LEGNANI, Stefano Maria, detto il Legnanino
Nacque a Milano il 6 apr. 1661, primogenito di Giovanni Ambrogio, pittore, e di Isabella Bussola, e fu battezzato nel duomo il 16 dello stesso mese (Caprara, 1980, p. 94).
Nel 1663 la famiglia si trasferì a Saronno, dove risultano battezzati tre fratelli del L.; il soggiorno nella provincia dovette essere di breve durata, poiché già nel 1672 è documentata la presenza del padre a Milano, nella parrocchia di S. Maria Beltrade.
Non si sa molto della formazione giovanile del L., ma i suoi primi studi possono essere ricondotti all'interno della famiglia stessa visto che sia il padre che il nonno, Tommaso, praticavano la pittura ed erano artisti, se non di chiara fama, certamente affermati e benestanti. Rimane tuttora aperta, comunque, l'ipotesi già avanzata da P.A. Orlandi del possibile apprendistato del L. presso Carlo Cignani a Bologna, durato circa tre anni, dal 1683 al 1686, e nella bottega di Carlo Maratta a Roma.
Per entrambi i viaggi mancano tuttavia prove documentarie che attestino i legami fra il L. e i suoi presunti maestri, e dunque ogni congettura al riguardo si fonda o sulla base delle affinità formali e stilistiche oppure si avvale delle notizie desunte dalla letteratura artistica posteriore. A proposito del soggiorno bolognese non sembrano invero sussistere dubbi da parte degli studiosi, poiché effettivamente i modi del L. - il quale non si sarebbe mai allontanato dalla tradizione emiliana e soprattutto correggesca, stemperandola nella grazia propria del nascente gusto rococò - mostrano alcune innegabili affinità stilistiche con la pittura di Cignani, e inoltre, nelle biografie del pittore bolognese il L. è più volte citato proprio in qualità di allievo (Dell'Omo, 1998, p. 3).
Più controversa invece è la posizione assunta dalla critica in merito alla questione del discepolato del L. presso Maratta. Nel catalogue raisonné dedicato al pittore da M. Dell'Omo prevale infatti il parere che tende a negare la possibilità di un contatto diretto fra i due artisti; fra gli argomenti in favore di questa tesi stanno sia l'assenza del nome del L. tra i membri dell'Accademia romana di S. Luca sia la visione critica di Lanzi, che aveva rilevato l'evidente indifferenza del pittore allo stile romano e specificamente proprio a quello marattesco. Appare però discutibile che nelle schede dedicate ai primi dipinti dell'artista la stessa autrice (pp. 155, 157) rilevi più volte la dipendenza delle opere in questione da motivi propri della pittura di Maratta, sconfessando in tal modo le affermazioni presenti nell'introduzione. Da questo punto di vista risulta difficile anche giustificare la presenza, proprio a Roma, della prima opera documentata del L., raffigurante una Sacra Famiglia, che si trova oggi all'interno della chiesa di S. Francesco a Ripa, per la quale era stata commissionata. Il dipinto in questione è infatti menzionato da Titi (p. 40), che lo aveva visto già in loco nel 1686; e tale riferimento costituisce un indiscutibile termine ante quem utile per la sua datazione, ricondotta perciò verosimilmente al 1685. Troppo debole, sebbene non implausibile, il tentativo di spiegare questa presenza romana con la possibilità di una commissione a distanza, con la conseguente spedizione dell'opera da Milano a Roma (Dell'Omo, 1998, p. 3). È doveroso dunque forse lasciare in sospeso la possibilità di un soggiorno romano del L., almeno fino al momento in cui non si potrà disporre di prove, pro o contro, di maggior evidenza e spessore.
Fu molto probabilmente grazie alla presenza dello zio paterno, il quale nel frattempo aveva assunto la carica di vicario rettore del santuario di S. Maria al Monte di Varese, che il L. ricevette la commissione per un affresco con un Ecce Homo da eseguire all'esterno della parete della nona cappella del Sacro Monte. L'opera è oggi purtroppo deteriorata e mal leggibile, ma si sa con certezza dai documenti che fu eseguita tra l'aprile e l'ottobre del 1686 e di conseguenza costituisce la più antica testimonianza dell'attività, in seguito invero assai feconda, di frescante dell'artista.
