LEBBRA (lat. lepra; fr. lèpre, ladrerie; sp. mal de San Lázaro; ted. Aussatz; ingl. leprosy)
Malattia infettiva, trasmissibile, a decorso cronico con esito generalmente mortale.
Cenni storici. - La lebbra è fra le malattie più conosciute fino dalla remota antichità. Forse sotto lo stesso nome si comprendevano affezioni diverse, ma descrizioni attendibili della malattia si hanno da fonte cinese, indiana, egizia ed ebraica. Non è possibile decidere se il popolo ebraico avesse contratto o importato la lebbra in Egitto, se lo Zaraath della Bibbia debba identificarsi sempre con la malattia, ma non v'ha dubbio che le rappresentazioni bibliche della lebbra e soprattutto le dure, inesorabili disposizioni relative all'esclusione dei lebbrosi dalla comunità, contribuirono a mantenere quel senso di terrore, spesso puerile, di fronte a malattie cutanee anche le più innocue.
Si ha ragione di ritenere che la malattia non fosse generalmente conosciuta in Grecia al tempo d'Ippocrate. Sotto il nome di lepra egli ha descritto malattie cutanee a tipo squamoso, come l'eczema, la psoriasi, ecc., mentre chiari cenni della malattia, che dai Greci fu denominata elefantiasi, si trovano successivamente in Aristotele, Strabone, Cornelio Celso, Galeno, Plinio secondo, Areteo, ecc. Seguirono descrizioni piuttosto poco chiare, finché al tempo della grave epidemia medievale comparvero di nuovo osservazioni precise, soprattutto per opera dei medici arabi.
Possiamo in ogni modo ritenere che la Cina, l'India, l'Egitto abbiano costituito nei tempi più antichi le tre grandi sorgenti dalle quali nei tempi successivi la lebbra s'è andata estendendo per tutto il mondo, favorita nella sua marcia lenta, ma progressiva, dalle emigrazioni, dagli scambî commerciali dei popoli (Fenici), dalle guerre (persiane, puniche), dal commercio degli schiavi, ecc. Nei secoli prima di Cristo dall'Asia e forse dall'Egitto la malattia lentamente ragggiungeva le regioni mediterranee e i paesi occidentali, donde invadeva successivamente tutta l'Europa. La sua progressiva diffusione provocava l'emanazione di severe misure profilattiche (sinodi di Orléans, Rotari, Pipino, Carlo il Grosso) e determinava l'apertura di numerosi asili per i lebbrosi. Nel sec. IX la malattia compariva in Irlanda, nell'XI in Norvegia, nel XII in Danimarca, nella Svezia e nell'Islanda. Nel XIII può dirsi che la lebbra avesse raggiunto la sua maggiore diffusione in Europa. Si è data grande importanza alle crociate, che stabilirono contatti sempre rinnovati fra l'Occidente e l'Oriente, rimasto un intenso focolaio della malattia; e prima favorirono il contagio la miseria e la desolazione dell'Europa alla fine dell'impero romano. Nei secoli successivi, contemporaneamente al comparire della pandemia della sifilide, i casi di lebbra si fecero sempre più rari, ma nel sec. XVIII si registrò una nuova esplosione della malattia nelle regioni tropicali e il risveglio di alcuni limitati focolai nella Francia, nella Prussia orientale, nella Svizzera, nella Bosnia, in Italia e nella Spagna. Nel sec. XIX si stabilirono le basi della moderna dottrina sulla lebbra riguardo alla clinica, l'anatomia patologim, la batteriologia, la terapia e la profilassi, per opera di D. C. Danielssen. K. W. Boeck, A. Hansen, R. Virchow, A. Neisser, H. P. Lie, ecc. Al problema della lebbra, dal punto di vista scientifico, medico e sociale, diede validissimo contributo l'opera altamente meritoria dei missionarî.
Distribuzione geografica. - Il numero totale dei lebbrosi nel mondo, secondo la statistica di L. Rogers e F. Hoffmann, sarebbe di circa tre milioni; oltre due milioni nell'Asia (India e Cina meridionale), cinquecentomila in Africa, trentamila in America, circa settemila in Europa. La malattia è scomparsa dalla Danimarca e in via di progressiva diminuzione nella penisola scandinava, soprattutto in Norvegia. Esistono tuttora focolai in Irlanda, in Finlandia, negli Stati Baltici, in Russia, Iugoslavia, Romania, nelle regioni del basso Danubio, in Turchia, in Grecia, in Creta, in Spagna, in Portogallo, in Germania, in Francia. In alcuni paesi (Belgio, inghilterra) esistono solo varî casi d'importazione. In Italia, secondo il censimento sanitario del 1930, il numero dei lebbrosi ammonterebbe a 312 (focolai endemici in Sardegna, in Sicilia, in Puglia, in Liguria, e casi di origine esotica in emigrati reduci dall'America Meridionale).
