Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Sud-Est asiatico
Nella storia delle ricerche archeologiche in Asia sud-orientale, lo studio dei sistemi di scambio e di commercio ‒ su scala locale, regionale, interregionale ed extraregionale ‒ dalla preistoria al fiorire delle prime strutture statali è ancora, per molti versi, terra incognita. Mentre l'esponenziale progresso degli studi e delle ricerche archeologiche negli ultimi trent'anni del Novecento ha messo a disposizione degli archeologi e degli storici una nuova messe di dati ‒ imponendo un sostanziale cambiamento dell'approccio metodologico allo studio delle culture di quella parte dell'Asia ‒, non si è ancora proceduto ad un'analisi generale dei dati relativi all'aspetto degli scambi e dei commerci nella loro globalità; la maggior parte degli studiosi si è, infatti, limitata all'elaborazione di dati acquisiti a livello locale, spesso confinati a questo o a quel sito archeologico oggetto delle proprie contingenti ricerche. Per quel che concerne il Sud-Est asiatico, va detto che fino all'epoca della formazione delle prime strutture sociopolitiche di tipo statale (ca. VII-X sec. d.C.) non è presente una vera e propria forma di monetazione. Per quel lungo periodo che abbraccia il Neolitico, l'età del Bronzo e l'età del Ferro (ca. 2500 a.C. - ca. 300 d.C.), il commercio dei beni avveniva, dunque, attraverso forme di scambio premonetali. Come espresso da K. Polanyi (1978), lo scambio è un metodo relativamente pacifico di acquisire beni non immediatamente disponibili. Affinché, poi, possa avvenire qualsiasi tipo di scambio è necessario che gli "attori dello scambio" siano consenzienti, ovvero, che gli oggetti scambiati siano soddisfacenti per i due o più attori: è proprio il carattere bilaterale del movimento di beni ‒ presente in ogni scambio ‒ che ne garantisce la natura pacifica e permette una certa regolarità di rapporti tra i poli del processo interattivo. Il contributo che segue enuncerà, partendo dal Neolitico per arrivare alle compagini statali del tardo I millennio d.C., le molteplici e differenti linee di ricerca che i dati suggeriscono tenendo presente che, per quanto concerne l'Asia sud-orientale, la totale mancanza di dirette evidenze letterarie o storiche fino, almeno, ai secoli IV-V d.C., circoscrive la ricerca al solo dato archeologico, alla realtà tangibile e immediata di un qualsiasi rapporto di scambio: il manufatto.
Sebbene, per i periodi più antichi della preistoria del Sud-Est asiatico, sia ancora impossibile tentare una ricostruzione ‒ anche solo ipotetica ‒ dei sistemi di scambio o delle vie utilizzate i dati provenienti da diversi siti archeologici, soprattutto dalla Thailandia, stanno suggerendo l'esistenza di una rete di scambi che vide interagire, per quasi un millennio (2300-1500 a.C.), le comunità costiere con quelle dell'entroterra. Questi dati, per la maggior parte ottenuti da scavi necropolari, sembrano puntare su due principali generi di beni scambiati: la conchiglia marina e la pietra, utilizzate entrambe per la manifattura dei monili e delle accette polite. Prendendo in considerazione le comunità dell'entroterra, nelle necropoli neolitiche della Thailandia centrale (Ban Kao, Tha Kae, Non Pa Wai, Non Mak La, Huai Yai, Khok Charoen) e dell'Altopiano del Khorat (Non Nok Tha, Ban Chiang, Non Khao Noi) i monili di conchiglia ‒ soprattutto Tridacna ‒ sembrano essere i favoriti: elementi di collana discoidali o ad I, bracciali con sezione a D o a V, pendenti e grandi ornamenti discoidali. Sulla costa, invece, la necropoli neolitica di Khok Phanom Di (ca. 2000-1600 a.C.) ha restituito un insieme di manufatti da riconoscere, verosimilmente, come i beni ottenuti, in cambio della conchiglia, dalle comunità settentrionali: bracciali di marmo, ardesia grigia, andesite, schisto, arenaria vulcanica e monili d'avorio. L'impressione che si ottiene da tali evidenze, in generale, è che si tratti di scambi di materia prima alloctona e/o oggetti finiti a livello regionale; scambi intrapresi tra piccole comunità di cacciatori-pescatori-raccoglitori, nel Sud, e cacciatoriraccoglitori- agricoltori, nelle regioni centrali e settentrionali, stanziati in ricchi habitat, biologicamente differenziati. Un simile modello è riferibile, anche, alle comunità neolitiche della bassa valle del Fiume Rosso (cultura Phung Nguyen), nel Vietnam settentrionale, dove sembrerebbe di poter ravvisare, ancora una volta, un sistema di scambio tra i siti della valle e quelli dell'entroterra. Tale sistema, però, potrebbe aver partecipato ad una più ampia rete di scambi, in quanto il rinvenimento di alcuni utensili rituali di giada yazhang ‒ databili da ca. 1800 a.C. ‒ di sicura origine cinese nelle necropoli di Xom Ren e Phung Nguyen indica un'arcaica evidenza di contatto con la sfera d'interazione della Cina sud-occidentale.
