VOCONIA, LEGGE
. Plebiscito del tribuno della plebe Q. Voconius Saxa del 169 a. C., sostenuto da Catone censorio, che pronunciò a favore della legge un apposito discorso (suasio legis Voconiae). La legge prescriveva che i cittadini, i quali fossero stati censiti per una determinata sostanza (Gaio II, 274 dice centum milia aeris, cioè assi, quindi i cittadini della prima classe; altre fonti dànno 100.000 sesterzî, cioè 400.000 assi), non potessero istituire erede una donna, anche se questa era l'unica figlia. Si faceva eccezione solo per le vestali. Già al tempo di Cicerone si eludeva questa disposizione o non ritenendo vincolati dalla legge, con una interpretazione letterale della legge stessa, i cittadini non censiti (e i censimenti nell'ultimo secolo della repubblica erano tenuti di rado e irregolarmente) o ricorrendo ai fedecommessi. Le leggi demografiche di Augusto vi derogarono per certe categorie di donne e Giustiniano abolì la disposizione. Un altro capo della legge vietava di legare o donare mortis causa ad uno, più di quanto spettava all'erede istituito (Gaio II, 226). Ma poiché si poteva con molti piccoli legati esaurire o quasi il patrimonio, la legge Falcidia del 40 a. C. vietò di legare più di tre quarti dell'eredità. Il testo della 264ª declamatio pseudo-quintilianea, dal quale parrebbe che la legge Voconia vietasse di lasciare a una donna più di metà dei beni, è molto dubbio. La legge aveva principalmente lo scopo di impedire il frazionamento eccessivo, l'uscita dalle famiglie e la dissipazione dei patrimonî della classe più elevata.
Bibl.: G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, Milano 1912 (estr. Encicl. giur. ital.), p. 283; A. Steinwenter, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 2418, con ricca letteratura; P. F. Girard, Manuel de droit romain, 8ª ed. a cura di F. Senn, Parigi 1928, specialmente a pp. 870-71; P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, 10ª ed., Roma 1934, pp. 57, 591, 621, 655.