Etiologia. - L'agente patogeno della lebbra è un microrganismo scoperto da A. Hansen nel 1871 nel tessuto di noduli cutanei, successivamente dimostrato da A. Neisser oltre che nelle lesioni cutanee, in lesioni del fegato, della milza, del testicolo, delle ghiandole linfatiche.
Si tratta di un bacillo avente la forma di un bastoncino della grossezza di 0,35, 0,45 μ della lunghezza da 4 a 6 μ. Nel materiale di esame può presentarsi isolato, ovvero riunito in ammassi caratteristici a mazzo di sigaro. Appartiene al gruppo degli acido-resistenti e ha per questo grandi analogie col bacillo della tubercolosi, dal quale non è sempre facile a distinguersi. Sono state descritte variazioni morfologiche (forme granulari), tintoriali (scarsamente o non acido-resistenti) in rapporto alla fase clinica di quiete o di attività della malattia o alle eventuali influenze terapeutiche e si sono proposti metodi particolari di colorazione di non sicura valutazione per distinguere eventualmente i bacilli ancora viventi da quelli morti. Da alcuni autori si ritiene probabile anche una forma filtrante analoga a quella supposta per il bacillo tubercolare.
I risultati delle numerosissime ricerche intese a coltivare artificialmente il bacillo della lebbra non possono considerarsi finora come assolutamente dimostrativi. Sia con materiale prelevato da malati affetti da lepra tuberosa florida, quindi più ricca di bacilli, sia con le colture dei varî germi isolati, sono stati inoculati animali di varia specie; i risultati in alcuni casi sono riusciti assolutamente negativi, in altri s'è avuta sopravvivenza locale più o meno prolungata di germi, costituzione di un tessuto di granulazione più o meno simile a quello leproso. Verosimilmente il determinarsi di lesioni leprose negli organi richiede un lunghissimo tempo e gli animali da esperimento non vivono sufficientemente a lungo per un controllo definitivo. Inoculazioni sperimentali di materiale leproso sono state praticate da autori diversi anche nell'uomo (D. C. Danielssen inoculò sé stesso varie volte) e nella grandissima maggioranza dei casi con esito negativo. Si citano tuttavia fatti di trasmissione.
Lebbra degli animali. - Sono state descritte in alcuni animali (uccelli, vitelli, ratti, pecore) delle malattie le quali presentano analogie con la lebbra umana dal punto di vista clinico e soprattutto da quello batteriologico, come la lepra murina, lebbra dei ratti (malattia di Stefansky) studiata in modo particolare da E. Marchoux; ma allo stato attuale delle nostre conoscenze non possiamo concludere che le due malattie siano identiche fra loro.
Trasmissione della malattia. - La contagiosità della lebbra, indiscussa in passato, fu messa in dubbio soprattutto nel secolo XIX; così Zambaco Pascià ammise solo la trasmissione ereditaria della malattia. Attualmente non si può escludere la possibilità di una origine congenita, per passaggio di germi dalla madre al feto, specialmente ammettendo l'esistenza di forme filtranti, ma la trasmissione più comune è quella per contagio di cui ignoriamo il preciso determinismo (predisposizioni o resistenze particolari in rapporto alla razza, alla regione, al clima, al terreno, all'umidità atmosferica, all'alimentazione, ecc.; possibilità di agenti trasmettitori della malattia); certamente la malattia è contagiosa soprattutto nel suo ambiente, ma non lo è in modo costante né proporzionato alla quantità di germi emessi da alcuni ammalati. La durata, talora lunghissima, del periodo d'incubazione (in media dai due, tre ai trenta anni) rende difficile a risolvere la questione se i portatori di bacilli (nel muco nasale o nelle ghiandole linfatiche) siano da considerarsi come ospiti transitorî non recettivi, ovvero come candidati all'infezione; evidentemente non tutti i contagiati divengono ammalati. Un'altra questione pure non ancora chiarita è quella riguardante la via d'ingresso dell'infezione, e l'eventuale costituzione di una lesione primitiva al punto d'inoculazione, analogamente a quanto si osserva nella sifilide. Alcuni sostengono che la via più comune debba essere la cute, specialmente sulle parti scoperte, e tanto più facilmente quando essa presenti, per ragioni varie, soluzioni di continuità; altri ammettono che la via più facile sia costituita dalle mucose e in particolare da quella nasale, ov'è possibile avere un reperto precoce di bacilli. Appare indubitato che i bacilli possano, traverso la cute o le mucose, entrare direttamente nel sangue, senza provocare una lesione locale clinicamente apprezzabile (infezione d'emblée); ma può darsi che i bacilli determinino, nel punto d'innesto, delle lesioni aventi il valore di lepromi iniziali, quantunque resti sempre difficile la loro determinazione, soprattutto per il lungo periodo d'incubazione, per la loro lenta evoluzione, generalmente scompagnata da disturbi soggettivi.