La pirotecnologia del rame/bronzo sembrerebbe essersi propagata rapidamente in Asia sud-orientale, intorno al 1500 a.C., sfruttando le stesse vie di scambio sperimentate nel corso dell'età neolitica e, verosimilmente, all'interno delle stesse comunità neolitiche, come sembrerebbe dimostrato dalla continuità di occupazione dei siti (ad es., Non Nok Tha, Ban Chiang, Non Pa Wai, Tha Kae, Khok Charoen, Non Mak La), dal perdurare di identici riti funerari e dalla tipologia di strumenti e monili di bronzo (piccole asce, ami da pesca e, soprattutto, bracciali) che sembra sostituire con il metallo le usuali materie prime fino allora utilizzate. Nonostante tale innovazione, tuttavia, i dati archeologici indicano il perdurare dello scambio e dell'uso sia della conchiglia marina, sia della pietra, a cui devono essersi aggiunti lo stagno e il rame, quest'ultimo, verosimilmente, in forma di lingotti facilmente trasportabili e pronti per essere fusi. Per quanto riguarda i monili di pietra e di conchiglia, i dati rendono conto di due fenomeni diversi eppure strettamente interrelati: all'incremento della complessità sociale, corrispondono l'incremento e la segregazione in specifici loci sociali di indicatori archeologici alloctoni per provenienza e/o manifattura. Nelle sepolture dei siti della Thailandia centrale e nordorientale, ad esempio a Ban Na Di e Non Nok Tha (Altopiano del Khorat), Ban Lum Khao (alta valle del Mun), Non Pa Wai (Prov. di Lopburi), si nota un aumento del numero e delle fogge dei monili di conchiglia: elementi di collana discoidali di conchiglia, bracciali fatti tagliando orizzontalmente la conchiglia di Conus, bracciali con sezione a D o a V, grandi bracciali con sezione a T e le offerte di conchiglie di Cypraea sembrano attestare una preferenza per la conchiglia rispetto ai monili di bronzo. Sulla costa, invece, la preferenza è ancora accordata alla pietra importata: nella necropoli della tarda età del Bronzo di Nong Nor (ca. 1100-600 a.C.), ad esempio, i grani cilindrici di pietra verde, i grandi bracciali con sezione a T di serpentino, gli orecchini di giadeite, quattro perle discoidali di corniola ed un lungo ornamento tubolare (9,9 cm) di serpentino sono presenti nelle sepolture più ricche, quasi ad identificare un diverso, più alto status sociale dell'individuo attraverso il possesso di beni esotici. Recenti scavi nella Thailandia centrale, inoltre, stanno permettendo di formulare un'ipotesi sulle vie e i modi dello scambio tra nord e sud di pietra e conchiglia. Il sito di Tha Kae (Prov. di Lopburi), nella piana alluvionale del fiume Lopburi, presenta una stratigrafia che copre un arco cronologico di circa 3 millenni: dal Neolitico (ca. 2300-1600 a.C.) ai tardi strati Dvaravati e Khmer (ca. X-XI sec.). Nello strato relativo all'età del Bronzo è stata messa in luce una estesa discarica caratterizzata, principalmente, da scarti di lavorazione, oggetti semifiniti o frantumatisi durante il processo di lavorazione, relativi ad una intensa attività artigianale specializzata nella manifattura di monili (forse anche accette) di conchiglia (principalmente Tridacna spp.) e di pietra che hanno permesso, da una parte, di ricostruire tutte le fasi di lavorazione delle due industrie e, dall'altra, di ipotizzare le linee dello scambio di quelle materie: la conchiglia, proveniente dai siti della costa, arrivava nei centri di lavorazione e di qui ripartiva, forse, per le destinazioni finali, mentre la pietra, i cui resti di lavorazione erano sensibilmente inferiori, soddisfaceva, verosimilmente, ai soli bisogni locali. Un differente e meno chiaro quadro appare quando si prende in considerazione lo scambio di altre due importantissime materie prime: lo stagno e il rame. Il Sud-Est asiatico è eccezionalmente ricco di rame e stagno; quella che viene definita la Tin Belt ‒ la cintura dello stagno ‒ è una vasta fascia di depositi che corre dalla Provincia di Yunnan (Cina) lungo tutto il Tenasserim (Birmania), l'Istmo di Kra (Thailandia) e la Penisola di Malacca (Malesia) fino ad arrivare alle piccole isole che si trovano a sud-est di Sumatra (Singkep, Bangka, Balitung): questa fascia, almeno fino al XIX secolo quando si iniziò la coltivazione dei depositi in Bolivia, Nigeria e Australia, produceva più della metà dello stagno mondiale. Meno concentrata è, invece, la distribuzione del rame, presente in tutto il Sud-Est asiatico continentale e buona parte di quello insulare (Sumatra, Giava, Borneo e Filippine). Se per lo scambio della pietra e della conchiglia è possibile e giustificato ipotizzare una rete a livello regionale o, al massimo, interregionale che poteva coinvolgere l'investimento di individui o piccoli gruppi di individui a livello di famiglia o di villaggio, la complessità tecnologica richiesta dal ciclo di estrazione e di fusione di rame e stagno, cui corrisponde un alto dispendio di forza-lavoro e di energia, sembrerebbe non giustificare un meccanismo dello stesso tipo e ci si aspetterebbe di trovare una certa complessità e centralizzazione dell'organizzazione del lavoro. I dati oggi a disposizione, tuttavia, sembrano indirizzarci in diversa direzione. La regione del Lingnan, corrispondente alle odierne province di Guangxi e di Guangdong (Cina), è fisiograficamente legata sia alla valle dello Yangtze, attraverso l'ampio sistema fluviale che scorre, da nord, verso la catena dei monti Nanling, sia, in Vietnam, alla valle del Fiume Rosso (attraverso l'alta valle del Yujiang), alla regione di Bac Bo e alla costa. Numerosi dati archeologici provenienti da diverse necropoli messe in luce nella regione hanno evidenziato come essa sia stata direttamente esposta ad un flusso di manufatti (e di idee) provenienti dalla valle dello Yangtze: oltre alle già citate lame rituali di giada ( yazhang), databili dal 1800 a.C. circa, sono presenti vasi rituali (lei) e campane ( yong ) in bronzo databili all'inizio del I millennio a.C. Il Lingnan, in sintesi, appare legato ad un sistema commerciale settentrionale che, attraverso la mediazione della cultura Chu del medio Yangtze (fiorita tra il VII e il III sec. a.C.), portò diversi elementi culturali e tecnologici tipici della cultura Shang-Zhou della valle del Fiume Giallo ad interagire con le locali culture tardoneolitiche che, tra la fine del II millennio a.C. e l'inizio del successivo, iniziarono ad intraprendere una metallurgia caratterizzata da una forte impronta stilistica locale. In questa prospettiva il Lingnan potrebbe aver agito da "trasmettitore" e "mediatore" di beni e di idee ‒ e tra queste la pirotecnologia dei metalli ‒ verso le regioni più meridionali. In Vietnam, infatti, in contesti culturali Dong Dau (regione di Bac Bo e della bassa valle del Fiume Rosso) sono venuti alla luce manufatti in bronzo molto simili, per quanto riguarda forma e tecnologia di fusione, a quelli rinvenuti lungo il delta del Zhujiang, nel Lingnan. Se effettivamente le complesse conoscenze necessarie all'estrazione e fusione del rame/stagno siano state trasmesse all'Asia sud-orientale dal Nord attraverso il Lingnan è ancora un'ipotesi di lavoro; è certo, però che nella valle del Chao Phraya, nella Thailandia centrale, si possono seguire con una certa chiarezza indizi relativi alla produzione e scambio del rame, sia in forma di prodotto semilavorato ‒ lingotti ‒ sia, in modo più evanescente, in forma di oggetto finito. Tali evidenze provengono principalmente dal sito archeologico di Non Pa Wai (Prov. di Lopburi) situato nella valle del Khao Wong Prachan lungo i cui bordi sono attestati depositi di minerali di rame (Khao Tab Kwai e Khao Pu Ka) che presentano tracce di sfruttamento contemporanee al deposito sottoposto ad indagini stratigrafiche. A Non Pa Wai sono stati messi in luce una necropoli, caratterizzata da sepolture con individui accompagnati dai propri utensili (due coppie di forme di fusione per la produzione di asce ad immanicatura cava, una corrispondente ascia di rame, una masserella di rame) e uno spesso strato formato dai resti di un'intensa attività artigianale legata alla frantumazione, arrostimento della roccia madre, fusione del rame e produzione di lingotti gettati in piccoli stampi a coppetta (cupmold e conical mold) di cui si sono rinvenuti più di 50.000 frammenti. L'analisi dei dati fino ad oggi messi in luce a Non Pa Wai sembrerebbe evidenziare una struttura e un'organizzazione del lavoro decentralizzata, verosimilmente condotta da individui organizzati, forse stagionalmente, in gruppi di lavoro collettivo per la produzione di lingotti di rame eventualmente destinati allo scambio. Le vie di scambio dei piccoli lingotti (diam. ca. 3-3,5 cm), però, non sono per nulla chiare, ma la presenza di numerosi monili di Tridacna a Non Pa Wai potrebbe essere l'evidenza dello scambio. Inoltre, lingotti del tipo prodotto a Non Pa Wai sono stati rinvenuti nei vicini siti di Non Mak La e di Tha Kae, dove è attestata la fusione di utensili di uso locale. Poco più a nord, labili tracce di fusione del rame sono state rinvenute a Phu Noi (distretto di Ban Mi); anche in questo caso sembrerebbe valida l'ipotesi della manifattura locale, forse, operata utilizzando lingotti acquisiti attraverso lo scambio. Nell'Altopiano del Khorat, il sito di Ban Chiang sembrerebbe aggiungersi al panorama fino ad ora descritto: qui sono state rinvenute tracce di una fornace di fusione, oltre a frammenti di crogioli e di matrici bivalvi, mentre nei corredi funerari non sono rare le offerte di bronzo. La produzione, comunque, sembra essere un'impresa su scala locale, ancora una volta suggerendo l'ipotesi che possa trattarsi di una manifattura basata sulla fusione di lingotti acquisiti per scambio in contropartita di altre materie (conchiglia, prodotti agricoli, sale).
