AQUILIA, LEGGE
. Legge comiziale, anzi più propriamente plebiscito, noto a Cicerone (Pro Tull., 9) nel 76 a. C., anzi già noto al giurista M. Giunio Bruto (circa 150 a. C.: cfr. Dig. IX, 2, ad legem Aquiliam, 27, 22); probabilmente assai più antico, sia perché il capo II sembra anteriore al pieno riconoscimento dei contratti consensuali (Mommsen), sia per l'uso dell'espressione erus in luogo di dominus. La voluta attribuzione al 286 a. C., e la connessione con la terza secessione della plebe sul Gianicolo, si fondano su una tarda e incontrollabile affermazione di Teofilo (Par. gr. Inst. IV, 3, de lege Aquilia, 15).
La legge ebbe, a detta degli antichi e di Gaio in particolare (IV, 210 segg.), tre capi, dei quali il primo e il terzo contemplarono il delitto di danneggiamento (damnum iniuria datum). Precisamente, si contemplava, nel primo capo, il delitto di chi uccidesse hominem alienum alienamve quadrupedem, quae pecudum numero sit, punendolo nel massimo valore che il servo o animale avesse avuto entro l'ultimo anno precedente al delitto; nel terzo capo, il delitto di chi ferisse il servo o il pecus, uccidesse o ferisse ogni altro animale, o in genere bruciasse, spezzasse, danneggiasse cose altrui, punendolo nel massimo valore della cosa negli ultimi trenta giorni anteriori al delitto. L'una e l'altra pena si raddoppiava se il convenuto, in luogo di accettare un arbitro per la valutazione della cosa, negasse il delitto, costringendo l'attore a darne la prova (adversus infitiantem). Il secondo capo si riferiva invece al fatto dell'adstipulator (creditore aggiunto a una stipulazione principale) che avesse rimesso (accettilato) il debito in fraudem stipulatoris, obbligandolo a pagare il valore della prestazione mancata: come mai una tale disposizione, del tutto aberrante dal criterio del damnum corpore corpori datum, abbia potuto insinuarsi fra le altre due, si è invano tentato di spiegare; ma forse si può pensare che il capo III abbia origine posteriore, e si sia fuso coi primi due (per un nuovo atto legislativo o per opera della giurisprudenza) come in un testo unico.
Bibl.: Pighius, Annales urbis Romae, II, p. 230 segg.; E. Pais, St. di Roma, I, i, Torino 1898, p. 551, n. 3, p. 734; C. H. Monro, Digesta IX 2, Lex Aquilia, Cambridge 1898; Th. Mommsen, Röm. Strafrecht, Lipsia 1899, p. 825 segg., 837; C. Ferrini, Dir. pen. rom., in Pessina, Enciclop. del dir. pen., I, Milano 1905, p. 241 segg.; A. Pernice, Zur Lehre von den Sachbeschädigungen, Halle 1867, p. 19 segg.; H. F. Jolowicz, The original scope of the I. A., in Law Quart. Rev., XXXVIII (1922), p. 220 segg.; G. Rotondi, Leges publ. pop. Rom., Milano 1912, p. 241 seg. e in Rivista dir. comm., XIV (1916), i, p. 942 segg.; XV (1917), i, p. 236 segg. (Scr. giur., Milano 1922, II, p. 465 segg.); C. L. Kooiman, Fragm. iur. Quir., Amsterdam 1914, p. 140 segg.