Sono state descritte lesioni iniziali cutanee, costituite da chiazze più o meno grandi, rotondeggianti, di aspetto eritematoso, più raramente orticariano eczematoso e psoriasiforme, le quali dimostrano un'evoluzione lentissima potendo rimanere invariate per lungo tempo ovvero accrescersi lentissimamente alla periferia, mentre la parte centrale diviene leggermente acromica e atrofica e presenta, più o meno sollecitamente, disturbi della sensibilità fino all'anestesia completa. Dati meno sicuri si hanno sulle eventuali lesioni iniziali delle mucose del naso (rinite, ulcerazioni?) o della bocca, o della faringe, o dei nervi periferici (nevrite ascendente?). Tuttavia in circa tre quarti dei casi l'affezione primaria non è rilevabile, o perché è mancata o perché è da lungo tempo scomparsa. Non è possibile dai caratteri di queste lesioni primarie determinare sicuramente la successiva forma clinica dell'infezione leprosa, quantunque, in generale, alla forma prevalentemente eritematosa succeda la lebbra tuberosa, e a quella prevalentemente discromica la lebbra nervosa.
Comunque, quando si sia costituita l'infezione e abbia luogo una riproduzione attiva dei bacilli, questi possono diffondersi all'intorno, per contiguità nei tessuti, ovvero penetrano nel torrente linfatico e sanguigno, donde possono invadere tutti gli apparati, dei quali certamente i più colpiti sono l'apparato cutaneo, il sistema nervoso e l'apparato linfatico. Non esiste un rapporto costante tra gravità, estensione di lesioni anatomiche e presenza e numero di bacilli, potendosi ritrovare alterazioni tissurali senza reperto di microrganismi e presenza di questi senza notevoli alterazioni anatomiche. Queste possono essere determinate dai microrganismi, o per azione di massa, quando sono numerosi, o per la loro attività patogena particolare di organismi viventi, o per sostanze derivate dai corpi bacillari vivi o morti, ad azione tossica, e sono rappresentate, oltre che da infiammazioni aspecifiche, dal granuloma leproso costituito da elementi di origine istiocitaria, plasmacellule, linfociti e caratterizzato dalle cosiddette "cellule leprose" contenenti bacilli, nonché da alterazioni a tipo tubercoloide. Nel determinismo di queste alterazioni esercitano forse una parte non indifferente le reazioni allergiche immunitarie tissurali e umorali.
Sintomatologia clinica. - Dopo il periodo d'incubazione, di durata molto variabile, di solito molto lungo, nella maggioranza dei casi, l'infezione è segnata da un periodo più o meno breve d'invasione (astenia, mal di testa, anemia, malessere, rachialgia, febbre, epistassi, dolori nevralgici, ecc.), ovvero, senza accompagnamento di fenomeni soggettivi, compaiono le prime alterazioni cutanee, costituite da eritemi, da macchie pigmentarie ed eventualmente da forme bollose.
Gli eritemi possono essere: limitati o diffusi, alcuni a tipo erisipeloide, a decorso acuto accompagnati da fenomeni subiettivi, altri a decorso cronico, di grandezza varia da una lenticchia al palmo di una mano, rotondeggianti, a striscia, a carta geografica, di un colorito pure vario dal rosso vivace al rosso cupo, cianotico, bruno, possono perdurare a lungo o risolversi assai sollecitamente, residuando delle macchie ipercromiche o acromiche. Queste macchie pigmentarie possono comparire anche primitivamente come colorazioni particolari della cute in giallo, bruno, caffè e latte, bronzino, nero; ovvero come chiazze apigmentate di un colorito biancastro, circondate o meno da un margine più scuro come nella vitiligine.
A queste lesioni prodromiche possono succedere le manifestazioni che caratterizzano le due forme cliniche principali: la lebbra tuberosa e la lebbra nervosa.
Lebbra tuberosa. - È caratterizzata dall'immediata e lunga preminenza delle lesioni cutanee, le quali hanno come substrato anatomico un'infiltrazione granulomatosa, più o meno ricca di bacilli e assumono apparenze morfologiche quanto mai varie.
