ACILIE, LEGGI
. Se ne contano cinque. La prima, Acilia Minucia, del 201 a. C., è un plebiscito che, secondo la narrazione di Livio (XXX, 40, 9), sarebbe stato approvato da tutte le trentacinque tribù per confermare l'imperium di Scipione in Africa e per provocare il senato-consulto, onde, conchiusa la pace coi Cartaginesi, alle condizioni da lui imposte (cfr. E. Pais, Storia di Roma durante le guerre puniche, II, Roma 1927, p. 225), fosse a Roma ricondotto l'esercito.
La seconda, de coloniis quinque deducendis del 197 a. C., è erroneamente chiamata "Acilia", giacché Atinio ne fu il tribuno proponente (v. atinie, leggi).
La terza, lex consulans de intercalando del 191 a. C., è da Ettore Pais (Ricerche sulla storia e sul diritto pubblico di Roma, I, Roma 1915, p. 212), ritenuta e provata "una pura creazione della critica moderna", immaginata dal Mommsen (Röm. Chronologie, 2a ed., Berlino 1859, p. 40), che intende in tal senso il testo di Macrobio (Saturn., 1, 13, 21). I Fasti Capitolini (cfr. E. Pais, Fasti triumphales populi Romani, parte 1a, Roma 1920, pp. 186 e 105) attestano intercalazioni avvenute nel 260 e nel 236 a. C.; e si può pensare che le rogationes de intercalando, anziché dirette a promuovere leges publicae populi Romani, consistessero nell'edicere populo ciò che i pontifices avessero in proposito decretato (cfr. Varrone, De lingua latina, 6, 27).
La quarta, lex Acilia Rubria del 123 o del 122 a. C., menzionata nel senato-consulto relativo agli Astipalei (Corp. inscr. graec., 2485, 1, 10), è particolarmente ricordata dal Mommsen (Droit public romain, VI, Parigi 1889, p. 359, n.1), come esempio di plebiscito designato con doppio nome, a somiglianza - aggiungiamo noi - della prima lex Acilia su indicata. Essa permetteva la partecipazione al culto di Giove Capitolino solo agli stranieri che fossero stati espressamente a ciò delegati. E, se non può confondersi con la lex Rubria (abrogata nel 121, subito dopo l'uccisione di Caio Gracco), vale però a determinare l'epoca della lex repetundarum, nella quale la lex Rubria è citata.
La più importante delle leges, che vanno ora sotto il nome di Aciliae, è precisamente quella repetundarum. Incisa nel bronzo (sul quale nel lato posteriore fu certamente più tardi incisa la lex agraria del 111 a. C.), era divisa in undici frammenti, quando Giacomo Mazzocchi ne pubblicò due ne' suoi Epigrammata antiquae urbis (Roma 1521). Pietro Bembo degli altri nove ornò il proprio museo, onde ebbero il nome di "Tavole del Bembo". Carlo Sigonio nell'opera De iudiciis (II, Bologna 1574, p. 27) dichiara di averle ivi studiate. Dalla fine del sec. XVI due frammenti furono perduti: due se ne conservano ora nel museo di Vienna e sette nel museo nazionale di Napoli. Si riferiva la lex alla quaestio de repetundis? Non par dubbio, quantunque recentemente si sia avanzata l'ipotesi che essa sia precisamente la lex Sempronia iudiciaria: ipotesi che, mentre si fonda sulla premessa che le tavole del Bembo contengano una lex iudiciaria e sull'argomento della contemporaneità, se non della simultaneità, della votazione per le due leggi, si ricollega all'opinione dello Zumpt (Abhandl. der Ak. zu Berlin, 1845, p. 111); il quale, pur non negando l'esplicito riferimento al crimen repetundarum, emergente dalle parole stesse della legge (l. 3) oltre che dalla testimonianza di Cicerone (in Verr., I, 17, 51), credeva di poter attribuire ad essa un carattere generale e di doverla porre alcuni anni dopo la morte di Caio Gracco. Fu il Mommsen (cfr. Gesammelte Schriften, I, Berlino 1905, p. 1 segg.) che determinò la data - tra il 123 e il 122 - per tal legge, che già lo Zumpt aveva chiamata Acilia, mentre dal Sigonio in poi era stata identificata con la lex Servilia; la quale nel 111 a. C., ossia dopo dodici o undici anni, sostituì la comperendinatio, cioè il rinvio in diem tertium sive perendinum (cfr. Cic., in Verr., I, 9, 7) all'ampliatio permessa dalla lex Acilia, la quale, soltanto nel caso che essa fosse pronunziata due volte (bis in uno iudicio) comminava la multa ai singoli giudici.
