LEGITTIMAZIONE
. È un istituto sorto nel diritto romano del basso impero, a favore dei figli di concubina, o liberi naturales in senso tecnico.
La legittimazione aveva tre forme: per subsequens matrimonium, per rescriptum principis, per oblationem curiae. La prima, concessa già da Costantino e poi - sulle orme di Costantino - da Zenone, come facoltà transitoria, divenne uno stabile istituto giuridico nella legislazione giustinianea. La legittimazione per rescriptum principis sorse nel diritto giustinianeo nel caso che non vi fossero figli legittimi e il matrimonio con la concubina fosse impossibile. Quella per oblationem curiae è limitata negli effetti al padre e non si estende alla famiglia paterna: introdotta da Teodosio II e Valentiniano III, fu definitivamente disciplinata da Giustiniano che la permise anche a chi avesse figli legittimi. Essa trasse origine dal bisogno di ripopolare le curie a cui incombeva l'onere di garantire le imposte, e produceva la validità della donazione o del lascito testamentario, avente per oggetto anche tutto il patrimonio, a favore di un figlio naturale qualora venisse iscritto tra i decurioni, se maschio; o sposasse un decurione, se femmina.
Nell'età di mezzo quest'ultima forma scomparve; persistettero le altre due: il Brachilogo parla di una legittimazione per testamento, propria forse del diritto volgare. La legittimazione per subsequens matrimonium fu accolta dalla Chiesa, con questa differenza però che, mentre il diritto romano partiva dalla supposizione che prima della legittimazione non esistesse matrimonio ma concubinato, il diritto canonico presuppone l'esistenza di un matrimonio mancante di sanzione ecclesiastica: per ciò il figlio nato prima della legittimazione non è detto legittimato, ma legittimo; né il consenso del legittimando è richiesto. Accanto a questa legitimatio propria vi era quella per rescriptum del principe o del papa, o per rescriptum doctorum, entrambe con efficacia minore, non conferendo ai legittimati i diritti dei filii descendentes.
Nel diritto moderno (cod. civ., articoli 194-201) è ammessa la legittimazione o per il susseguente matrimonio dei genitori o per decreto reale. Può aver luogo anche la legittimazione dei figli premorti, in favore dei loro discendenti. La prima forma di legittimazione esige due condizioni: che la filiazione sia accertata, o per riconoscimento o per dichiarazione giudiziale, rispetto ad entrambi i genitori; che questi contraggano matrimonio valido o almeno putativo. La seconda forma di legittimazione, per decreto reale, esige: 1. che il richiedente si trovi nell'impossibilità di legittimare il figlio per susseguente matrimonio; 2. che non abbia figli legittimi o legittimati o discendenti da questi; 3. che, se coniugato, vi sia il consenso del coniuge. Questa legittimazione può avvenire anche dopo la morte del genitore, se questi abbia in testamento o in atto pubblico espresso la volontà di legittimare i figli naturali, quando al tempo della morte fossero esistite le condizioni di cui ai nn. 1 e 2. Il re può accordare la legittimazione solo dopo un giudizio della Corte d'appello sulla legalità e dopo un esame del Consiglio di stato sulla convenienza. La legittimazione attribuisce al nato fuori del matrimonio la qualità di figlio legittimo: attribuendo una nuova qualità, e non essendo dichiarativa come il riconoscimento, non può avere efficacia retroattiva: quindi il figlio non potrà succedere ad eredità aperta prima della legittimazione.
Bibl.: E. Costa, Storia del diritto romano, 2ª ed., Torino 1925, pp. 68-70; P. F. Girard-F. Senn, Manuel de droit romain, 8ª ed., Parigi 1929, pp. 201-203; H. Wolf, Die Legitimatio per subsequens matrimonium, Braunschweig 1881; F. Kogler, Legitimatio per rescriptum von Iustinian bis zum Tode Karls IV., Weimar 1904; R. Genestal, Histoire de la légitimation en droit canonique, Parigi 1905; B. Dusi, Ist. di dir. civ., 2ª ed., Torino 1929, p. 251 segg.