Le più caratteristiche sono costituite dai noduli leprosi, di volume vario, da un chicco di canapa a un uovo, di colorito rosso bruno rameico o giallo fulvo, di consistenza pure varia. È rara l'insorgenza dei noduli senza alterazioni precedenti. Di solito essi compaiono sulle chiazze eritematose e discromiche, o contemporaneamente a queste, scarsi o numerosi; possono rimanere isolati o riunirsi, fondersi insieme fino a costituire degli infiltrati più o meno estesi. Questi si localizzano di preferenza alla faccia, specialmente alla fronte, alle arcate sopraccigliari, ove determinano la caduta dei peli, al naso, alle guance, alle labbra, e imprimono al malato quell'aspetto caratteristico (facies leonina) che rende ogni paziente simile all'altro. Neoformazioni nodulari possono localizzarsi, di preferenza sui padiglioni degli orecchi, specialmente ai lobuli, agli arti con predilezione delle parti estensorie (gomiti, ginocchi) e delle estremità, dove, soprattutto alle mani, possono determinarsi tumefazioni massive, di colore violaceo, a tipo elefantiasico, per infiltrazioni diffuse accompagnate da stasi emolinfatica. Tutte queste infiltrazioni nodulari possono talvolta, nelle loro diverse apparenze morfologiche, nelle varie modalità d'aggruppamento e di disposizione, simulare malattie di natura diversa e non solo quelle a base granulomatosa (sifilide, tubercolosi, micosi), ma anche dermatosi comuni quali l'eczema, il lichen, la psoriasi, ecc. Le formazioni nodulari possono perdurare a lungo senza particolare risentimento subiettivo, ma con progressiva alterazione locale della sensibilità, che da un'ipoestesia termica e dolorifica può arrivare fino a un'anestesia completa. Possono talora risolversi spontaneamente, residuando delle chiazze a tipo atrofico cicatriziale o sclerodermico, ovvero possono andare incontro a un processo di degenerazione, per cui s'aprono all'esterno. Si costituiscono così, specialmente alle estremità, delle ulcerazioni più o meno scavate, a fondo purulento o necrotico, generalmente a decorso torpido e che lentissimamente si riparano con tessuto di cicatrice. Infiltrazioni nodulari o diffuse possono svilupparsi nella mucosa del naso, dove possono determinarsi ulcerazioni con conseguente distruzione del setto, nel cavo buccale, sulle tonsille, sul palato, nella faringe e nella laringe. Per le lesioni stesse e per la successiva lenta evoluzione in sclerosi cicatriziale, possono determinarsi deformazioni, retrazioni, restringimenti, capaci di ostacolare la respirazione, la deglutizione e la fonazione (voce rauca dei lebbrosi). Il quadro eminentemente torpido della sintomatologia cutanea nella lebbra tuberosa, può essere interrotto qualche volta dall'insorgenza di lesioni a decorso acuto, a tipo di erisipela, di eritema polimorfo, di eritema nodoso, generalmente accompagnate da febbre, di durata non lunga, cui succede talora o la risoluzione di forme nodulari preesistenti, o la comparsa di forme nuove.
Oltre che nella cute, possono aversi nella lebbra tuberosa alterazioni a carico di altri organi e sistemi. Fra questi l'apparato linfatico le cui ghiandole possono costituire ricettacolo dei bacilli anche per lungo tempo, in assenza di sintomi clinici (lebbra latente). Possono aversi tumefazioni ghiandolari inguinali, crurali, ascellari, cervicali ed eventualmente peribronchiali, mesenteriche, retroperitoneali.
Nel sistema osseo possono aversi, a carico specialmente delle ossa lunghe, fatti di periostite, di osteite, osteomielite ed eventualmente, nella forma mista, i fatti di atrofia e di riassorbimento caratteristici e più comuni nella lebbra nervosa.
Importanti sono le lesioni dell'apparato genitale, colpito più frequentemente nell'uomo. Oltre alle lesioni tegumentarie, interessanti la guaina della verga, il glande, lo scroto, possono aversi lesioni a carico del didimo e dell'epididimo, coinvolti il più spesso in un'infiltrazione, la quale, evolvendo lentamente e silenziosamente, finisce per trasformare il testicolo in una massa di tessuto sclerotico, con conseguente azoospermia e impotenza, quando sono interessati ambedue gli organi. Assai più rara è la compromissione dei genitali femminili, dei quali specialmente l'ovaia può essere colpita, con conseguente atrofia. Queste compromissioni delle ghiandole genitali hanno una notevole importanza per la minorazione o soppressione della loro secrezione interna, che può avere conseguenze generali per l'organismo. Meno chiarita appare la loro importanza nei riguardi d'una possibile trasmissione germinativa della malattia.
