Vedi Legge elettorale dell'anno: 2014 - 2015 - 2016 - 2017
Legge elettorale
La l. n. 52/2015 pone la nuova disciplina elettorale della Camera dei deputati e fa seguito alla sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la l. n. 270/2005 per l’assenza di preferenze e per il conferimento del premio di maggioranza anche in assenza di una soglia minima di voti. La nuova disciplina (che opera a decorrere dal 1° luglio 2016) assegna il premio di maggioranza alla lista che raggiunga il 40% dei voti o che prevalga nel ballottaggio a livello nazionale, con soglia di sbarramento al 3%. La competizione elettorale avviene in collegi plurinominali fra liste concorrenti “bloccate” con riguardo al solo capolista e con doppia preferenza di genere. L’impianto bipolare della legge sembra ignorare l’esistenza di un “terzo” polo e ripropone il modello della l. n. 270/2005 sicché da più parti la nuova disciplina è contestata per il mancato rispetto dei principi posti dalla Corte costituzionale.
La legge 6.5.2015, n. 52 (“Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati”), che pone la nuova disciplina elettorale della sola Camera dei deputati (giacché nella riforma costituzionale in itinere diversa è la modalità di scelta dei membri del Senato), intende affrontare la situazione venutasi a creare in conseguenza della sentenza 13.1.2014, n. 1 della Corte costituzionale che, dichiarando incostituzionali diverse disposizioni della l. 21.12.2005, n. 270, ha introdotto (quale “normativa di risulta”) una disciplina elettorale di tipo spiccatamente proporzionale (senza alcun premio di maggioranza) e che assegna ad ogni elettore la possibilità di esprimere una preferenza.
La nuova legge si compone di quattro articoli. L’art. 1 (Elezione della Camera dei deputati) costituisce una sorta di “disposizione-manifesto” che indica riassuntivamente i principali contenuti della nuova disciplina. L’art. 2 (Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati), composto di 38 commi, introduce numerose modifiche al Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati (d.P.R. 30.3.1957, n. 361 e succ. modif.), ma anche alla l. 27.12.2001, n. 459 (Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero), e pone la gran parte della nuova disciplina elettorale. Infine, gli ultimi due articoli concernono (l’art. 3, composto di un solo comma) l’introduzione di ulteriori modifiche al predetto t.u. (d.P.R. n. 361/1957) e (l’art. 4) il conferimento al Governo di una delega legislativa per la determinazione dei collegi elettorali (delega esercitata con il d.lgs. 7.8.2015, n. 122). L’art. 1 elenca i seguenti caratteri fondamentali della nuova disciplina:
a) suddivisione del territorio della Repubblica in 20 circoscrizioni elettorali (coincidenti con le Regioni) a loro volta ripartite in 100 collegi plurinominali (fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, per le quali è prevista una disciplina particolare);
b) clausola di sbarramento per le liste che non abbiano ottenuto, su base nazionale, almeno il 3% dei voti validi;
c) attribuzione di 340 seggi alla lista che ottenga, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti, con l’esplicita esclusione di ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione;
d) attribuzione dei seggi su base nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti;
e) possibilità per l’elettore di esprimere, all’interno della medesima lista, fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli non capolista; la parità di genere è garantita, oltre che dalla doppia preferenza di genere, anche dalla previsione che in ogni lista i candidati devono essere presentati in ordine alternato per sesso e che nella circoscrizione il numero globale dei candidati di ciascun sesso non possa superare il 50% e che i capolista dello stesso sesso non possono eccedere a livello di circoscrizione il 60% del totale;
f) precedenza, nella proclamazione degli eletti ai capolista che, oltre ad essere esclusi dalla competizione interna alla singola lista, godono anche della possibilità di pluricandidatura (fino a dieci collegi).
Fino al 30.6.2016 la legislazione elettorale vigente continua ad essere quella risultante dalla sentenza n. 1/2014. Dal 1°.7.2016 per l’elezione della sola Camera dei deputati sarà applicabile la disciplina introdotta dalla l. n. 52/2015, mentre per il Senato (qualora – e finché – non venga approvata la riforma costituzionale) continuerà ad applicarsi la disciplina elettorale risultante dalla sentenza n. 1/2014 con la particolarità della contemporanea vigenza di due normative completamente differenti (proporzionale per il Senato e maggioritaria per la Camera dei deputati).