Un differente e molto più chiaro insieme di dati è quello proveniente da numerosi siti databili all'età del Ferro. Durante questo breve, ma intenso periodo di crescita verso una percepibile complessità sociale, dal punto di vista culturale e commerciale, il territorio del Sud-Est asiatico appare diviso in tre grandi regioni: una regione settentrionale comprendente il territorio dello Yunnan, del Lingnan e del Vietnam del Nord, una regione centrale, comprendente il resto del Sud-Est asiatico continentale, e, infine, una regione insulare, caratterizzata dalle migliaia di isole che compongono gli arcipelaghi dell'Indonesia e delle Filippine.
Yunnan, Lingnan e Vietnam settentrionale - L'impatto dei contatti con gli Stati cinesi settentrionali ‒ visibili sin dal Neolitico/età del Bronzo ‒ si intensifica drasticamente tra il VI e il III sec. a.C. e la regione del Lingnan entra in diretto contatto con il regno di Chu, (media valle dello Yangtze). Le necropoli Chu rinvenute nelle aree dei delta dei fiumi Xijang, Beijang e Suijang mostrano come l'interazione tra le due aree sia percepibile archeologicamente sia nella tipologia tombale, come ad esempio nella necropoli di Yinshanling (Prov. di Guangxi) dove le sepolture a fossa rettangolare erano fornite di tutte le caratteristiche strutturali e rituali delle sepolture cinesi (piattaforma perimetrale ercengtai, fossa rituale yaokeng e piano pavimentale in ciottoli), sia negli oggetti di accompagnamento, molti dei quali o importati dal Regno di Chu o da esso stilisticamente influenzati. In Vietnam, la cultura Dong Son (ca. V-I sec. a.C.) della regione che comprende il delta del Fiume Rosso e le valli dei fiumi Ma e Ca sembra aver partecipato in modo meno diretto all'interscambio culturale e commerciale con la valle dello Yangtze. I bronzisti Dong Son, infatti, come risulta dalle ricche tombe scavate nelle necropoli di Viet Khe, Lang Ca, Lang Vac e Co Loa, furono abili metallurghi in grado di produrre localmente i sofisticati parafernalia di bronzo necessari alle nascenti élites che, attraverso la valle del Fiume Rosso, sembrano essere state in stretto contatto con le coeve culture delle regioni lacustri dello Yunnan. La sporadica presenza, comunque, di coltelli e spade con pomo ad anello rettangolare fisso di origine cinese, prova il perdurare di rapporti di scambio settentrionali sino a quando, intorno al I sec. d.C., l'intero Vietnam settentrionale fu annesso all'impero Han. Sul "confine culturale" più settentrionale del Sud-Est asiatico continentale, nella regione lacustre intorno al lago Dianchi (Prov. di Yunnan), si sviluppò, tra il IV e il I sec. a.C, un chiefdom agricolo-pastorale, cui sono riferibili numerose necropoli. Quelle più tarde (secc. II-I a.C.) sono caratterizzate da una chiara struttura gerarchica con ricchi corredi (i più ricchi dell'intero Sud-Est asiatico) che offrono importanti spunti per la comprensione della "rete" delle interazioni commerciali in atto durante l'età del Ferro lungo tutte le direttrici del Sud-Est asiatico: da una parte, infatti, i comuni tratti culturali ravvisabili con la cultura Dong Son (bronzistica, ritualità, complessità sociale), dall'altra la presenza, nella sepoltura M13 della necropoli di Shizhaishan, di una collana con vaghi di corniola incisa con sostanze alcaline (white on red ) del tutto simile ‒ per forma, dimensioni e decorazione ‒ ad alcuni elementi di collana rinvenuti a Ban Don Ta Phet (Thailandia centrale). L'indagine delle direttrici di scambio di questi particolarissimi elementi di collana ‒ conosciuti come etched beads ‒ è ancora in corso, anche se le possibili vie sembrerebbero al momento poter essere solo due: il circuito degli scambi con il Subcontinente indiano e quello dell'area himalayana (regione del Qam e Tibet).
Vietnam centrale e meridionale - Sulle coste del Vietnam centrale e meridionale, recenti studi sulla distribuzione di alcuni manufatti tipici della cultura di Sa Huynh (fine del I millennio a.C.) offrono nuovi elementi per la definizione dei circuiti di scambio tra quest'area e il resto del Sud-Est asiatico continentale e insulare. Tra gli elementi di corredo presenti nelle incinerazioni in giara delle necropoli Sa Huynh (punte di lancia, coltelli e falcetti di ferro, punte di lancia e sonagli di bronzo, monili di giada, serpentino, nefrite, cristallo di rocca, corniola, agata, olivina, zircone e vetro blu o rosso) è frequente un singolare tipo di ornamento per orecchio decorato da due protomi animali cornute (forse un daino o un'antilope) e, di norma, realizzato in nefrite. La distribuzione di questo ornamento nell'area della cultura Sa Huynh è piuttosto vasta ‒ 70 orecchini rinvenuti in 15 siti ‒ mentre il rinvenimento di alcuni oggetti non finiti ne attesta la locale manifattura. Alcuni orecchini a due protomi sono stati rinvenuti in coevi cimiteri del Sud-Est asiatico sia continentale, sia insulare: da Botel Tobago, a sud di Taiwan, all'isola di Palawan (Filippine) e da Ban Don Ta Phet a U-Thong (Thailandia centrale). La distribuzione del manufatto rivela un'ulteriore "via di scambio" facente capo alle aree costiere del Vietnam del Sud: da qui partivano gli orecchini a due protomi come pure una grande varietà di altri orecchini e ornamenti di pietra (tra i quali i ling-ling-o); in cambio arrivavano, verosimilmente, pietre semipreziose e preziose come la corniola, l'agata, il granato e il cristallo di rocca e, forse, il rame, di cui l'area è povera.