Assai frequenti sono le lesioni a carico dell'occhio, colpito specialmente nel suo emisfero anteriore, ove possono riscontrarsi infiltrazioni nodulari a carico della congiuntiva, della cornea e dell'iride e anche nelle sue parti piu profonde, con conseguenze talora gravissime per la visione.
Per quanto riguarda gli organi interni, meno facilmente si riscontrano sintomi di turbata loro funzione nel decorso della malattia. Quantunque le loro alterazioni, eventualmente rilevate all'esame clinico e più spesso constatate al tavolo anatomico, debbano essere accuratamente valutate dal punto di vista della patogenesi, per la possibile compartecipazione di altre malattie non raramente associate all'infezione lebbrosa, quali la malaria, la sifilide e la tuberculosi; nondimeno possono aversi lesioni a carico dei polmoni, del fegato, della milza, dell'intestino e dei reni.
Benché le lesioni del sistema nervoso prevalgano e dominino nel quadro della forma maculo-anestetica, nondimeno possono aversi anche nella forma tuberosa soprattutto a carico dei nervi periferici cranici e spinali, fra i quali il più frequentemente colpito è il cubitale. Possono aversi, più o meno precocemente, disturbi della sensibilità (dalla iperestesia all'anestesia) oltreché sulle formazioni nodulari, anche sulla cute apparentemente non interessata, ed eventualmente paralisi, atrofie muscolari, distrofie varie, ecc. L'accentuarsi di questi disturbi a carico del sistema nervoso può essere l'espressione di un passaggio dalla forma clinica della lebbra tuberosa alla cosiddetta lebbra mista o a quella nervosa.
Non tutti i casi di lebbra tuberosa decorrono nello stesso modo. In alcuni casi, più rari, può aversi un decorso acuto, contraddistinto da eruzioni ravvicinate, subentranti di forme nodulari, più o meno numerose, più o meno tendenti all'ulcerazione, accompagnate da febbre alta di vario tipo, con risentimento generale, successiva insorgenza di complicanze viscerali a carico dei polmoni, dei reni, dell'intestino, con esito letale nello spazio di pochi mesi.
Di solito il decorso è cronico, e si prolunga per molti anni. Le forme nodulari in atto possono rimanere stazionarie per lungo tempo, ovvero diffondersi lentamente con scarsi esemplari, compatibilmente con uno stato generale buono, talora ottimo. Possono aversi, a intervalli più o meno lunghi, attacchi acuti che possono segnare un aggravamento della malattia ovvero lasciare periodi di sosta con apparenza di guarigione. Nei casi più disgraziati le alterazioni cutanee si fanno sempre più gravi e più estese, riducendo i pazienti in uno stato veramente miserando, finché la morte non li coglie per una malattia acuta intercorrente o per un aggravarsi delle localizzazioni viscerali.
Lebbra nervosa. - Appartengono a questa forma quei casi nei quali le alterazioni leprose si sviluppano quasi esclusivamente o principalmente nei nervi. Si distingue dalla forma tuberosa per la scarsità di reperto dei bacilli, sia pure possibili a riscontrarsi, nei nervi o in altri organi, e per il fatto che, almeno in un tempo precoce, non si sviluppano neoformazioni a tipo nodulare. Possono aversi nella lebbra nervosa gli stessi sintomi prodromici e le stesse lesioni cutanee iniziali che nella forma tuberosa, rappresentate da chiazze eritematose o maculatose generalmente più estese e più simmetriche, localizzate di preferenza alla superficie estensoria degli arti, in corrispondenza delle quali si stabiliscono sollecitamente disturbi della sensibilità contraddistinti da un'iperestesia iniziale seguita da ipo- e anestesia. Possono aversi altresì frequentemente e precocemente, oltre alle macchie, eruzioni di elementi bollosi, varî di numero, volume e forma, localizzate di preferenza alle mani, ai piedi, ai ginocchi (pemfigo leproso) a contenuto sieroso, sieroemorragico. Queste forme bollose, più o meno sollecitamente, si rompono, residuando così una perdita di sostanza, più o meno profonda, più o meno lentamente riparabile, talora a fondo necrotico (pemfigo escarotico) con successione di ulcerazioni torpide e di lunga durata. Alla riparazione di queste forme può succedere o una semplice macchia ipercromica o acromica, o una cicatrice bianca, liscia, generalmente anestetica. Può aversi, a carico della cute, caduta dei peli, che s'inizia alla coda del sopracciglio, ma che può eventualmente diffondersi ad altre regioni. Tuttavia, come già s'è detto, predominano in questa forma le alterazioni a carico del sistema nervoso interessato soprattutto nella parte periferica (nervi cranici, nervi spinali, polinevrite ascendente). Scarse, d'incerta valutazione, sono le alterazioni rilevate a carico del cervello, del midollo spinale, delle meningi. Le alterazioni a carico dei nervi, di cui alcuni, come il cubitale, possono apprezzarsi come cordoni infiltrati, si rivelano clinicamente in disturbi della sensibilità, della motilità e del trofismo.