Era l'ampliatio la proroga del giudizio per effetto del non liquet votato da più della terza parte dei giudici e della conseguente pronunzia del praetor: "amplius cognoscendum". Appunto la nostra lex è l'unico testo giuridico che ce ne informa (l. 47) in perfetta corrispondenza ai testi letterarî, che reputiamo inutile indicare. E se non può dubitarsi che l'ampliatio rappresenti nella procedura dclle prove uno stadio anteriore alla comperendinatio, non è lecito ancora chiedersi se la data della nostra legge possa essere confusa con quella della lex Servilia, né dubitare della opportunità di distinguerla dalla lex-iudiciaria, se specialmente si riconosca che, analogamente alla lex Sempronia e alla nostra, due furono le leges Serviliae: una iudiciaria e l'altra de repetundis. In sostanza si può dubitare che la lex veramente si debba denominare da Acilio, e non è da escludere che possa essere stata proposta da Sempronio Gracco, e debba perciò denominarsi Sempronia: l'esempio di leges Iuliae e di leges Corneliae - iudiciariae et de repetundis - conforterebbe tale ipotesi. Comunque non sembra che, per identificare le due leggi, si debba negare alla nostra il suo carattere speciale, che pare scolpito, più che designato, dalla menzione in essa delle due leggi Calpurnia e Giunia (l. 23, 74 e 81), che la precedettero nella punizione del crimen repetundarum (pecuniarum). La publica quaestio con questi due plebisciti, presieduta dal praetor qui ius dicebat inter cives et peregrinos, aveva un fine essenzialmente diretto a far restituire il mal tolto (l. 59), una forma di carattere privato, esplicantesi nel sacramentum (l. 23), un giudizio che pareva non desse la necessaria garanzia, perché i giudici erano scelti dal rango senatorio. La legge in questione diede carattere penale al procedimento; stabilì la pena nel doppio (l. 59); sancì particolari norme per lo svolgimento del processo (ll. 30-57); dispose che la litis aestimatio, benché fatta come d'ordinario, dovesse essere consegnata all'erario per mezzo del questore (ll. 60-69); stabilì come, dopo la nominis delatio, potessero essere scelti cento giudici fra i quattrocentocinquanta a tale ufficio annualmente chiamati (ll. 18-27); fissò le condizioni onde i fatti punibili assumessero quella determinata forma di reato (l. 3); stabilì la responsabilità che la lex Iulia avrebbe di poi confermata, e che le precedenti leggi Calpurnia e Giunia avevano limitata soltanto ai governatori delle provincie.
Se ancora nelle fonti giustinianee noi troviamo fondamentale la lex repetundarum che Cesare fece votare nel suo primo consolato, accusati del delitto da essa previsto rimasero, secondo la nostra legge, il dittatore, il console, il pretore, il magister equitum, il censore, l'edile, il tribuno della plebe, il questore, il triumviro capitale, il triumviro agris dandis adsignandis, il tribuno militare di una delle prime quattro legioni e i loro figli, i senatori e i loro figli (l. 3). Non è possibile qui tentare neppure fugacemente un raffronto fra la nostra legge e la lex Iulia; né è il caso, attraverso i profondi rivolgimenti seguitisi e i diversi concetti di magistratus, rilevare l'elaborazione fatta dalla giurisprudenza romana sulla lex Iulia del 59, ed esaminare se mai i testi giustinianei anche in questo tema abbian segni di alterazioni bizantine. Ma forse non è inutile ricordare che i novanta versi a noi rimasti si chiudono con la determinazione dei premî agli accusatori, distinguendovi i Latini dai peregrini in caso di condanna, e permettendo una particolare disposizione sulla praevaricatio.
Bibl.: E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico di antichità romane, I, Roma 1894, p. 41; G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, Milano 1912, pp. 265, 273, 312, 315, 374; Plinio Fraccaro, Sulle "leges indiciariae" romane, Milano 1919; P. Bonfante, Storia del diritto romano, Milano 1923, I, p. 413, II, p. 212; S. Riccobono, Fontes iuris romani antejustinianei, Firenze 1909, p. 72.