Laos - Il Laos, tra le regioni del Sud-Est asiatico continentale, è la meno conosciuta e meno studiata. Le più importanti indagini furono effettuate prima da H. Mouhot con l'esplorazione delle vestigia di periodo storico, e, poi, negli anni Venti del Novecento da M. Colani e H. Mansuy che condussero diverse ricognizioni e scavi di depositi archeologici preistorici. In anni recenti, con una più stabile situazione politica, la ricerca ha ripreso il suo corso, nuovi e vecchi dati stanno confluendo per la creazione di un più chiaro quadro regionale. Tra le aree archeologiche la Piana delle Giare, una necropoli a cremazione in giare megalitiche databile tra il 300 a.C. e il 300 d.C., è la più importante; il singolare cimitero, ad un'altitudine di oltre 1000 m s.l.m., si trova in un'area, a tutt'oggi, tra i maggiori centri di estrazione di sale. La localizzazione della necropoli e il rinvenimento di consistenti corredi funerari attestanti la presenza di una ricca élite farebbero pensare che le comunità della Piana delle Giare abbiano potuto stabilire un "nodo" di controllo del commercio del sale tra la Cina, la regione del delta del Fiume Rosso (Bac Bo) e i nascenti chiefdoms del Khorat.
Thailandia - I rinvenimenti archeologici degli ultimi anni, databili all'arco temporale compreso tra il 500 a.C. e il 200- 300 d.C., sono fra i più abbondanti e interessanti dell'intero Sud-Est asiatico continentale. I 7-8 secoli che precedono la formazione delle prime polities centralizzate ‒ o maṇḍala ‒, infatti, possono essere indagati seguendo il sottosistema culturale "scambi-commercio-interazioni culturali", che agì come una delle variabili innovative ed interattive all'interno di quelle società agricole in risposta ai contatti con culture simili (all'interno del Sud-Est asiatico) e altre, come ad esempio l'India e la Cina (Rispoli 1997). Il fenomeno corrisponde a ciò che C. Renfrew (1972) ha definito multiplier effect, ovvero la proprietà dei sistemi umani grazie alla quale una innovazione in un sottosistema e la sua accettazione all'interno della società favorisce innovazioni in un altro sottosistema, innescando una crescita non solo nelle dimensioni del sistema culturale, ma anche nella sua struttura. Nel periodo in esame, infatti, si riscontra una marcata crescita areale e la preminenza di un insediamento su altri dislocati nella sua orbita e un nuovo e differente tipo di organizzazione dell'insediamento: i cosiddetti moated sites, ovvero siti circondati da un profondo fossato con terrapieno (probabilmente difensivo) e serviti da bacini interni per la raccolta e la conservazione delle acque. I dati attualmente disponibili per la dislocazione dei moated sites nel Sud-Est asiatico continentale sembrerebbero evidenziare l'instaurarsi di un controllo territoriale a sua volta indice di una relativa organizzazione del territorio: la costante localizzazione dei moated sites all'interno di meandri di fiumi, inoltre, sembrerebbe essere indicazione di una scelta dettata da una crescente necessità di accesso a vie di comunicazione e, quindi, commerciali, per l'acquisizione, soprattutto, di beni esotici con valore di prestigio. Uno dei siti chiave per la comprensione dei complessi sistemi di scambio che si instaurarono durante l'età del Ferro è Ban Don Ta Phet (Phanom Tuan, Prov. di Khanchanaburi). Qui è stata messa in luce una necropoli, datata al III sec. a.C., circondata da un fossato e un terrapieno e, verosimilmente, destinata ai soli membri dell'élite locale. Gli oggetti di accompagnamento rinvenuti nelle sepolture possono essere divisi in tre principali categorie: manufatti locali, oggetti alloctoni e oggetti prodotti in loco ma d'ispirazione alloctona. Tra i manufatti sicuramente importati figura un pendente di corniola raffigurante un leone nell'atto di spiccare un balzo; esemplari simili, ma frammentari, sono stati rinvenuti anche a Khuan Lukpad (Prov. di Krabi), Khao Sam Kaeo (Prov. di Chumphon), Wat Amphawat/Tha Chana (Prov. di Surat Thani) e in Birmania. Sulla possibilità che si tratti di un manufatto con significato religioso e votivo sembrano esserci pochi dubbi: la figura del leone è stata spesso utilizzata per simboleggiare l'Illuminato, il Buddha (Śākyasiṁha = il leone degli Shakya), soprattutto nella fase aniconica del buddhismo; un oggetto simile, in cristallo di rocca, proviene dallo stūpa Dharmarajika a Taxila (Panjab, Pakistan), un altro dal tepe di Deh Bimaran (Afghanistan) e, infine, un terzo da Sri Lanka. Non è improbabile, quindi, che i primi elementi del buddhismo, provenienti dall'India, avessero raggiunto il Sud-Est asiatico già nel III sec. a.C. Sicuramente d'importazione è anche un grande pendente in corniola, di forma grossomodo pentagonale, decorato a bande parallele verticali alternatamente di colore rosso, bianco e nero. Per la decorazione di questo elemento si è sfruttata la base naturale del colore della corniola (più o meno arrossata per arrostimento) alterata artificialmente per ottenere differenti colorazioni tramite l'attacco di sostanze alcaline (il bianco) e di permanganato (il nero). Per il Sud-Est asiatico continentale si tratta di un unicum ‒ almeno per ciò che riguarda oggetti rinvenuti durante uno scavo ‒ mentre fuori della Thailandia, due pendenti simili furono raccolti negli anni Trenta del Novecento nella regione del Qam (Prov. di Sichuan, Cina) e in Nepal. Purtroppo non si conosce il contesto di rinvenimento di questi ultimi e, se l'area di provenienza è certa ‒ ovvero quella tibeto-himalayana ‒, la loro attribuzione cronologica rimane un problema irrisolto. Anche rivolgendoci all'India, i confronti sono insufficienti: un pendente da Bhita (Uttar Pradesh) e uno da Vaishali (Bihar). In ogni caso, non possiamo dimenticare che, nel II sec. a.C., la conquista del Sud-Ovest perseguita dai sovrani Han fu determinata, anche, dalla necessità di avere accesso ad una via di comunicazione che, evitando l'Asia Centrale, permettesse i contatti con l'India: sarebbe questa la cosiddetta Via della Birmania anche detta Via del Bambù, da alcuni studiosi cinesi, Via della Seta meridionale. La presenza di grani di questo tipo in aree quali il Nepal, il Tibet, il Sichuan e la Thailandia centrale fa ipotizzare che una possibile direttrice per lo scambio di questi prodotti fosse proprio la Via della Birmania. Attraverso questa via i pendenti decorati a tre colori potrebbero aver raggiunto, dall'area himalayana, l'India ad ovest e l'Asia sud-orientale a sud. Un discorso a parte richiedono altre due categorie di oggetti: i grani di collana in corniola e in agata incisi con sostanze alcaline e le perline di vetro. Per la prima categoria le due possibili direttrici commerciali sono da ravvisarsi nella già menzionata Via della Birmania o nella rete di scambi attiva con il Subcontinente indiano sin dal IV-III