Tuttavia, la prima impresa decorativa veramente importante del L. fu di poco successiva: nel 1687 ebbe l'incarico, forse ancora in virtù di legami familiari, di affrescare sull'arco trionfale della chiesa di S. Angelo ai Frati minori una Incoronazione della Vergine, opera che diede modo all'artista di far conoscere e apprezzare le sue doti a Milano. Fin da questi primi saggi sono evidenti, seppure ancora declinate con una certa rigidità, le caratteristiche compositive e stilistiche che contraddistinguono la pittura ad affresco del L.: grandi scenografie illusionistiche di evidente derivazione correggesca, figure dal modellato morbido, rese con colori dall'impasto chiaro. Sono tutti elementi ancora più evidenti negli affreschi di Novara per la basilica di S. Gaudenzio, dove il L. lavorò in due riprese: nel 1691, alla decorazione della cappella dello scurolo con la Gloria del santo, probabilmente in collaborazione con il quadraturista Federico Bizzozzero; e nel 1694, all'interno della cappella dedicata alla Madonna di Loreto, dove realizzò dipinti di soggetti vari, tra cui paesaggi, figure allegoriche, la Carità, Angeli e ancora il santo titolare. Non è ben chiaro attraverso quali vie al L. pervenne l'importante incarico e quindi quali furono i suoi tramiti con la città di Novara, ma è certo che proprio grazie a questa impresa si aprirono le porte che gli consentirono di giungere pochi anni dopo alla corte sabauda.
Tra il 1691 e il 1695 l'attività del L. si fece più intensa e risulta difficile cercare di seguirne gli sviluppi secondo un andamento strettamente cronologico, perché gli furono contemporaneamente affidate commissioni diverse che lo videro impegnato su più fronti: presso il santuario della Madonna dei Miracoli a Saronno nel 1691, nel duomo di Monza tra il 1690 e il 1693, nella chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Uboldo (presso Varese) ancora nel 1691, per limitarsi soltanto ad alcuni esempi. Sempre in questo torno di anni il L. eseguì gli affreschi per la Congregazione francescana del Sacro Monte di Orta, commissione che lo occupò sicuramente dal 1693, anno in cui risultano i primi pagamenti, al 1698, quando ancora non si era giunti alla fine dei lavori.
La decorazione di Orta segna un punto importante nel percorso stilistico del L. che qui, grazie anche alle possibilità fornite dalla stessa struttura visiva del genere del Sacro Monte, si svincola dalla più consueta ripartizione in riquadri per aprirsi verso una composizione dove impianto architettonico e figure si fondono su uno stesso piano, secondo la visione caratteristica dell'affresco barocco.
In quegli anni il pittore godeva ormai di un'affermata notorietà: ne è prova l'Autoritratto che il L. firmò e datò 1692. L'opera, conservata tuttora presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, era destinata ad arricchire la celebre collezione di autoritratti cominciata dal cardinale Leopoldo de' Medici e proseguita dal nipote Cosimo III. Le continue commissioni, pubbliche e private, testimoniano ulteriormente il buon livello di abilità tecnico-stilistica raggiunto. Ciò nonostante, non si può tuttavia ancora parlare di una vera maturità del suo linguaggio pittorico, che piuttosto può dirsi compiuta nel momento in cui il L. iniziò a frequentare l'ambiente artistico torinese.
Nel giugno del 1694 il L. si recò nella capitale sabauda per eseguire la decorazione della volta di una cappella all'interno del collegio dei gesuiti, il cui giuspatronato era di pertinenza della Congregazione dei banchieri e dei mercanti.
Qui il L. cominciò a lavorare avvalendosi dell'aiuto del fratello Tommaso e dei quadraturisti Giovanni Battista e Gerolamo Grandi, così come risulta dai saldi di pagamento che continuano a registrare versamenti fino al 1695 (Brunelli Biraghi, p. 39). Nonostante in questa prima impresa torinese i modi del L. non risentano ancora dell'influenza dei pittori genovesi operanti presso la corte sabauda (quali per esempio Domenico Piola, Bartolomeo Guidobono e soprattutto Gregorio De Ferrari), pur tuttavia evidenziano chiaramente le comuni matrici correggesche, motivo che senz'altro gli permise di conquistare il favore della nobiltà torinese.
Sempre nel 1694 - anno che segna la vita non solo artistica ma anche privata del pittore, il quale il 30 ottobre sposò la saronnese Caterina Sanpietro, da cui ebbe tre figlie (Caprara, 1980, p. 95) - il conte Ottavio Provana di Druent incaricò il L. di dipingere una serie di affreschi celebrativi all'interno della propria residenza, oggi palazzo Falletti Barolo. Quel lavoro divenne una sorta di biglietto da visita per il L. che, nel 1695, si vide assegnare una commissione estremamente prestigiosa: la decorazione ad affresco del nuovo palazzo, progettato da Guarino Guarini, del principe di Carignano, Emanuele Filiberto Amedeo di Savoia.