A un primo periodo in cui prevalgono le iperestesie e le parestesie, per cui i malati si lagnano di dolori, più o meno vivi, di senso d'intormentimento, di formicolio, di parte morta, specialmente alle estremità, succedono le anestesie, che possono essere disseminate, in corrispondenza degli eritemi, delle macchie acromiche, ipercromiche, delle cicatrici successive alle forme bollose, e anche in aree di cute clinicamente indenne, ovvero sistematizzate e localizzate alle estremità, disposte a strisce, a manicotto e nettamente diffondentisi dalle estremità alle radici degli arti. Di solito, all'inizio, l'anestesia è dissociata: scompare per prima la sensibilità termica, poi la dolorifica e in ultima la tattile. È accaduto così che dei malati accostatisi inavvertitamente a una fiamma si siano ustionati senza accorgersene. La dissociazione della sensibilità può perdurare più o meno a lungo nelle varie parti della cute interessata, prima di raggiungere l'anestesia completa.
Per quanto riguarda le alterazioni del trofismo, sono da ricordarsi le atrofie che colpiscono con predilezione alcuni gruppi muscolari: alla faccia i muscoli delle palpebre, con conseguente lagoftalmo ed eventuali alterazioni oculari secondarie, i muscoli della fronte e delle guance, per cui la faccia stessa perde i suoi atteggiamenti mimici, assumendo l'aspetto di una maschera senza espressione (facies antonina). Agli arti superiori sono colpiti di preferenza i muscoli della mano (eminenze tenar, ipotenar), gl'interossei con conseguente deformazione e limitazioni di movimenti. Alterazioni simili possono aversi anche agli arti inferiori, dove, alla faccia plantare, possono determinarsi fatti ulcerativi più o meno profondi e duraturi (mal perforante plantare). In forme più avanzate il processo di atrofia può estendersi alle parti molli, alle ossa, determinando assorbimento delle stesse, con conseguenti mutilazioni più o meno gravi ed estese.
Anche nella lebbra nervosa il decorso può essere vario. Vi sono dei casi nei quali le lesioni limitate, senza notevoli disturbi soggettivi, consentono una vita anche lunghissima e la morte può avvenire per una malattia intercorrente; in altri, più disgraziati, si ha un aggravarsi progressivo dei fatti paralitici, distrofico-ulcerativi, con depressione marcata di tutte le funzioni organiche, malgrado la permanente integrità della psiche, per cui, secondo la giusta espressione di Danielssen, il corpo è già da lungo tempo morto, prima che il malato muoia, o per marasma, o per qualche complicazione.
Lebbra mista. - È la forma nella quale si ha l'insorgenza contemporanea di lesioni cutanee e nervose, ovvero la successione di una forma tuberosa a una nervosa o viceversa.
Lebbra tubercoloide. - Comprende, secondo J. Jadassohn, alcune forme particolari, clinicamente rappresentate da macule più o meno infiltrate, da formazioni nodulari tipo lupoide, con struttura istologica a tipo tubercolare, e messe in rapporto con un particolare stato allergico della cute.
La prognosi della lebbra è grave, ma non assolutamente senza speranza; secondo E. Muir la malattia in alcuni casi può guarire anche spontaneamente. La prognosi dovrà farsi caso per caso, e potrà essere tanto più favorevole, quanto più la malattia sarà scoperta sollecitamente, quanto più l'individuo colpito sarà immune da altre malattie e quanto più completamente potrà valersi di tutte le risorse terapeutiche e igieniche.