sec. a.C. I minuscoli elementi di collana in vetro rinvenuti a Ban Don Ta Phet (più di 2800) necessitano, invece, di una più approfondita trattazione. Circa 1000 elementi sono riconoscibili come Indo-Pacific Monochrome Drawn Glass Bead o trade wind (perline degli alisei) poiché erano commerciati per nave sulle rotte stabilite dai monsoni nell'area compresa tra l'India, il Sud-Est asiatico continentale e insulare e le isole del Pacifico (Micronesia e Melanesia). Si tratta di perline facenti parte della vasta categoria delle cosiddette drawn beads (perline tirate) il cui processo di manifattura avviene "tirando" il vetro attorno ad una asticella (o ad un filo metallico), facendogli assumere la forma di un tubo; questo tubo viene poi tagliato in sezioni (le perline) e quest'ultime vengono successivamente riscaldate per arrotondare le affilate superfici del taglio (barilatura al tamburo, compressione e, talvolta, molatura). Tale sistema permette di produrre grandi quantità di perline abbassandone notevolmente il costo di produzione. Le più antiche drawn-beads sono verosimilmente quelle rinvenute ad Arikamedu (Pondicherry, India), datate intorno al III-II sec. a.C.; a partire da quest'epoca sono presenti in moltissimi siti indiani e di Sri Lanka per essere, poco dopo, probabilmente "esportate" nel Sud-Est asiatico raggiungendo la penisola malese. Se, infatti, le datazioni dell'unico sito con evidenze di lavorazione locale del vetro fino ad oggi scavato nell'intero Sud-Est asiatico continentale, ovvero il sito di Khuan Luk Pat/Khlong Thom, sono esatte (III-VI sec. d.C.), non vi sono testimonianze di manifattura locale in Thailandia, e nel Sud-Est asiatico in generale, degli elementi di collana in vetro prima del III sec. d.C. Fino ad ora, dunque, i ricchi corredi funerari rinvenuti a Ban Don Ta Phet ci informano sulle vie di scambio che legavano la Cina, il Subcontinente indiano e il Sud-Est asiatico. Una differente via di comunicazione e, quindi, di scambio, precisamente quella stabilita tra i siti della Thailandia centrale e del Vietnam, ha portato a Ban Don Ta Phet un orecchino a due protomi animali cornute in nefrite dall'area della cultura di Sa Huynh (Vietnam meridionale costiero) e una situla di bronzo, decorata sotto l'orlo da due trecce, invece, dai siti della cultura Dong Son, nel Vietnam settentrionale. Per ciò che concerne gli oggetti d'imitazione, nel corso delle tre stagioni di scavo a Ban Don Ta Phet sono stati rinvenuti più di 300 contenitori di bronzo, il maggior numero dei quali presenta un alto tenore di stagno (23-28% Sn). Questo particolare tipo di lega non è raro in Thailandia, particolarmente nella regione centro-occidentale, in contesti di periodo protostorico; ritrovamenti meno consistenti, inoltre, sono stati effettuati nella penisola malese e in Cambogia. In particolare, comunque, i frammenti appartenenti a due ciotole (ciotola A e B) di Ban Don Ta Phet hanno la superficie esterna ricoperta da motivi decorativi incisi riconoscibili come imitazioni di iconografie indiane. Altre ciotole, invece, si presentavano come semplici coppe emisferiche ad orlo leggermente introflesso o a parete diritta, all'interno delle quali, sulla base, era una piccola protuberanza conica circondata da incisioni circolari concentriche. Comunemente note come knobbed vessel, le ciotole di metallo con protuberanza interna sono piuttosto rare nel Sud- Est asiatico e, se si fa eccezione di una ciotola probabilmente trovata nella regione di Than Hoa (Vietnam), non sono noti altri esemplari di bronzo; di ceramica, invece, ne sono stati rinvenuti alcuni nella Thailandia centrale in contesti stratigrafici (Tha Kae, Chansen). Questo tipo di contenitore è comune in India, soprattutto nella porzione settentrionale (valle del Gange) e nell'area centro-orientale (Orissa) ed è da quelle aree che proviene, con ogni probabilità, l'idea che ha ispirato la produzione rinvenuta a Ban Don Ta Phet. Tra i manufatti di imitazione/ispirazione alloctona devono essere menzionati anche gli elementi di collana di corniola, agata e agata zonata (banded agate) sui quali molto ancora resta da indagare e molte rimangono le ipotesi ancora aperte. Il problema principale è quanto gli scambi commerciali con l'India abbiano influito nell'adozione, da parte delle élites locali, di simboli di status come, appunto, elementi di collana di pietre semipreziose. I depositi di corniola, infatti, sono particolarmente rari in Thailandia e, per l'area in questione ‒ la Thailandia centro-occidentale ‒ ne è conosciuto solamente uno, Khao Moghul, nella Provincia di Lopburi, forse sfruttato anche in periodi antichi. Poche sono anche le evidenze di una lavorazione locale delle pietre semipreziose: rari frammenti semifiniti a Khuan Luk Pat/Khlong Thom databili intorno al III sec. d.C. Le indagini per la caratterizzazione chimico-fisica delle pietre semipreziose come pure lo studio tecnologico del metodo di trapanazione sono ancora agli inizi e ben poco si può aggiungere alla sola ipotesi che, per questa particolare categoria di manufatti, ad una iniziale importazione seguì una produzione locale atta a soddisfare la richiesta delle élites. Un'ultima considerazione sull'età del Ferro e sui sistemi premonetali e monetali: a Khuan Luk Pat (Prov. di Krabi) sono stati rinvenuti alcuni esemplari di monete punzonate (puch-marked coins) che ben rappresentano la tipologia generale di questa forma di monetazione ovvero, come definito da K. Polanyi (1978, p. 321) "oggetto quantificabile destinato all'impiego come pagamento, mezzo di misurazione o mezzo di scambio". Le monete punzonate rinvenute a Khuan Luk Pat sono sicuramente importazioni dall'India settentrionale dove ebbero diffusione tra il IV sec. a.C. e l'inizio dell'era cristiana; tuttavia la loro funzione a Khuan Luk Pat non è riconducibile a quella di moneta sia perché si tratta di unica per il Sud-Est asiatico continentale, sia perché non sarà utilizzata nell'area neppure nei periodi successivi alla vita di questo sito (I-V d.C.) quando, con la nascita dei maṇḍala, gli scambi si evolveranno in forme organizzate di commercio. Quelle monete, dunque, come pure quelle cinesi rinvenute in contesti Dong Son (Vietnam settentrionale), furono, secondo un'ipotesi verosimile, utilizzate dai loro possessori, come forma di tesaurizzazione, o come simbolo di status esotico. L'assenza di una vera monetazione nel Sud-Est asiatico prima della manifestazione matura dei maṇḍala, probabilmente, è dovuta da una parte alla presenza di strutture sociopolitiche che non sembrano essere ancora adatte alla gestione di un sistema commerciale basato sulla monetazione (i chiefdoms) e, dall'altra, alla presenza di una forma di scambio in cui il prezzo (cioè la moneta) è ancora largamente rappresentato dalla materia/oggetto scambiato/commerciato.