L’impianto strutturale della l. n. 52/2015 ripete quello della l. n. 270/2005 di cui si limita a correggere gli aspetti dichiarati incostituzionali dalla sentenza n. 1/2014 (assegnazione del premio di maggioranza indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima e assenza di preferenze) introducendo le preferenze e subordinando il premio di maggioranza al raggiungimento del 40% dei voti o all’affermazione nel ballottaggio nazionale.
La ripartizione dei seggi fra le liste e all’interno di ciascuna lista avviene su base nazionale proporzionalmente al numero dei voti ottenuti, ma applicando differenti quozienti elettorali fra lista maggioritaria (da un lato) e tutte le altre liste (dall’altro lato). Infatti 340 seggi vengono assegnati alla lista vincente (e, all’interno di questa, suddivisi proporzionalmente ai voti ricevuti fra le circoscrizioni), 278 seggi sono suddivisi (sempre proporzionalmente ai voti ricevuti) fra le altre liste che abbiano superato la soglia di sbarramento del 3%), 12 seggi sono attribuiti nella circoscrizione estera (l. n. 459/2001).
L’assegnazione dei seggi è operata dall’Ufficio centrale nazionale che, ricevuti i risultati elettorali dagli Uffici elettorali circoscrizionali, innanzitutto esclude le liste che non abbiano raggiunto la soglia di sbarramento (3% a livello nazionale con l’eccezione per la Valle d’Aosta ed il Trentino Alto Adige ove possono ottenere seggi anche le liste rappresentative di minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno il 20% dei voti validi nella regione) e poi procede ad una prima ripartizione (“provvisoria”) dei seggi alle liste sulla base dei voti ottenuti in modo da verificare il conseguimento o meno di 340 seggi da parte della lista maggioritaria. Qualora tale esito sia raggiunto, l’assegnazione dei seggi diventa definitiva. In questo caso la formula elettorale applicata è una formula tipicamente proporzionale. Ma la l. n. 52/2015 prevede tre ipotesi:
1) raggiungimento da parte della lista maggioritaria
di almeno 340 seggi: l’assegnazione dei seggi avviene mediante la divisione della cifra elettorale di lista (totale dei voti della lista) per il quoziente elettorale (ottenuto dividendo il totale dei voti validi per il numero dei seggi da attribuire);
2) raggiungimento da parte di una lista di almeno il 40% dei voti ma non del 55% dei seggi: alla lista maggioritaria vengono comunque assegnati n. 340 seggi suddivisi fra le varie circoscrizioni in base al quoziente elettorale di maggioranza (totale dei voti ottenuti dalla lista diviso 340), mentre le liste minoritarie si suddividono i restanti 278 seggi (dividendo la cifra elettorale di ogni lista per il quoziente elettorale di minoranza, ottenuto dividendo il totale dei voti delle liste minoritarie per 278, ed individuando così il numero dei seggi attribuiti ad ogni lista);
3) nessuna lista raggiunge il 40% dei voti: si procede al ballottaggio nazionale fra le due liste che hanno ottenuto il maggior numero di voti per individuare la lista assegnataria dei 340 seggi (sempre suddivisi in base al quoziente elettorale di maggioranza) mentre tutte le altre liste si suddividono in 278 seggi in base al quoziente elettorale di minoranza.
La l. n. 52/2015 (così come la l. n. 270/2005) è strutturata in maniera tale da operare sempre in senso maggioritario, giacché l’attribuzione del premio di maggioranza non avviene nel solo caso in cui una lista raggiunga (o superi) da sola i 340 (e cioè il 55% dei) seggi.
L’analisi della disciplina introdotta dalla l. n. 52/2015 va collocata all’interno del processo che, a partire dai referendum elettorali dei primi anni novanta del secolo scorso, ha portato all’introduzione delle leggi elettorali del 1993 (l. 4.8.1993, nn. 276 e 277; ma anche l. 25.3.1993, n. 81), del 1995 (l. 23.2.1995, n. 43 concernente i consigli regionali) ed infine della l. n. 270/2005. Alla base delle citate discipline risiede un’ampia fiducia nelle capacità delle formule elettorali di assicurare stabilità politica ma le stesse, a loro volta, sono il sintomo e la conseguenza di importanti modifiche intervenute nell’assetto politico del Paese.