Nella diagnosi della lebbra, dato il grande polimorfismo delle lesioni cutanee, in molti casi può essere necessaria una diagnosi differenziale con altre e varie malattie quali la psoriasi, il lichen ruber, l'eczema, la sifilide, la tubercolosi, la dermatomicosi, la pellagra, la sclerodermia, la siringomielia, ecc. S'è cercato di trarre un aiuto per la diagnosi da alcune prove biologiche, da eventuali reazioni allergiche locali e generali, dall'inoculazione intracutanea e sottocutanea di preparati specifici e aspecifici (leprina, nastina, tubercolina, vaccini varî), dalle reazioni di fissazione del complemento con antigeni leprosi, tubercolari, sifilitici (reazione di Wassermann), e da altre prove particolari: albuminoreazione del muco nasale, reazione di Rubino, reazione al formolo, reazione meiostagminica; quantunque queste reazioni possano, nei casi in cui sono positive, portare un appoggio alla diagnosi, non potrebbero costituire da sole un elemento diagnostico di valore assoluto. La prova più importante e più convincente è rappresentata dalla dimostrazione sicura dei bacilli sia nel muco nasale, sia nei prodotti di scarificazione delle lesioni cutanee ovvero nel liquido di puntura delle ghiandole linfatiche accessibili. Di fronte a risultati negativi, in casi sospetti, sarà utile la somministrazione preventiva di ioduro di potassio.
Cardini fondamentali della cura sono la precocità, l'intensità, la durata e la varietà, avendo di mira non solo la malattia, ma il malato; prefiggendosi così il compito di rialzarne le energie difensive, eliminando eventuali malattie intercorrenti e curando al massimo l'igiene.
Rimedî dotati di sicura azione specifica, quali abbiamo per altre malattie, come la sifilide, fino a oggi non si conoscono. Tuttavia tiene ancora il primato, quale agente terapeutico dotato di evidente efficacia, l'olio di Chaulmobgra estratto dai semi di piante appartenenti al genere Hydnocarpus, Gynocardia, ecc., che può somministrarsi o per via orale o per via ipodermica, solo o unito ad altri elementi, quali l'eucaliptolo, il gomenolo, il guaiacolo destinati a correggere il dolore e la reazione locale, e anche per via endovenosa. Largo impiego hanno avuto alcuni derivati, quali l'antileprol Bayer, l'antileprina Valenti, i ginocardati sodici di Rogers, ecc. Sono stati largamente impiegati con maggiore o minor beneficio, preparati di arsenico, mercurio, rame, antimonio, bismuto, oro, piombo, terre rare, ecc. Si è ricorso anche alla cosiddetta proteinoterapia, nonché all'impiego di sieri (siero di Carasquilla) o di preparazioni a tipo vaccinico costituite da emulsioni di bacilli ottenute da tessuto leproso o dalle colture. Nella lebbra tuberosa si può ricorrere alla terapia locale per distruggere formazioni nodulari, che siano per il malato tormentose o deturpanti e anche allo scopo di far riparare lesioni ricche di bacilli. Alle antiche pratiche chirurgiche e medicamentose (asportazione, raschiamento, causticazione) si sono sostituite applicazioni fisiche di neve, di acido carbonico, di raggi Rontgen, di radium, e talora con notevole vantaggio.
Profilassi. - La difesa sanitaria contro la lebbra fino dai tempi più antichi, s'è imperniata sulla segregazione dalle comunità degli individui ammalati, resi così doppiamente infelici per l'infermità e per le crudeli misure persecutorie cui venivano sottoposti. Considerati, secondo le ispirazioni bibliche, come impuri, come peccatori, i quali portavano impressi alla vista di tutti, i segni del castigo divino, nel Medioevo essi venivano condannati come morti agli effetti civili. Rivestiti di abiti speciali, dovevano starsene fuori dalle porte delle città, lontani dai mercati e da ogni ritrovo pubblico, costretti a portare una specie di nacchera, che nel camminare mandava un suono particolare, al fine di allontanare da loro le persone sane.
Col progredire della malattia in Europa, aperti ovunque numerosi leprosarî, i poveri infermi vi venivano rinchiusi in segregazione completa e perpetua, senza essere sottoposti ad alcuna cura medica particolare. Non mancarono tuttavia iniziative di assistenza pietosa da parte soprattutto di religiosi e di monarchi. Papa Damaso II fondava l'Ordine dei cavalieri di S. Lazzaro, riuniti più tardi agli Ordini militari di Nostra Signora del Carmelo e di S. Maurizio e destinati alla cura dei lebbrosi. Alcuni asili, specialmente in Francia, furono riccamente dotati di rendite, che divennero in seguito fonte di abusi, quando col progressivo decrescere della pandemia quasi tutti gli asili furono chiusi.
Tutti i varî aspetti ed episodî della pandemia che, come un flagello di Dio, aveva colpito l'umanità, dovevano fornire ispirazioni artistiche a letterati e soprattutto ai pittori, come dimostrano numerosi dipinti che ci sono rimasti della scuola italiana (Giotto, Masaccio, Botticelli, Andrea Del Sarto), tedesca (Holbein, Dürer, Burgkmair), fiamminga-olandese (van Orley, Rubens).