I primi sei secoli del I millennio d.C. videro profonde trasformazioni, innescatesi durante l'età del Ferro, archeologicamente identificabili in una crescita esponenziale dei siti e delle élites che li dominavano. Tale crescita ebbe il suo epilogo nella formazione di città collegate da reti di canali e, successivamente, nella formazione delle prime compagini statali. Oc Eo (delta del Mekong,Vietnam) è uno dei siti meglio conosciuti per il periodo compreso tra il I e il V sec. d.C.; venne scavato da L. Malleret nel 1944 e identificato come uno dei porti della cultura di Funan (o regno di Funan), di cui si aveva menzione nei testi cinesi. Il sito si trova all'interno di una cinta, composta da cinque terrapieni e quattro fossati, su un'area di ca. 450 ha; all'interno, un canale principale taglia il sito in due metà con una serie di canali che si dipartono ortogonalmente da quello principale. I manufatti rinvenuti durante lo scavo ‒ combattendo giornalmente contro il caparbio lavoro dei clandestini ‒ sono solo una parte della ricchezza di questo sito che si configura come un'importante e "internazionale" città portuale: una moneta di Antonino Pio (138-161 d.C.), una di Marco Aurelio (161- 180 d.C.), gioielli e monili provenienti dall'area mediterranea o da essa ispirati, monete iraniche, specchi cinesi, sigilli, intagli e gemme indiane finemente incise con caratteri che attestano il perdurare di quei commerci dal I-II secolo fino al V sec. d.C. Alle importazioni si aggiunge una lunga lista di oggetti, soprattutto gioielli, fatti localmente con materie prime alcune locali, altre provenienti da molto lontano: oro, argento, diamanti, ametiste, topazi, zirconi, berillo, rubini, zaffiri, malachite, serpentino, giadeite, corniola, agata e ambra. I canali che si irradiano da Oc Eo sembrano tracciare una rete di comunicazione ‒ e, quindi, commerciale ‒ che include Ta Kev prima e, poi, Da Noi da dove un canale artificiale lungo circa 90 km raggiunge Angkor Borei in Cambogia, una città di circa 300 ha, cinta da un muro in mattoni. Capitale ‒ secondo i testi cinesi ‒ di un regno che unificava Funan con l'area dove, più tardi, sarebbe sorto il regno dei Khmer, Angkor Borei è famosa soprattutto per gli immensi baray (bacini artificiali) ‒ uno dei quali interessa una superficie di 20.000 m² ca. ‒ e per il suo re, Rudravarman (515-550 d.C.) conosciuto per aver inviato ambascerie in Cina. Recenti progetti di ricerca stanno investigando due aspetti poco conosciuti dell'area: da una parte la rete di canali che sembra collegare i villaggi e le città sopra menzionate servendo anche come via di comunicazione per il trasporto dei beni locali e importati, dall'altra gli strati attribuibili all'età del Ferro che dovrebbero far luce, almeno in parte, sul fenomeno della formazione delle città. Durante il periodo compreso tra il 200 e il 600 d.C., inoltre, iniziano ad essere presenti, nei contesti archeologici, alcune monete ‒ poche per la verità ‒ che circolarono in quelle aree dove erano in atto i cambiamenti socio-politico-religiosi che sarebbero sfociati nella formazione degli stati ‒ o regni ‒ Pyu (Birmania), Dvaravati (Thailandia), Khmer (Cambogia) e Cham (Vietnam). Si tratta di due tipi di moneta in argento: la cosiddetta moneta con "il Sole che sorge" sul recto e il "tempio di Śrī" (Śrīvatsa) sul verso e la moneta con la conchiglia (śaṅka) sul recto e, ancora, il "tempio di Śrī" sul verso. L'iconografia del "tempio di Śrī" offre alcuni spunti di riflessione perché si presenta molto simile a quella delle antiche monete di piombo della regione di Andhra, in particolare alle monete rinvenute a Chandravalli (Karnataka, India). Gli esemplari rinvenuti nel Sud-Est asiatico sono troppo pochi (ca. 40) per poter pensare ad una evoluzione verso una forma organizzata di commercio che preveda lo scambio attraverso l'utilizzo della moneta; sembra più verosimile pensare che ci si trovi di fronte ad uno stadio embrionale in cui quelle monete non hanno ancora assunto la funzione di mezzo di scambio e, verosimilmente, erano utilizzate come simboli di status con alto valore simbolico, quest'ultimo, ravvisabile nell'iconografia del "tempio di Śrī" e della conchiglia, simbolo di Vishnu. Intorno al VI-VII sec. d.C., nella valle del Menam Chao Phraya (Thailandia centrale), una serie di grandi moated sites e l'inizio di una manifestazione monumentale, avente soprattutto carattere religioso, ci informano sui processi di crescita della complessità sociale che ebbero come esito una forma di tipo statale che, alla luce dei dati archeologici e storici, si tende oggi a definire con il termine maṇḍala. I rinvenimenti effettuati in alcuni dei maggiori moated sites del maṇḍala Dvaravati (VII-X sec. d.C.) offrono chiara evidenza dei cambiamenti sostanziali che i modi e le vie del commercio seguirono. Da una parte, infatti, i monumenti religiosi, gli oggetti e la statuaria legano quest'area al Subcontinente indiano: la religione è buddhista della corrente Mahāyāna, la scrittura è il sanscrito o il pāli, le tavolette votive contengono spesso formule di fede identiche a quelle che compaiono in India e persino gli oggetti di uso quotidiano ‒ ceramica e monili ‒ trovano stretti confronti in India. Non si