishmania, la L. tropica.
Fu segnalata la prima volta in Aleppo da W. Russel nel 1756. È endemica in molte regioni tropicali e pretropicali, dall'Asia all'America Meridionale. S'estende però anche in Europa (Crimea, Isole Egee, Creta, Grecia); casi autoctoni in Sicilia e Calabria furono segnalati da U. Gabbi, I. Lacava e altri. La diagnosi parassitaria deve essere fatta precocemente, esaminando con la solita tecnica microscopica l'essudato e il materiale, prelevato mediante raschiamento del tessuto al margine della lesione.
La Leishmania tropica è stata scoperta da A. E. Wright (1903) in una Armena emigrata nell'America Settentrionale. La scoperta fu subito confermata da parecchi investigatori, fra cui A. Carini, A. Splendore, U. Gabbi. La L. tropica, quale s'osserva nell'uomo, è assai simile alla L. donovani; è, come questa, coltivabile nel terreno N. N. N. (terreno Novy, Mac Neal, Nicolle), dove però si sviluppa più rapidamente, e presenta alcune differenze nelle forme flagellate che appaiono più grosse e lunghe, con flagello pure più lungo e ondulato; inoltre, a differenza dell'altra, tollera la contaminazione microbica della coltura. L'insetto propagatore è probabilmente, come per le altre leishmaniosi, qualche specie di Phlebotomus: E. Sergent incrimina il Phl. minutus. La malattia è trasmissibile anche alla scimmia e al cane.
Dopo un'incubazione assai variabile (giorni, settimane, mesi), in cui si possono osservare fenomeni febbrili, appare una macchia pruriginosa in una parte scoperta della pelle; ne segue una papula, quindi un nodulo, che dopo 3-4 mesi si ulcera; l'ulcerazione è poco o punto dolorosa e si copre di una crosta. La guarigione spontanea avviene in media entro 6-12 mesi (ma può anche farsi aspettare per anni); residua immunità e una cicatrice biancastra o rossastra, depressa e deturpante. Talora i bottoni possono essere due o tre e anche più nello stesso paziente. Furono descritte alcune varietà cliniche (forma verrucosa, papillomatosa, framboesiforme, cheloidiforme, piana, pisiforme).
La struttura del bottone è essenzialmente quella di un granuloma (v.) con intensa e diffusa infiltrazione cellulare, i cui elementi constano di plasmacellule, cellule linfoidi di varia specie, nonché di grosse cellule d'origine endoteliale con nucleo spostato e citoplasma infarcito di parassiti; nella varietà pisiforme J. Thomson e A. Balfour hanno rilevato la presenza dei cosiddetti noduli di Leishman, che sono dei veri nidi cellulari, in cui le cellule, appiattite, stipate e accavallate a embrice, racchiudono un corpo ovale pigmentato con dimensioni di 18-28 micron.
Nella cura oggidì sono abbandonati i caustici e i parassiticidi per uso locale; chemioterapia veramente specifica è quella antimoniale; preconizzata da C. Vianna per via endovenosa; però anche localmente una pomata all'1% si dimostra abbastanza efficace. Se l'ulcerazione è unica e precoce, la cura può limitarsi all'applicazione di solfato di berberina o di neve carbonica.
3. Leishmaniosi mucocutanea (sinonimi: malattia di Breda; Buba [Brasile], Espundia [Perù]), Uta, ecc.). - È un'affezione ulcero-granulomatosa con manifestazioni a carico della cute e delle mucose visibili, specialmente del naso e della bocca, prodotta dalla Leishmania brasiliensis (C. Vianna, 1911).
La malattia, assai comune in Brasile negli stati di S. Paulo e Matto Grosso, è diffusa in tutta l'America meridionale, dall'Argentina alla Colombia, e casi ne furono segnalati anche nel Panamá e nel Messico. Osservazioni incerte ne hanno fatte I. Lacava e G. Pulvirenti in Sicilia. A. Breda, di Padova, fu il primo a studiarla magistra nente, differenziandola dalla sifilide, ecc., negli emigranti reduci dal Brasile (1895-1914); A. Castellani la segnalò a Ceylon e A. J. Chalmers nel Sudan Egiziano.
L'infezione è presumibilmente trasmessa da qualche insetto, che lo attinge da altro animale ignoto; può però essere propagata anche col contatto diretto da persona a persona attraverso piccole lesioni.