L’elemento di maggiore innovazione introdotto dalla l. n. 52/2015 è la previsione del ballottaggio a livello nazionale fra le due maggiori liste, conseguente al mancato raggiungimento da parte di alcuna lista della quota del 40% dei voti validamente espressi. Questa conseguenza, a ben riflettere, non è logicamente necessitata giacché di per sé il mancato raggiungimento del 40% dovrebbe semplicemente produrre la mancata assegnazione del “premio”. E questa considerazione appare rafforzata dalla constatazione che la stessa l. n. 52/2015 prevede che la primissima operazione che l’Ufficio centrale elettorale deve porre in essere consiste nella assegnazione dei seggi proporzionalmente ai voti ottenuti. Invece il “premio” (secondo quanto previsto dalla l. n. 52/2015) non può non essere conferito sicché tutta la complessa preliminare operazione volta all’assegnazione dei seggi alle singole liste proporzionalmente ai voti ricevuti diventa una mera finzione giacché opera solo nel caso del raggiungimento da parte della lista maggioritaria dei 340 seggi (e cioè quando il risultato elettorale è già ex se maggioritario).
Va inoltre sottolineata l’irragionevolezza di un “premio di maggioranza” che non solo è conferito ad una lista che maggioranza non è (è il “premio” a far diventare “maggioranza” una minoranza) ma le cui dimensioni decrescono con il miglioramento della performance elettorale della lista medesima. Infatti il premio è decrescente nella misura in cui la lista maggioritaria supera la quota del 40% fino ad azzerarsi quando la lista raggiunge autonomamente i 340 seggi. Pertanto la legge, superata la soglia del 40%, “premia” di meno la lista che ottiene più voti (parificando sostanzialmente il raggiungimento del 40% dei voti al raggiungimento di ogni quota a questa superiore fino al 55%). Ma, aldilà di tale constatazione, va aggiunto che se l’obiettivo perseguito dalla legge è quello della stabilità, a maggior ragione appare irragionevole conferire un premio inferiore ad una lista che ottenga un maggiore successo in termini di voti (soprattutto qualora superi il 50%). E questo esito appare ancora più irragionevole quando, tramite il ballottaggio, il 55% dei seggi viene assegnato a una lista che in realtà ha ottenuto una bassa percentuale di voti.
La previsione del ballottaggio a livello nazionale innesta nel modello elettorale instaurato dalla l. n. 270/2005 l’identico istituto di cui alla l. n. 81/1993 (relativa alla elezione dei sindaci): un vincitore deve esserci in ogni caso così da assicurare la governabilità e la stabilità per i successivi cinque anni, ma con la grave confusione fra due differenti tipologie elettorali e con la evidente introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio (alla cui elezione finisce per essere subordinata anche la elezione dei parlamentari) con incidenza sui meccanismi costituzionalmente previsti di funzionamento della forma di governo e sulle dinamiche dei rapporti fra Parlamento e Governo (oltre che con riduzione delle prerogative del Presidente della Repubblica).
Ma la semplicistica risposta alle esigenze di stabilità rappresentata dall’assegnazione di un ampio premio di maggioranza alla lista che abbia ottenuto più voti non assicura affatto l’auspicata “governabilità” ed a conferma può citarsi proprio il fallimentare esito della l. n. 270/2005 che in tutte le elezioni in cui è stata applicata (2006, 2008 e 2013) non ha dato positivi risultati nemmeno quando (elezioni del 2008) si è registrata un’ampia vittoria elettorale (in entrambe le Camere) di una delle coalizioni: nei successivi cinque anni non si è avuta stabilità ed estremamente negativi sono stati gli esiti di tale legislatura. Inoltre l’accordo fra centrodestra e centrosinistra che è alla base della l. n. 52/2015 sembra prescindere completamente dalla constatazione dell’esistenza di un terzo polo (Movimento cinque stelle) che, in base al risultato elettorale ottenuto nelle ultime elezioni politiche, si pone seriamente come candidato al ballottaggio nazionale. Ed anzi proprio tale forza politica (che si presenta esplicitamente come “antisistema”) si caratterizza per una omogeneità ed una unione interna ben differenti dalla eterogeneità e dalla frammentazione che caratterizzano attualmente sia il centrodestra che il centrosinistra.
Nella tradizionale dialettica fra modelli elettorali di tipo proporzionale e modelli maggioritari, quello introdotto dalla l. n. 52/2015 (ma in tal senso operava già la l. n. 270/2005) appare come il risultato di una manipolazione in senso maggioritario di un sistema elettorale di tipo proporzionale i cui effetti finiscono per riprodurre i molteplici difetti caratteristici delle formule ibride.
Anche l’abbassamento della soglia di ingresso al 3% è riflesso della tendenza al rafforzamento dell’esecutivo che può trovare vantaggio dalla frammentazione dell’opposizione anche al fine di ottenere comode “sponde” in difficili passaggi parlamentari (ad esempio approvazione di leggi eticamente sensibili o di importanti manovre finanziarie oppure per trarre beneficio dal verificarsi di fenomeni di trasformismo parlamentare). Inoltre tale scelta ha rappresentato una utile concessione da parte del partito di maggioranza relativa nei confronti dei partiti minori della coalizione che sorreggono attualmente il governo.
