Gys, Leda
Nome d'arte di Giselda Lombardi, attrice cinematografica, nata a Roma il 10 marzo1892 e morta ivi il 2 ottobre 1957. Difficile ricostruire pienamente la carriera di un'attrice che tra il 1913 e il 1929 interpretò circa ottanta film dei quali più della metà risultano perduti. Di una bellezza mediterranea e prorompente, fu una delle dive più amate. Contesa dalle maggiori società di produzione romane e napoletane, diretta dai principali registi dell'epoca, la G. ‒ lontana dall'ideale estetico di dive come Francesca Bertini ‒ diede vita a un personaggio ispirato più che alla vamp a Cenerentola, creando una galleria di figure verosimili, popolari, ricche di simpatia umana. Grazie a questa dimensione meno elitaria riuscì a sopravvivere alla grande crisi che all'inizio degli anni Venti cancellò il fenomeno divistico italiano e, nell'ultimo decennio del cinema muto, interpretò più film di qualunque altra attrice.
Nata in una famiglia della borghesia romana, la G., ventenne, ebbe modo di conoscere il poeta Trilussa: nacque una relazione che sarebbe durata sino al 1916. Fu il poeta, infatti, a trovarle il nome d'arte (anagramma di Giselda) e a introdurla alla Cines, dove era in corso un rinnovamento generazionale delle attrici: nel 1912 erano arrivate Francesca Bertini e Hesperia, nel 1913, contemporaneamente alla G., esordiva Pina Menichelli. L'esordio avvenne come coprotagonista di tre brevi film di Baldassarre Negroni, che vennero presentati simultaneamente: una storia d'amore, una commedia e un dramma, che dimostrarono le doti di eclettismo dell'attrice. Lavorando allo stesso tempo per la Cines e per la consociata Celio film, la G. prese parte nell'arco di un breve periodo a sei film, ancora di Negroni, tra cui il suo primo lungometraggio, uno dei capolavori del cinema muto italiano, Histoire d'un Pierrot (1914), pantomima musicata da Mario Costa e interpretata da Francesca Bertini ed Emilio Ghione. Nel 1915 iniziò la collaborazione con Mario Caserini, regista e produttore all'apice della carriera, che la diresse, in soli due anni, per ben dieci volte, esaltando le sue doti tragiche e aggiungendo al suo personaggio un aspetto moraleggiante, in film come La pantomima della morte (1915) o L'amor tuo mi redime (1915). Nella stessa direzione andò anche la sua prestazione nel kolossal Christus (1916): nel ruolo dell'Addolorata, la G., diretta da Giulio Antamoro, raggiunse un'intensità e una misura che entusiasmarono tutta la critica.Nel 1917, conclusi i sodalizi precedenti, la G. si impegnò in contratti a breve termine con alcune produzioni dalle ambizioni artistiche, trovando occasioni particolarmente interessanti in film come l'accurata riduzione da R. Bracco di La principessa (1917) di Camillo De Riso, commedia congeniale alla vena trasformista della G. che qui interpreta due ruoli, e La Bohème (1917) di Amleto Palermi, dov'è una trepida Mimì e conferma l'ormai raggiunta maturità espressiva. Come protagonista assoluta venne scritturata da un'importante società napoletana, la Polifilms, dove ritrovò Antamoro, che la diresse in cinque opere, dalle quali traspare chiaramente l'intenzione di trasformarla in una diva dannunziana, in un modello di donna fatale analogo a quello imposto negli anni precedenti sugli schermi dalle maggiori attrici, come Francesca Bertini o Pina Menichelli. Da Leda senza cigno (1918), tratto da G. D'Annunzio, a Il rifugio (1918), tratto da D. Niccodemi, a Una peccatrice (1918), da G. Verga, fu per la G. un susseguirsi di personaggi che pubblico e critica trovarono estranei al temperamento più genuino dell'interprete. Quando la Polifilms venne salvata dalla bancarotta da Gustavo Lombardo e trasformata nella Lombardo film, la G. fu rilanciata in una serie di lavori molto accurati in cui iniziava a emergere una vena popolare: Friquet (1919) e Scrollina (1920), entrambi di Gero Zambuto; Il miracolo (1920) di Mario Caserini; La pianista di Haynes (1921) di Ubaldo Maria Del Colle e, soprattutto, sempre di quest'ultimo, la trilogia I figli di nessuno (1921), melodramma pieno di coraggiosi spunti di critica sociale che è probabilmente la sua più struggente interpretazione.
Nella seconda metà degli anni Venti le qualità tipiche dell'attrice, la fresca spontaneità, l'ingenua semplicità del personaggio, furono abilmente valorizzate per rilanciare a livello industriale il genere 'napoletano', già coltivato in modo artigianale da piccole società di produzione partenopee al fine di sfruttare il successo delle canzoni che venivano lanciate ogni anno dalla celebre festa che si teneva a Piedigrotta. Vennero ripresi gli ambienti, i personaggi più tipici e anche il repertorio canoro, eseguito durante le proiezioni sotto lo schermo da cantanti e orchestre, per utilizzarli come cornice di vicende ben congegnate e narrate con attento senso dello spettacolo da registi di buon mestiere. Tra i maggiori successi registrati dalla G. in quest'ambito si ricordano Vedi Napule e po' mori! (1924), Napoli è una canzone (1927), Napule… e niente cchiù (1928), Rondine (1929), tutti di Eugenio Perego, e La madonnina dei marinari (1928) di Del Colle. Per l'attrice, comunque, questi film costituirono 'il canto del cigno', il culmine di un'attività artistica che, nonostante il successo, era andata progressivamente rallentando: l'attrice era divenuta la compagna di Lombardo e la cura del figlio Goffredo (che avrebbe raccolto l'eredità paterna) la indusse a ritirarsi dallo schermo proprio mentre finiva l'epoca del muto.