La profilassi della lebbra è tornata nuovamente in discussione nel secolo XIX, prospettata in modo più conforme ai progressi raggiunti dalle cognizioni scientifiche (conferenza di Berlino, 1897) e s'è mantenuta all'ordine del giorno di riunioni e congressi (conferenze di Strasburgo, 1923; congresso d'igiene coloniale, Roma 1929; congressi nazionali annuali della Società italiana di dermatologia).
Ancora oggi peraltro, nonostante i progressi raggiunti dalla scienza e dalla civiltà, la questione della profilassi della lebbra si presenta altrettanto importante quanto difficile. Essa infatti non si presta, come per altre malattie infettive e acute, a una soluzione completa, perfetta, uniforme per i varî paesi del mondo, ciò per le spiccate diversità della situazione epidemiologica, nonché delle condizioni di ambiente, di civiltà, di cultura, di mezzi, nonché di concezioni sociologiche. In complesso tutte le nazioni civili si sono interessate al problema della lebbra e hanno sentito la necessità di promulgare disposizioni speciali atte a impedire la diffusione della malattia: disposizioni che variano da una regolamentazione rigorosa a una liberalità piuttosto larga. Nella massima parte dei paesi vige la denunzia obbligatoria, ma non esiste un accordo (e ciò è giustificato da condizioni varie: demografiche, culturali, economiche, ecc.) sulla provvidenza più efficace, consistente nell'isolamento obbligatorio, che nei paesi ove fu rigorosamente applicato, come in Norvegia, ha dato tanto brillanti risultati.
Soprattutto appare difficile trovare una formula che concili le necessità teoriche e la difficoltà di attuazione pratica riflettenti varie questioni: prima di tutto quella dell'isolamento da farsi o in asili bene situati, bene organizzati, soprattutto a tipo di colonia agricola, ove i malati possano usufruire di tutti i mezzi terapeutici, e condurre una vita all'aperto, con occupazioni sane, distrazioni, divertimenti (tipo il leprosario di Cavrille nell'America Settentrionale), ovvero, per i malati abbienti, a domicilio quando possa dare le più assolute garanzie.
In Italia la legislazione sulla profilassi della lebbra è abbastanza recente. Con decreto ministeriale del 12 settembre e 15 ottobre 1923 veniva imposta la denunzia della malattia. In seguito con la legge n. 272 del 1926 venivano sanzionate le disposizioni particolari nei riguardi della tulela sanitaria contro la lebbra.
Esistono oggi in Italia il leprosario di Cagliari, quello di Acquaviva delle Fonti e due reparti d'isolamento, annessi uno alla clinica dermatologica di Genova, l'altro alla clinica di Padova. I lebbrosi sono curati a carico dello stato, durante il periodo di constatata contagiosità, presso le cliniche dermosifilopatiche del regno.
Bibl.: D. C. Danielssen, Om Spedalskhed, Cristiania 1847; G. H. A. Hansen, Zur Path. d. Lepra, in Arch. f. Syphil. u. Derm., 1871; G. H. Hansen, On the etiology of Leprosy, in Brit. and Foreign Med.-chir. Review, 1875; G. H. A. Hansen, Studien über d. Bacillus Leprae, in Virchow's Arch., 1882; H. P. Lie e L. Borthen, Die Lepra d. Auges, Lipsia 1899; E. Marchoux, Lèpre, in Traité de path. exot., VII, Parigi 1919; E. Muir e L. Rogers, Leprosy, Londra 1925; V. Klingmüller, Die Lepra, in J. Jadasshon, Handb. d. Haut- u. Geschlechtskrankh., X, 2, Berlino 1930.
Botanica. - Col nome di lebbra s'indicano per i vegetali varie malattie prodotte da funghi diversi. Sono note: la lebbra della bietola da zucchero, consistente nella formazione di tumori radicali giungenti fino a 7-9 cm. di diametro, irregolari, carnosi, lobati e dovuti al parassitismo del fungo Urophlyctis leproides P. Magn.; la lebbra del pesco e del susino, sui quali alcune specie del gen. Exoascus (v.) determinano ipertrofie, bollosità e accartocciamenti delle foglie e deformazioni dei frutti; quella del sommacco, le cui foglie per opera di Exoascus purpurescens arrossano e diventano carnose e spesso bollose, e dell'ulivo, sui cui frutti il nome di lebbra sta a indicare alcune alterazioni dovute a Gloeosporium olivarum Alm. e a Cylindrosporium olivae Petri, che si presentano in forma di macchie depresse, rugose violarossastre.