tratta, però, di importazioni o imitazioni di singoli manufatti, bensì della manifestazione di una produzione determinata dalla compiuta localizzazione, da parte delle comunità locali, di alcuni dei tratti della cultura indiana. La mancanza di manufatti d'importazione potrebbe essere la dimostrazione che le merci scambiate con il Subcontinente indiano non sono più le stesse ed anche il rapporto tra le due entità, alla luce di recenti scavi archeologici, sembrerebbe essere cambiato: non più, quindi, acquisizione di esotici simboli di status, ma una forma di commercio organizzato e più vasto. Analizzando i dati recentemente pubblicati è forse possibile tracciare nuove linee del commercio Dvaravati: bisogna ricordare che nel periodo compreso tra il V ed il IX-X sec. d.C. numerosi monaci cinesi intrapresero viaggi dalla Cina verso l'India e viceversa attraversando le valli del Sud-Est asiatico continentale o facendo tappa nelle isole dell'Indonesia (Sumatra e Giava). Dalle loro cronache di viaggio, che permettono di identificare i luoghi e di porli cronologicamente in sequenza, sappiamo che il "re" di Dvaravati inviava ambascerie in Cina offrendo in dono alcuni prodotti locali. Fino a pochi anni fa, il numero di monete riconoscibili come appartenenti al maṇḍala Dvaravati erano 20 o 30 in tutto, ed anche se fra queste erano presenti le 2 famose monete (o medaglie) rinvenute a Nakhon Pathom con l'iscrizione in sanscrito Śrīdvāravatīsvarapunya ("per le gesta meritorie del Re di Dvaravati"), nulla faceva ancora pensare ad un vero conio, all'uso della moneta come mezzo di scambio. Quelle "monete", infatti, sembrano essere oggetti voluti dal "re" per essere elargirti ai più meritevoli membri dell'élite. Una circolazione di questo tipo sembra essere funzionale alla struttura del potere dei maṇḍala: entità sociopolitiche instabili, capaci di espandersi o di contrarsi in funzione del credito e dell'adesione che riuscivano a conseguire presso entità similari creando così una sfera d'influenza. Gli scavi condotti dal Dipartimento delle Antichità della Thailandia nel sito di U-Taphao hanno messo in luce un'impressionante raccolta di "monete" insieme all'evidenza di una locale metallurgia del ferro: ma anche le "monete" di U-Taphao non sembrano aver circolato nei territori del cosiddetto Regno Dvaravati e l'uso della moneta come mezzo di scambio indiretto e oggetto quantificabile che prevede l'esistenza di un mercato non è ancora ravvisabile. Alla fase matura del periodo Dvaravati (IX sec. d.C.) appartengono i due siti, recentemente scavati, a Ko Kho Khao (Prov. di Phangnga) e Laem Pho (Prov. di Surat Thani), che si aggiungono ai già conosciuti siti di Muang Phra Rot (Prov. di Chonburi) e a quelli rinvenuti nel distretto di Yarang (Prov. di Pattani). La quasi totalità dei siti menzionati non presentava evidenza di attività artigianali condotte in situ, ma sia la superficie che gli strati erano ricchissimi di frammenti di ceramica, ceramica invetriata e vetro. Con il procedere degli scavi si è chiarito che Ko Kho Khao e Laem Pho sono da riconoscersi come centri commerciali costieri sulla via che collegava il Medio Oriente alla Cina. La ceramica invetriata di epoca Tang (618-907 d.C.) era presente nei tipi: Changsha, Meixian, Yue, Ding, Fengkai, Yanggan, Gulao, verde costiera del Guangdong e ceramica bianca settentrionale, comprendendo, quindi, produzioni dalle fornaci di quasi tutto il territorio cinese. Dal Medio Oriente, invece, provenivano altri tipi di ceramica invetriata: turchese di Basra, bianco di stagno, lustri bianchi a smalto giallo, bianco e verde, bianco e blu di cobalto. Ancora dal Medio Oriente giungono i numerosi frammenti di vetro blu o verde, per la maggior parte appartenenti a piccole coppette e ciotole, ma anche a larghi bicchieri e bottiglie. Nei due siti, inoltre, è stata rinvenuta una discreta quantità di grani di collana in corniola, onice (agata zonata) e le cosiddette eye beads di vetro; le prime due categorie potrebbero provenire dall'India come pure essere state fatte nel Sud-Est asiatico; per le cosiddette eye beads l'analisi è più complessa poiché i luoghi di provenienza e manifattura sono molteplici: da una parte l'asse "culturale" che va dall'Egitto alle coste del Vicino Oriente (Siria, Libano) fino all'Iraq, dall'altra i centri di manifattura giavanesi. I dati appena ricordati, insieme a quelli provenienti dalle grandi "città" Dvaravati della Pianura Centrale ‒ Nakhon Phatom, U- Taphao, U-Thong, Ku Bua, Sri Thep e molti altri importanti centri ‒, sembrerebbero dimostrare la presenza di una forma organizzata di commercio, specializzata nello smistamento delle merci provenienti da est (Cina) e da ovest (Medio Oriente). D'altra parte la penisola di Malacca, come pure l'isola di Sumatra e di Giava, erano tappe obbligate per qualsiasi nave che, dai porti del Mar Cinese Meridionale, avesse voluto avventurarsi verso l'India e il Medio Oriente e lo stesso valeva per i naviganti che da occidente avessero voluto raggiungere la Cina: tra loro e il Celeste Impero, infatti, vi erano, da una parte, le valli dei quattro grandi fiumi del Sud-Est asiatico (Irrawady, Salween, Menam Chao Phraya e Mekong) e, dall'altra, la Malacca e le isole dell'Indonesia.