Per la realizzazione di quest'opera, che lo avrebbe impegnato complessivamente per otto anni, dal 1695 fino al 1703, con un'unica breve interruzione a causa della guerra con i Francesi tra maggio e settembre del 1696 (Schede Vesme), il L. tornò nuovamente a giovarsi della collaborazione del fratello Tommaso, della manodopera dei fratelli Grandi e della partecipazione dei due stuccatori Pietro Somasso e Pietro Antonio Garoe, oltre probabilmente a un numero cospicuo di collaboratori più direttamente afferenti alla sua bottega.
Poiché all'interno il palazzo ha subito numerose trasformazioni, non è possibile ricostruire integralmente e precisamente l'intervento del L., che probabilmente riguardò la decorazione di dodici stanze, come è ricordato dalle fonti più antiche (Nepote; Bartoli). Gli ambienti tuttora visibili si limitano ad alcune sale dell'appartamento al piano terra verso nord, oggi occupato dalla soprintendenza ai Beni artistici e storici del Piemonte, e parte del primo piano nobile, ora sede del Museo del Risorgimento. Non si conosce l'ideatore del programma iconografico che comunque prevedeva, come di consueto, la diretta celebrazione del mecenate attraverso la rappresentazione di avvenimenti tratti dalla storia e dal mito. Sulle lunette della stanza detta "prima anticamera", al pianterreno, si vedono narrate infatti le vicende di Scipione l'Africano, con le quali si volevano esaltare le doti non solo militari ma anche morali del principe sabaudo; le vicende continuano nella "camera grande da letto", per culminare nella volta della stessa sala, dove trova spazio Scipione accolto nell'Olimpo.
Nonostante l'impresa di palazzo Carignano possa sicuramente definirsi il lavoro di maggior prestigio del L., non bisogna comunque dimenticare le varie altre commissioni, spesso portate avanti contemporaneamente, con una capacità che certo stupisce in ragione della quantità e qualità delle opere realizzate. Infatti, alla numerosissima produzione di dipinti di destinazione sia pubblica sia privata - fra i quali si possono ricordare, sia pure come limitatissimo campione, l'Estasi di s. Filippo Neri (Chieri, chiesa di S. Filippo), La morte di s. Francesco Saverio (Tramezzo, chiesa di S. Lorenzo), lo Sposalizio mistico di s. Caterina (Milano, Pinacoteca di Brera) - il L. continuò ad affiancare la pratica dell'affresco. Tra il 1698 e il 1699 fu nella chiesa dell'Incoronata di Lodi a dipingere nell'emiciclo del presbiterio l'Incoronazione di Ester. L'iconografia rientra nei canoni della tradizione figurativa, a parte l'interessante inserimento di due palchetti laterali dai quali si affacciano alcuni personaggi, spettatori dell'evento che si svolge al centro della parete. La soluzione è chiaramente debitrice della formula sperimentata da Gian Lorenzo Bernini all'interno della cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria a Roma, e sarebbe stata ripresa verso il 1710-12 dallo stesso L. per la chiesa genovese di S. Filippo Neri. Qui, all'interno delle preziose riquadrature realizzate da Antonio Haffner, raffigurò sulla cupola absidale l'Apparizione della Vergine al santo, mentre sulle pareti laterali del presbiterio compare nuovamente l'espediente figurativo dei due palchi affrontati, realizzati per poter rappresentare due glorie dell'Ordine, il Cardinale F.M. Tarugi e il Cardinale C. Baronio, che di lì osservano la scena della sacra apparizione rappresentata sulla volta.
Il 13 febbr. 1703 il L. aveva acquistato a Milano una dimora nobiliare presso la parrocchia di S. Stefano in Borgogna, pagandola ben 12.600 lire (Caprara, 1980, p. 96). Nonostante i ripetuti spostamenti, il legame con la città natale non venne dunque mai reciso, ma ne riuscì rafforzato: già nel 1695 il pittore era entrato a far parte della locale Accademia di S. Luca, per poi diventarne direttore nel 1698, e a Milano si conta il maggior numero delle sue opere.
