LECONTE DE LISLE, Charles-Marie-René
Poeta francese, nato il 22 ottobre 1818 a Saint-Paul (Isola della Riunione), morto il 17 luglio 1894 a Voisins (Louveciennes). Il padre, venuto dalla Bretagna, possedeva una ricca piantagione; la madre, creola, era oriunda della Linguadoca. Dai tre ai dieci anni il ragazzo fu a Nantes; poi alla Riunione fino ai 18 anni, continuando, sotto la guida del padre, gli studî cominciati in Francia, abbandonandosi alla lettura (W. Scott; Les Orientales) e all'incanto della natura meravigliosa. Dal 1837, tornato in Francia, seguì senza interesse gli studî giuridici a Rennes, tutto dato alla letteratura, ai saggi poetici. Dopo due anni passati in famiglia (1843-45), si stabilì definitivamente a Parigi, collaboratore al giornale "fourierista" La Démocratie pacifique e alla rivista La Phalange. Il suo giovanile amore per la libertà, l'umanitarismo romantico alla George Sand s'accordavano in parte con quei principî: del resto, egli rimaneva soprattutto artista, pur accomodando vagamente le sue poesie alle idee del gruppo falansteriano. Thalès Bernard, traduttore del Dizio0nario mitologico di Jacobi, e Louis Ménard, il "païen mystique", lo portarono a cercare più severamente quel mondo greco, di cui aveva solo il presentimento. Pure non abbandonò gl'ideali di libertà, che la rivoluzione del '48 parve attuare: caldeggiò il decreto che aboliva la schiavitù dei Negri nelle isole, con danno della sua famiglia; fu delegato in Bretagna a preparare le elezioni. Vennero le delusioni politiche, i giorni tristi, la miseria, ed egli visse dando lezioni di greco e latino. Il colpo di stato lo rinchiuse nell'attività artistica. I Poèmes antiques (1852), i Poèmes et Poésies (1855), le Poésies barbares (1862) - nelle ristampe i tre volumi si raccolsero in due, Poèmes antiques e Poèmes barbares - sono tappe sulla via della gloria, se non della popolarità: egli allora apparve maestro ai giovani che stavano per formare il Parnasse. Gli orrori della Comune, da lui detestati, non alterarono le sue convinzioni repubblicane e anticristiane (Histoire populaire du Christianisme, 1871; Histoire populaire de la Révolution franåaise, 1871; Catéchisme populaire républicain; 1872). L'ufficio di sottobibliotecario al Senato, dal 1872, gli assicurò vita tranquilla. All'opera originale accompagnò versioni acutamente letterali: Théocrite et Odes anacréontiques (1861), Iliade (1866), Odyssée (1867), Hésiode, Les Hymnes orphiques (1869), Eschyle (1872), Horace (1873), Sophocle (1877), Euripide (1885). Les Érinnyes, dall'Orestiade, furono rappresentate all'Odéon nel 1873 e accolte nei Poèmes tragiques (1884). Un altro dramma, L'Apollonide, uscì nel 1888, poi nei Derniers poèmes (postumi, 1895). Dal 1885 L. occupava all'Académie française il seggio di Victor Hugo.
I quattro volumi dei Poèmes raccolgono l'opera essenziale di L., una delle più alte affermazioni della poesia francese nell'Ottocento. Saldamente unita nell'ispirazione, è come una "leggenda dei secoli", grandi quadri potenti, che austeramente dicono il destino umano. Nelle religioni l'uomo ha espresso "le forme ideali dei suoi sogni e delle sue speranze": tutte sono cadute, da quelle solenni dell'Oriente a quelle strane dell'Europa del Nord, della Polinesia; così anche l'ultima cadrà. Alla religione greca, in cui si manifesta il più bello di quei sogni, L. dedica i canti più luminosi, fervidi d'entusiasmo, gravi di rimpianto per il tramonto degli dei, il martirio di Ipazia. La condanna più severa è per il Geova ebraico, per il cristianesimo, soprattutto per il cattolicismo medievale e feroce. La storia millenaria dimostra la miseria, l'abiezione dell'uomo: violenze inaudite nell'Oriente, passioni delittuose anche nell'Ellade, truci barbarie nel Medioevo, banale decadenza nell'età presente. E la natura, fiera, lussureggiante, ove s'accampano gli animali belli e feroci, è calma nella sua splendida indifferenza al dolore umano. Ma il pessimismo di L. - spiegabile per la vita dura, le delusioni ideali sue e della sua generazione, l'influsso del pensiero contemporaneo - trova conforto nell'aspetto della natura, nel dissolversi in essa, pregustando l'annientamento finale, nella saggezza panteistica, persuasa della universale illusione. Non si può dire impassibilità la ricerca della storia umana, della verità più desolata e certa, l'amore per la terra natale, per i grandi beni della vita: la bellezza, la libertà, la patria. Impersonale vuol essere la forma, per cui L., superando il facile romanticismo, si vieta le effusioni, e, convinto del sacro ministero del poeta, con vasto afflato canta la pena secolare degli uomini. È, nei momenti più felici, l'impersonalità dei classici: nella forma bronzea, impeccabile, scorre il fremito del cuore e della musica segreta. È la voce poetica del più nobile pensiero dopo la metà dell'Ottocento, dicendone l'austera aspirazione alla verità, accettata come solo pregio della vita.
Ediz.: Le opere di L. sono pubblicate da A. Lemerre, a Parigi. Da aggiungersi a quelle citate: Premières poesies et lettres intimes (1838-40), Parigi 1902; Contes en prose, Impressions de jeunesse (1848-50), 1911.
Bibl.: F. Calmettes, L. de L. et ses amis, Parigi 1901; A. Galletti, in Studi di lett. straniere, Verona 1903; M.-A. Leblond, L. de L. d'après des documents nouveaux, Parigi 1906; J. Vianey, Les sources de L. de L., Parigi-Montpellier 1907; J. Dornis, Essai sur L. de L., Parigi 1909; L. F. Benedetto, L'Hélène de L. de L., in Mélange Picot, ivi 1913; F.-E. Avalle, L. de L., Cremona 1920; E. Estève, L. de L., l'homme et l'œuvre, Parigi 1923; P. Flottes, Le poète L. de L., ivi 1930.