LICINIE SESTIE, LEGGI
È difficile determinare se la rogazione presentata nel 377 a. C. dai tribuni della plebe C. Licinio Stolone e L. Sestio Laterano si sia tradotta in una lex satura o in tre leggi diverse quando, dopo dieci anni, venne approvata.
L'attestazione di Livio (VI, 34-42) è in favore della prima ipotesi. Ma, mentre la lex Licinia Sextia si suole perciò citare come il tipo delle leges saturae, gravi dubbî si sollevano intorno all'esistenza delle prime due proposte de aere alieno e de modo agrorum. La prima avrebbe stabilito che le usure pagate s'imputassero a diminuzione del capitale e che i debitori potessero soddisfare i loro creditori in tre rate annue uguali. La seconda avrebbe vietato, secondo la più diffusa opinione, che si potessero possedere più di cinquecento iugeri di ager puolicus. Secondo autorevoli scrittori, i quali rilevano che per i terreni pubblici vi era il divieto di far pascolare più di cento capi di bestiame grosso e cinquecento di bestiame minuto, sarebbe stato proibito di possedere cinquecento iugeri di ager publicus e di proprietà privata, o anche di sola proprietà privata.
Una terza proposta, de consule plebeio, mirava ad assicurare ai plebei uno dei due posti al consolato, alla cessazione dei tribuni militum consulari potestate e all'istituzione del praetor. Alcuni attribuiscono questa riforma alla lex Furia de consule altero ex plebe et de praetore ex patribus creando. Certo è che negli anni dal 367 al 287 a. C. la costituzione romana ha subito le sue più profonde trasformazioni e che la riserva del posto consolare ai plebei fu più volte violata. La tradizione raccolta da Livio, quantunque assai discussa e contrastata dagli storici, è tuttavia a base della fusione nel campo politico tra patrizî e plebei, mentre nel campo religioso l'uguaglianza tra i due ceti sarebbe stata determinata dall'altra lex Licinia Sextia, con la quale, essendo elevato a dieci il numero dei duoviri sacris faciundis, istituiti da Tarquinio il Superbo e incaricati della custodia dei libri sibillini, i posti erano per metà riservati ai plebei.
Bibl.: G. Rotondi, Leges pubbl. populi Romani, Milano 1912, pp. 216-220; A. Berger, Lex Licinia, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., XII, coll. 2394-95; E. Pais, I fasti dei tribuni della plebe, Roma 1920, p. 407; id., St. di Roma, 3ª ed., IV, Roma 1928, pp. 24, 106, 367; P. Bonfante, St. del dir. rom., 3ª ed., I, Milano 1923, p. 123; P. De Francisci, St. del dir. rom., I, Roma 1926, pp. 230-237.