Come documenta l'atto di morte, conservato nei registri della parrocchia di S. Stefano in Borgogna (ibid., p. 97), il L. morì a Milano il 4 maggio 1713 all'età di cinquantadue anni per cause sconosciute e presumibilmente all'improvviso, senza aver avuto il tempo di lasciare un testamento: il prezioso inventario dei suoi beni, pubblicato integralmente in Dell'Omo (1998, pp. 259-266), fu fatto redigere dalle figlie.
Fonti e Bibl.: F. Titi, Ammaestramento utile e curioso di pitturascoltura et architettura nelle chiese di Roma, Roma 1686, pp. 39 s.; L.A. Cotta, Museo novarese. IV. Stanza e giunte manoscritte (ante 1719), a cura di M. Dell'Omo, Torino 1994, p. 113; P.A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1719, p. 399; I. Nepote, Il pregiudizio smascherato da un pittore, Venezia 1770, p. 16; F.S. Bartoli, Notizia delle pitture sculture ed architetture che ornano le chiese, e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d'Italia, II, Venezia 1776, p. 36; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 342; A.M. Romanini, La pittura milanese del XVIII secolo, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 723-727; M. Bernardi, Tre palazzi a Torino, Torino 1963, pp. 38, 48, 50, 54, 60, 62, 64, 66; Schede Vesme. L'arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, II, Torino 1966, pp. 623 s.; L. Samarati - F. Vanelli, L'incoronazione di Ester del Legnanino nell'abside dell'Incoronata, in Arch. stor. lodigiano, s. 2, XV (1967), 2, pp. 51-58; A. Lange, Disegni e documenti di Guarino Guarini, in Guarino Guarini e l'internazionalità del barocco. Atti del Convegno… 1968, Torino 1970, I, pp. 193-200; S. Meloni Trkulja, in Gli Uffizi, a cura di L. Berti, Firenze 1979, p. 914; V. Caprara, Nuovi documenti su S.M. L., il Legnanino, in Paragone, XXXI (1980), 363, pp. 94-104; M. Dell'Omo Rossini, Affreschi di S.M. L. nella basilica di S. Gaudenzio a Novara, in Piemonte: realtà e problemi della regione, XIV (1983), 6, pp. 32 s.; M. Dell'Omo, Il Legnanino alla cappella di San Giuseppe, Novara 1985; G. Brunelli Biraghi, Itinerario di una avventura decorativa, in La cappella dei mercanti. Storia e immagini per una ricca Congregazione, a cura di R. Antonetto - C.E. Bertana, Torino 1986, pp. 38-49; M. Bona Castellotti, La metropoli crocevia di illustri pittori, in L'Europa riconosciuta. Anche Milano accende i suoi lumi (1706-1796), Milano 1987, pp. 288, 294, 296, 298 s., 303; V. Caprara, Aggiornamenti su S.M. L., il Legnanino, in Arte cristiana, LXXV (1987), 720, pp. 179-188; La pittura in Italia. Il Seicento, I-II, Milano 1988, pp. 74, 155, 784; S. Coppa, Schede di pittura lombarda del Settecento: Legnanino, Magatti, Pietro Ligari e altri, in Arte cristiana, LXXVII (1989), 731, pp. 121 s.; Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, a cura di G. Romano - A. Griseri, Torino 1989, pp. 24, 172, 230, 248, 261, 263; F. Monetti - A. Cifani, "Nativitas tua gaudium annunciavit". La pala della Vittoria di Torino di S.M. L., in Paragone, XL (1989), 467, pp. 95-102; V. Pini, Opere dei pittori Legnani in Saronno, Saronno 1989, pp. n.n.; M. Dell'Omo, Per il Legnanino, in Labyrinthos, X (1991), 19-20, pp. 123-153; L. Ghio, Gli affreschi del Legnanino nella chiesa genovese di S. Filippo, in Artisti lombardi e centri di produzione italiani nel Settecento. Interscambi, modelli, tecniche, committenti, cantieri, a cura di G.C. Sciolla - V. Terraroli, Bergamo 1995, pp. 176-179; V. Caprara, Bilancio delle novità sul Legnanino, in Arte viva, 1996, nn. 10-11, pp. 74-77; La chiesa di S. Marco in Milano, a cura di M.L. Gatti Perer, Milano 1998, pp. 13, 18, 208, 212, 229, 294; M. Dell'Omo, S.M. L., il Legnanino, Bologna 1998; E. Gavazza - L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Genova 2000, pp. 61, 265, 270, 408, 428; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 568.