ANTONIE, LEGGI (leges Antoniae)
Se ne contano quattordici: nove proposte dal celebre triumviro reipublicae constituendae durante il suo consolato del 44 a. C. (leges consulares) e cinque plebisciti; dei quali uno ha nome dallo stesso M. Antonio, che fu tribuno nel 49 a. C., tre dal fratello Lucio, che ebbe il tribunato l'anno stesso in cui M. Antonio era console, e l'altrq da C. Antonio, che, indicato fra i tribuni nella lex Visellia (Corpus Inscr. Lat., I, 593), la quale a essi attribuiva la cura viarum, è il primo dei tribuni rammentato nella lex (Corpus Inscr. Lat., I, 204), con la quale nel 71 a. C. si confermò l'autonomia alla città di Termessi in Pisidia, concedendo agli abitanti la libertas e la qualità di amici et socii populi Romani: onde il nome di lex Antonia de Termessibus.
Nel Museo Nazionale di Napoli si conserva una delle cinque o sei tavole di bronzo che la contenevano. Divisa in due colonne, che nei primi decennî del secolo XVI erano ancora integre (come attesta Mariangelo Accursio), essa, in premio della fede mostrata durante la guerra mitridatica, riconosce ai Termessensi il diritto di suis legibus uti; concede la facoltà di habere, possidere, locare campi e luoghi, edifizî pubblici e privati; riafferma le concessioni fatte l'anno precedente in rapporto a quelle stabilite diciannove anni prima, nel 91 a. C.; e, per la proprietà e l'usufrutto, annulla le alienazioni coatte, ripristinando le condizioni ante bellum Mitridatis. La formula usata (habuerunt possederunt usei fructeive sunt), denotando la cosiddetta "proprietà peregrina", evidentemente dimostra l'importanza di questa legge per la storia della proprietà e del possesso nel diritto romano, oltre che per la valutazione dell'ususfructus ivi indicato e per le diverse disposizioni di diritto pubblico ivi contenute. Segnaliamo fra esse il regolamento per l'esazione dei dazî d'importazione e d'esportazione (vectigalia), per l'introduzione di milizie hiemandi causa su decreto che il senato di Roma avrebbe dovuto fare nominatim, e per i limiti all'imperium dei magistrati nelle requisizioni, prestabiliti da una lex Porcia ivi richiamata e altrimenti ignota.
Dei tre plebisciti designati col nome di L. Antonio nel 44 a. C., uno, votato al principio dell'anno, concedeva a Cesare il diritto di commendatio, ossia d'imporre al popolo, cui le preordinava, le nomine di metà dei candidati alle magistrature (Svet., Caes., 41, 44); gli altri due furon votati nel giugno: il primo, derogando dalle norme della lex Iulia de provinciis, protraeva a sei anni, computando quello della magistratura, il governo proconsolare da affidarsi a M. Antonio e a P. Cornelio Lentulo Dolabella (Cic., Phil., V, 3, 7); il secondo determinava l'istituzione dei septemviri per assegnare ai veterani di Cesare il bonificamento di terre nell'agro leontino e nel campano, oltre il prosciugamento delle paludi pontine, già disposto da Cesare stesso (Plut., Caes., 58). Sulla prima legge (de candidatis) si discute inutilmente se, in base al testo ciceroniano, si debba ritenere che sia stata proposta da M. Antonio; s'ignora se tutte le magistrature, anche le plebee, fossero compresi nella commendatio; e si dubita se in ogni caso ne fosse escluso il consolato, sia che entrambi i consoli fossero designati da Cesare, sia che al popolo ne fosse lasciata libera l'elezione. Per la seconda legge (de provinciis consularibus) si è ormai d'accordo nell'escluderne la generale applicazione, limitandone la portata al singolo caso eccezionale da essa contemplato. Della terza legge (agraria) si sa che dopo sette mesi fu abrogata da un senatoconsulto, il 4 gennaio 43 a. C., per l'inosservanza del trinundinum tra la promulgatio e la votazione, secondo le norme della lex Caecilia Didia del 98, riaffermata dalla lex Iunia Licinia del 62 a. C.
Al tribunato di M. Antonio del 49 a. C. è collegata la lex Antonia de proscriptorum liberis, cioè il plebiscito che (per volontà di Cesare, partito per la Spagna) restitui ai figli dei proscritti da Silla il ius peiendorum honorum, ossia la facoltà di adire le magistrature, che questi nell'81 aveva loro tolto (Liv., Ep., 89).
Delle leges consulares due sono in onore di Giulio Cesare: la prima de mense quintili, onde il nome di quintilis si mutò in iulius (Svet., Caes., 76), e la seconda de quinto die ludorum Romanorum Caesari tribuendo, per consacrare alla memoria di Cesare il quinto giorno dei ludi romani (Cic., Phil., II, 43, 110). Tre, giudicate da Cicerone (Phil., V, 4, 10) per vim et contra auspicia latas, sono quelle: de dictatura in perpetuum tollenda, onde la pena capitale e la confisca dei beni erano comminate a chiunque proponesse o assumesse la dittatura - de actis Caesaris confirmandis, onde si dava efficacia di leggi agli acta Caesaris, che Antonio credesse di pubblicare senza alcun controllo e senza quel preventivo esame, che una posteriore rogazione tribunizia invano propose di affidare dal primo giugno ai due consoli assistiti da una commissione (cum consilio: cfr. Cic., Phil., II, 39, 100) - de coloniis in agros deducendis, con la quale si determinavano deductiones e alla quale evidentemente si riferisce la lex coloniae Iuliae Genitivae, che talvolta perciò è posta anch'essa fra le leges Antoniae.
Una lex iudiciaria, quae promulgata est de tertia decuria iudicum, aggiungeva alle due decurie di giudici composte da senatori e da cavalieri una terza, non più di tribuni aerarii (come la lex Aurelia prescriveva), ma di ex-centurioni, senza considerazione di censo (Cic., Phil., I, 8, 19); una lex de provocatione consentiva la provocatio ad populum anche ai damnati de vi et de maiestate (Cic., Phil., I, 9, 21); quella fu abrogata l'anno dopo; questa, che Cicerone dichiarava legum omnium dissolutio (Phil., XIII, 3, 5), fu presto anch'essa annullata.
Rimangono altre due leggi: quella de permutatione provinciarum, con la quale erano conferite ad Antonio la Gallia cisalpina e parte della transalpina (Cic., Phil., I, 10, 25, 26), da Livio (Ep., 117) giudicata pervim lata; e l'altra de pontifice maximo, onde Livio al luogo stesso e Velleio (2, 63, 1) riferiscono che Lepido fu furto creatus pontefice massimo: onde ben si argomenta che, determinate da circostanze speciali, nelle condizioni eccezionali che Roma superava, entrambe avessero carattere di disposizioni singolari e transitorie.
Bibl.: G. De Ruggiero, Dizionario epigrafico di Antichità romane, Roma 1894, p. 498; Th. Mommsen, Le droit public romain, II, ii, Parigi 1894, p. 317, n. 4; H. E. Dirksen, Versuche zur Kritik der Quellen, Lipsia 1823, pp. 137-202; L. Lange, De Legibus Antoniis, Lipsia 1871; C. G. Bruns, Fontes iuris Romani antiqui, Tubinga 1909, pp. 92-95; G. Rotondi, leges publicae populi Romani, Milano 1912, p. 427 segg.; E. Pais, Ricerche sulla storia e sul diritto pubblico di Roma, s. 3ª, Roma 1918, p. 27; P. Bonfante, Storia del diritto romano, Roma 1923, II, p. 213.