lavoro, legislazione di protezione del
Insieme eterogeneo di norme (ingl. Employment Protection Legislation, EPL) che disciplinano la presenza di agenzie di collocamento di chi cerca occupazione, nonché varie fasi del rapporto di l. (per es. la lunghezza del periodo di prova), o varie loro tipologie (per es., con contratti a tempo indeterminato o a tempo determinato) e soprattutto gli adempimenti necessari alla interruzione del rapporto di l., limitando o agevolando la libertà dell’impresa di operare sul mercato. L’EPL cambia da Paese a Paese identificando in essi gradi molto diversi di rigidità.
Tale normativa si applica in modo differente al variare di caratteristiche quali il settore o la dimensione dell’impresa, e a seconda che si tratti di un licenziamento individuale o collettivo (➔ licenziamento, forme per il). In quasi tutti i casi l’impresa ha l’obbligo di versare al lavoratore una buona uscita a titolo compensatorio (ingl. severance payment) e spesso deve giustificare il licenziamento. Inoltre, è generalmente richiesto un periodo di preavviso, che viene concesso al dipendente prima che il licenziamento diventi effettivo. Un altro aspetto importante della legislazione risiede nelle procedure amministrative che devono essere rispettate.
La legislazione implica un costo per l’impresa (➔ licenziamento, costi di; assunzione, costi di; rigidità; flessibilità), e come tale ha conseguenze economiche. In generale, si possono distinguere due componenti di tale costo. Una consiste in un trasferimento dall’impresa al lavoratore, mentre l’altra è una somma pagata al di fuori delle parti interessate (per es., gli avvocati o i costi procedurali). In Italia, si stima che la prima componente rappresenti circa l’80% del totale. Per effettuare confronti internazionali l’OCSE (➔) utilizza un indicatore costruito attraverso la metodologia ‘gerarchia delle gerarchie’. Esso è calcolato attraverso 4 livelli gerarchici tramite i quali, a ogni singolo aspetto del regime di protezione dell’impiego, viene assegnato un valore compreso tra 0 e 6, dove 0 indica il minimo grado di rigidità e 6 il massimo. Il valore dell’indicatore complessivo, che corrisponde all’ultimo livello di aggregazione, è dato dalla media ponderata dei 3 sottoindicatori che riguardano:
• la protezione dei lavoratori con contratto di lavoro regolare contro i licenziamenti individuali (a sua volta costruito considerando gli inconvenienti procedurali, la notifica e la liquidazione per licenziamenti senza colpa e la difficoltà di licenziamento);
• la regolazione delle forme di lavoro a termine (che considera la regolazione dei contratti a tempo determinato e delle agenzie del lavoro interinale);
• la disciplina dei licenziamenti collettivi.
L’utilizzo di questa metodologia risente di alcuni problemi, perché nel calcolo si dà lo stesso peso a tutte le componenti, si considerano solo aspetti presenti in tutti i Paesi e non si valuta il grado di applicazione delle normative.
L’Italia alla fine del primo decennio del 21° sec. presentava un valore dell’indice pari a 1,8 per i licenziamenti individuali di lavoratori a tempo indeterminato (inferiore a quello medio OCSE, pari a 2,1) e pari a 2 per la regolazione del lavoro a termine (il valore medio era 1,8). In quest’ultimo caso il valore dell’indice è diminuito considerevolmente dall’ultimo decennio del 20° sec., in seguito alle riforme apportate dal pacchetto Treu del 1997 e dalla legge Biagi (➔ Biagi, legge) del 2003, che hanno aumentato la flessibilità concentrandola sui contratti a tempo determinato. L’indice è il più alto (4,9) tra tutti i Paesi OCSE nel caso dei licenziamenti collettivi.
Dal punto di vista economico, se il licenziamento è costoso le imprese licenziano meno in fasi recessive, ma assumono meno in fasi espansive, per non dover incorrere in seguito nei costi di licenziamento. Non esistono quindi differenze rilevanti tra l’occupazione media di Paesi flessibili e rigidi, ma in questi ultimi si osservano minori flussi in entrata e in uscita dalla disoccupazione (➔ p), e quindi la durata della disoccupazione è maggiore. I dati mostrano, inoltre, una relazione negativa tra rigidità della legislazione e disoccupazione adulta e una relazione positiva con la disoccupazione giovanile. Nel complesso esiste una relazione negativa tra efficienza economica e rigidità della legislazione. I lavoratori occupati preferiscono, tuttavia, maggiore protezione, se sono avversi al rischio, perché essa riduce la variabilità del reddito. Se, infatti, i mercati assicurativi non sono in grado di offrire assicurazione contro il rischio di licenziamento, il mercato dei capitali è imperfetto e gli individui hanno vincoli di liquidità, la legislazione svolge una funzione suppletiva delle imperfezioni dei mercati e quindi aumenta il benessere di tutti i lavoratori. Perché questo valga, però, è necessario che tutti i lavoratori abbiano accesso alla protezione.