La durata dell'incubazione è sconosciuta. La malattia incomincia con un nodulo sulla pelle in luogo scoperto, che presto diventa un'ulcera, generalmente atonica, indolente o quasi, granuleggiante, la quale si copre di una crosta spessa e finisce per cicatrizzarsi dopo mesi o 1-2 anni. Prima che si chiuda o anche dopo, appaiono le caratteristiche lesioni alla bocca e al naso, con o senza altre manifestazioni cutanee simili alla primitiva. La localizzazione, in forma di erosioni e di vegetazioni ulcero-granulomatose, può invadere le labbra, le gengive, il palato osseo e molle; nel naso tale invasione può perforare il setto e distruggere le cartilagini, causando deformazione. Anche la faringe e la laringe possono essere interessate, risultando afonia, difficoltà di deglutizione, oltre ad alito fetido. Gli arti, specie le gambe, possono anche essere colpiti. Senza cura specifica, gl'infermi, magari dopo lunghi anni, soccombono per malattie intercorrenti o per cachessia.
Per la diagnosi, il lungo decorso e le localizzazioni mucose fanno distinguere questa forma dalla leishmaniosi cutanea. Dalla blastomicosi si differenzia, perché in questa le vegetazioni sono dure e papillomatose e vi si trovano forme miceliari anziché leishmanie; dalla sifilide, perché questa presenta l'adenopatia generale e la roseola ed è curabile col mercurio e il salvarsan. Si differenzia dalla framboesia per l'assenza di fenomeni generali all'inizio e della copiosa e rapida eruzione su tutto il corpo e per non esser curabile con gli arsenobenzoli; dalla tubercolosi per la diversità delle lesioni macro- e microscopiche. Ogni dubbio del resto è tolto dal reperto microscopico delle leishmanie, su strisci del succo ottenuto con raschiamento dei granulomi.
La terapia è quella specifica antimoniale per via endovenosa, per primo usata da C. Vianna in questa forma; ma, nella leishmaniosi esterna e massime nella mucocutanea, l'antimonio, pur dimostrandosi certamente specifico, non possiede la costanza e rapidità d'azione quale si constata nella leishmaniosi interna. Allora si possono provare altri preparati e soprattutto l'olio fosforato, come consiglia A. Castellani, per iniezioni nel tessuto circostante e per imbibizione delle lesioni; per lo meno ha virtù non inferiori a quelle delle applicazioni locali di tartaro stibiato.
Patologia veterinaria. - La leishmaniosi è una malattia parassitaria del cane, a decorso generalmente cronico, caratterizzata da anemia grave, da tumefazione splenica ed epatica, da turbe enteriche, da emaciazione, paresi e morte. Ne è causa la L. canis, che si ritiene identica alla L. donovani, causa della splenomegalia infantile e del kala-azar. La leishmaniosi canina è diffusa nel bacino del Mediterraneo (Italia centrale e meridionale, Spagna, Grecia, Algeria, come anche in Cirenaica, secondo le ricerche di G. Finzi), dove esiste la leishmaniosi infantile. Diverse osservazioni epidemiologiche sembrerebbero provare che il cane possa trasmettere la malattia all'uomo. E quantunque l'indice d'infestazione leishmanica nei cani nei diversi paesi a kala-azar non corrisponda a quello della morbilità umana, tuttavia nelle Indie, dove la leishmaniosi canina non è reperibile, si ammette che esistano portatori sani che funzionerebbero da serbatoi di virus. Nulla si sa di positivo sui veicoli di trasmissione nella specie canina o fra cane e uomo. Diversi insetti ematofagi sono stati incolpati e fra questi le pulci del cane, le comuni cimici, i flebotomi, ecc. La malattia evolve con una sindrome analoga a quella del kala-azar infantile. I parassiti si riscontrano specialmente nel midollo osseo, fegato, milza e anche nel sangue periferico secondo l'osservazione di G. Finzi. Come nell'uomo, l'infestazione è beneficamente influenzata dalla cura antimoniale. La malattia è stata riscontrata anche nel gatto.
Bibl.: T. Cigliano, Leucemia lienale infantile, in Rivista omeopatica, Roma 1876; G. Pianese, in Gazz. internaz. delle cliniche, 1892 e in Giorn. internaz. delle scienze mediche, 1894-95; A. Breda, Prima memoria sul Bouba, in Giorn. it. mal. veneree e della pelle, 1895; W. B. Leishman e C. Donovan, Articoli in British Med. Journ., 1903-04; A. Breda, La Bouba del Brasile, in Ann. di med. navale e coloniale, 1907; A. Castellani e A. Chalmers, Manual of tropical Medicine, Londra 1910; 4ª ediz., 1927; U. N. Brahmachari, Kala-azar, in Mense's Handbuch der Tropen Krankheiten, IV (1926); G. Caronia, Terapia della leishmaniosi, Relaz. al I° Congr. della Soc. ital. di patologia ed igiene coloniale 1928 (ediz. Rinnovam. Medico), Napoli 1928; G. Pianese, Anemia splenica infettiva dell'infanzia e kala-azar indiano. Storia delle conoscenze, in Rinascenza medica, nn. 18-19, 1930.