Nella regione idrografica che va dalla catena montuosa dei Dangrek a nord, al lago Tonle Sap ad ovest ed a tutto il medio e basso corso del Mekong, tra l'VIII e il XIII sec. d.C. fiorì la civilità Khmer. Sin dal suo esordio questo regno si configura con un complesso apparato burocratico e amministrativo: i principati, ovvero le antiche "città-stato" dei tre secoli precedenti, sono convertiti in province (pramān viṣaya) suddivise in villaggi e controllate da un governatore, a sua volta sottoposto all'apparato burocratico che faceva capo al "re", monarca assoluto. Il controllo di un così vasto e organizzato territorio che, nel X secolo, incorporerà anche la Thailandia orientale e centrale e il territorio del Champa (Vietnam), non può essere avvenuto senza la creazione di una rete di comunicazioni: le strade e un complesso sistema di canalizzazione che, abbiamo visto, era già utilizzato in periodo preangkoriano (VI-VII sec. d.C.). Il sistema di canalizzazione dell'intera area dove sorgerà Yashodarapura, prima, e Angkor, poi, fu realizzato, principalmente, per sfruttare al meglio le acque monsoniche e portarle alle risaie, ma senz'altro quei canali furono utilizzati anche come vie di comunicazione e trasporto di uomini e prodotti agricoli. Per ciò che concerne le strade, le testimonianze sono tutte relativamente tarde, risalgono, infatti, al regno di Jayavarman VII (1181-1219), a cui si deve la creazione di un grande sistema di comunicazione terrestre che univa i maggiori centri religiosi del regno: da Phimai (Thailandia) a Banteay Chmar e di qui ad Angkor. Le strade erano servite da ospedali e "case con il fuoco", dove il viaggiatore poteva rifocillarsi e riposare, posti a distanza regolare lungo il tracciato viario: dalle iscrizioni sappiamo che nei soli primi cinque anni di regno di Jayavarman VII vennero costruiti più di 100 ospedali e più di 120 rifugi per i pellegrini, se ne deduce, quindi, che il sistema viario doveva essere adeguato ad un tal numero di opere di pubblica utilità attraversando, verosimilmente, l'intero territorio del regno. Grazie a quelle strade e a quei canali i Khmer mantennero contatti diplomatici e commerciali con l'India e con la Cina: è dalla Cina meridionale (Prov. di Guangdong), infatti, che arrivarono il tornio e le tecnologie per creare fornaci capaci di mantenere la temperatura costante e alta (tra 900 e 1200 °C) atte a cuocere ceramiche ‒ a corpo duro coperto da invetriatura bruna o paglierina ‒ le cui forme sono spesso influenzate dalla contemporanea produzione fittile indiana; ed è ancora dalla Cina che provenivano le sete per ricoprire i seggi dei templi e le stoffe per farne stendardi. I testi, inoltre, ci informano sui sistemi di pagamento dei beni acquisiti o venduti: per le transazioni riguardanti terre o schiavi, ad esempio, il pagamento era effettuato in "misure" di oro e argento, e non si ha menzione di alcun tipo di monetazione ufficiale che sembrerebbe essere stata introdotta in Cambogia solo dopo il XVI secolo.
Il declino della potenza Khmer intorno alla metà del XIII secolo permise all'élite Tai ‒ agricoltori e guerrieri stanziati nella media e bassa valle del Menam Chao Phraya ‒ di conquistare una notevole indipendenza e di stabilire diverse entità politiche regionali (i muong) distribuite in una vasta area, dall'alta Birmania al Laos e dallo Yunnan al Vietnam: fra tutti, il muong sviluppatosi intorno alle due città di Sukhothai e di Si Satchanalai (o Sawankhalok) divenne dominante. Nel 1412, poi, Sukhothai cadeva sotto il dominio di un altro potente muong incentrato nella città di Ayutthaya (o Ayudhya), fondata nel 1351 alla foce del Menam Chao Phraya. Questi muong furono, innanzitutto, importanti centri commerciali come dimostra la loro dislocazione sul Menam Chao Phraya, navigabile dal Golfo di Thailandia per un lunghissimo tratto. Dal 1977, nelle acque del Golfo, è operante un progetto di ricerca archeologica subacquea del Dipartimento delle Antichità di Thailandia; fino ad oggi sono state identificate e scavate ben 7 navi ‒ di cui alcune locali, altre cinesi ‒ databili tra il XIV e il XVII secolo: la Sattahip, la Rang Kwien (o "nave delle monete cinesi"), la Patthaya, la Ko Kradat, le due Si Chang e la Samui. I loro carichi hanno permesso di ricostruire il commercio marittimo intercorso tra il Sud-Est asiatico e la Cina della dinastia Ming (1368-1644) e primi Qing (1644-1911). La Rang Kwien (o "nave delle monete cinesi") era sicuramente una giunca cinese, sia per la forma (chiglia, tipo di legno utilizzato e parti decorate della poppa), sia per il carico trasportato: zanne d'avorio, pellame, céladon e migliaia di monete di tipologie databili alle dinastie Tang (618-907), Song (960-1279), Yuan (1271-1368) e primi Qing (1644-1911). La forma di pagamento più comunemente accettata nel territorio dei muong di Sukhothai, Ayutthaya e, molto più tardi, durante il regno Thai, per tutto ciò che riguardava i commerci marittimi era, infatti, la moneta cinese. A parte il caso particolare della Rang Kwien, le navi trasportavano ceramica Thai (Sawankhalok e Sukhothai), ceramica cinese proveniente dalle fornaci della Cina sud-orientale databili alle dinastie Ming e Qing, céladon Longquan dei forni del Zhejiang (datati alla din. Yuan), insieme a ceramica annamita, soprattutto vasellame monocromo caratterizzato da colorazioni grigio-avorio, brune e nelle tonalità del céladon, prodotte nelle fornaci del Thanh-hoa (XIII-XIV sec.) e ceramiche dipinte all'ossido di cobalto (bianco e blu). Alcune navi, inoltre, trasportavano anche lingotti di piombo (probabilmente dalla Prov. di Kanchanaburi dove è attestato un sito specializzato nella produzione di lingotti di piombo) e ferro, quest'ultimo sia come materia prima che in forma di prodotti finiti. Alle soglie del XVI secolo Vasco de Gama (1469-1524) tornò in patria con un prezioso carico di spezie orientali dopo aver aperto la via marittima per le Indie doppiando il Capo di Buona Speranza: da quel momento la storia dell'Asia sudorientale si lega a quella dell'espansione commerciale e coloniale delle potenze europee per quasi cinquecento anni.
L. Mallaret, L'Archéologie du Delta du Mékong, Paris 1960-62; C. Renfrew, The Emergence of Civilization, London 1972; M. Pirazzoli-t'Serstevens, La Civilization du Royaume de Dian à l'époque Han, Paris 1974; K. Polanyi, L'economia come processo istituzionale, in K. Polanyi (ed.), Traffici e mercati negli antichi Imperi, Torino 1978, pp. 300-331; R. Ciarla, L'Antagonista Silenzioso: la Cultura Dian tra il II ed il I secolo a.C., in RStOr, 60, 1-4 (1988), pp. 45-87; C.F.W. Higham, The Archaeology of Mainland Southeast Asia, Cambridge 1989; M.B. Mitchiner - A.M. Pollard, Early Southeast Asian Currency Systems, Naples 1990; R. Ciarla, The Thai-Italian Lopburi Regional Archaeological Project: Preliminary Results, in I. Glover (ed.), Southeast Asian Archaeology 1990, London 1992, pp. 111-28; Id., La città delle scimmie, in Archeo, 11 (1994), pp. 42-53; C.F.W. Higham, The Bronze Age of Southeast Asia, Cambridge 1996; A. Reinecke, Bicephalus Earrings in Southeast Asia, Bonn 1996; J.C. White - V.C. Piggott, From Community Craft to Regional Specialization: Intensification of Copper Production in Pre-State Thailand, in B. Wailes (ed.), In Memory of V. Gordon Childe, Philadelphia 1996, pp. 151- 75; F. Rispoli, Ad Occidente è l'India. Alla ricerca delle radici del processo di indianizzazione nella Thailandia Centrale (Dottorato di Ricerca in Archeologia), Istituto Universitario Orientale di Napoli 1997; C.F.W. Higham - R. Thosarat, Prehistoric Thailand, Bangkok 1998.