I commentatori sono divisi fra quanti giudicano negativamente (per una pluralità di ragioni: mancato superamento delle obiezioni di incostituzionalità poste dalla sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale; riduzione del tasso di pluralismo del sistema democratico; incidenza sulla forma di governo delineata in Costituzione, ecc.) e quanti invece vedono positivamente la l. n. 52/2015, giacché favorirebbe stabilità e pluralismo facendo incamminare il sistema italiano sulla strada dei modelli di democrazia maggioritaria, con l’esplicito apprezzamento della previsione di un meccanismo di elezione diretta del Capo del Governo. Ma l’esperienza insegna che non si assicura la governabilità assegnando una artefatta maggioranza ad una forza politica comunque minoritaria nel Paese ed inoltre bisogna guardare con timore il rischio di una eccessiva concentrazione di potere nelle mani del primo ministro, senza la previsione di adeguati contrappesi istituzionali ed anzi con riduzione (se non con svuotamento) del ruolo del Presidente della Repubblica.
Da questo punto di vista appare non soddisfatto il principio posto dalla sentenza n. 1/2014 giacché il ballottaggio viene a costituire lo strumento tecnico che giustifica l’assegnazione della maggioranza dei seggi ad una forza minoritaria. La l. n. 52/2015 si rivela dunque come la risposta legislativa alla sentenza n. 1/2014 elaborata dalle forze politiche alle quali era gradita la disciplina posta dalla l. n. 270/2005 (ed infatti nonostante tutte le forze politiche concordassero nell’affermare la necessità di cambiare la legge elettorale, non si era mai giunti alla modifica della stessa prima della sentenza C. cost. n. 1/2014).
La domanda da porsi è dunque quella relativa alla capacità della l. n. 52/2015 di superare le diverse obiezioni di incostituzionalità. Il confronto fra la disciplina posta dalla l. n. 52/2015 ed il contenuto della sentenza n. 1/2014 conduce la dottrina ad esiti differenti. A quanti ritengono soddisfatti i rilievi sollevati dalla sentenza n. 1/2014 nei confronti della l. n. 270/2005, altri replicano ritenendo invece sempre sussistenti i difetti riscontrati nelle norme dichiarate incostituzionali. Nei confronti di queste ultime opinioni è da evidenziare che le stesse finiscono per presupporre una sorta di “costituzionalizzazione” del sistema elettorale di tipo proporzionale, mentre di certo i costituenti non hanno optato per tale esito (pur presupponendolo in molte disposizioni della Costituzione) e la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale di un sistema elettorale di tipo maggioritario (avendo infatti dichiarato incostituzionale la irragionevolezza della possibilità del conferimento del premio di maggioranza anche ad una lista che – pur essendo la più votata – abbia in concreto ottenuto una bassa percentuale di voti).
Secondo la Corte costituzionale, infatti, il meccanismo premiale non può essere foriero di una eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto non può consentire ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. Ma tramite il ballottaggio (si pensi a quanto avvenuto nelle elezioni del 2013) si finisce per “mascherare” l’identica situazione ritenuta dalla Corte contraria a Costituzione, giacché si viene ad avere il conferimento di un elevato premio di maggioranza ad una forza minoritaria: anziché porre un limite minimo (al di sotto del quale il conferimento del premio di maggioranza finisce per porsi sempre in contrasto con la Costituzione) la l. n. 52/2015 ha introdotto un meccanismo (ballottaggio e soglia del 40%) che continua ad assicurare operatività al principio del conferimento del premio di maggioranza, mentre la sentenza n. 1/2014 postula il principio che il premio possa anche (anzi debba) non essere conferito.
Da questo punto di vista sembrano permanere i vizi di incostituzionalità delineati dalla Corte costituzionale giacché l’attribuzione del premio di maggioranza in assenza di una ragionevole soglia di voti determina un’alterazione del circuito democratico basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, co. 2, Cost.). Pertanto, pur riconoscendo che quello della stabilità del Governo e dell’efficienza dei processi decisionali è un “obiettivo di rilievo costituzionale”, si deve ribadire che tale obiettivo deve rispettare il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti giacché è sulla rappresentanza democratica che (come ricorda la Corte costituzionale) «si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente», oltre alla adeguata previsione di adeguati contrappesi istituzionali.