Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Americhe
di Thomas R. Hester
In America Settentrionale sono documentati molti siti che furono importanti luoghi di scambio e commercio; tra di essi i più noti sono Cahokia, Chaco Canyon e Poverty Point. Oltre alle rotte commerciali che ponevano in collegamento questi centri con altri, talvolta situati a grande distanza, dovettero esistere altri circuiti di scambio (identificati attraverso dati archeologici o noti fin dal primo periodo storico), come ad esempio le rotte commerciali dell'ossidiana del Sud-Ovest e delle Grandi Pianure. Nel vasto sito di Cahokia (1100-1400 d.C.), appartenente alla cultura del Mississippi, abili artigiani erano impegnati nella produzione di molti beni che venivano commerciati con altri centri politici del Mississippi, nel Sud-Est degli Stati Uniti. Tra le specializzazioni artigianali di Cahokia vi erano la manifattura di grani e di elaborati pendenti di conchiglia, la lavorazione del rame in placche sbalzate e la costruzione di archi, per i quali si utilizzava il pregiato bois d'arc, legno ottenuto dalle foreste del Texas nord-orientale. Il ruolo di Cahokia come centro di commerci rifletteva dunque i suoi numerosi contatti politici all'interno della cultura del Mississippi. Ad esempio, l'élite di Spiro (Oklahoma) otteneva il bois d'arc e probabilmente lo commerciava con Cahokia: ciò spiegherebbe i numerosi manufatti in rame sbalzato rinvenuti nel primo sito e verosimilmente fabbricati nel secondo. Le conchiglie da cui si ricavavano grani e pendenti provenivano, attraverso il Sud- Est, dalla Florida e il loro circuito di scambio era controllato dal sito Mississippi di Etowah. L'area archeologica del Chaco Canyon (New Mexico settentrionale) comprende dieci siti principali, di cui il più vasto è Pueblo Bonito. Sebbene molte delle più recenti ricerche svolte nell'area siano state finalizzate alla comprensione di alcuni aspetti specifici, restano ancora da chiarire i meccanismi che portarono allo sviluppo di grandi pueblos, a rilevanti incrementi demografici, a un'intensa attività edilizia, alla creazione di un efficiente sistema viario e alla presenza di una grande varietà di beni esotici, frutto di commerci ad ampio raggio. S. Lekson ha ipotizzato che tra il 650 e il 900 d.C. i siti di quest'area siano stati centri di redistribuzione di prodotti agricoli attraverso il New Mexico nord-occidentale. Comunque, i gruppi Chaco si dedicavano al commercio anche per approvvigionarsi di pietre silicee di buona qualità, di ceramica e soprattutto di turchesi. Il sistema di scambio che permetteva la circolazione dei turchesi nel Sud-Ovest potrebbe avere avuto il suo punto nodale proprio nel Chaco Canyon, favorendo inoltre la creazione di alleanze con altre comunità Anasazi. Esistono anche chiare evidenze di contatti con le culture mesoamericane, con le quali dovette certamente esistere qualche forma di scambio di beni (quali i pappagalli dalle piume scarlatte, provenienti dall'America Centrale), forse attraverso il vasto centro di Casas Grandes (Chihuahua). Nel sito di Poverty Point (Louisiana) sono localizzati i più antichi terrapieni dell'America Settentrionale, risalenti forse al 1500 a.C. Il precoce sviluppo di questo insediamento è certamente connesso con il suo ruolo di importante centro di scambi o di redistribuzione, all'interno di un'estesa rete commerciale che poteva arrivare a coprire distanze di 1600 km, ma che si concentrava essenzialmente in un'area compresa tra 250 e 900 km dal sito. Il principale prodotto che veniva commerciato da Poverty Point era la pietra, sia quella impiegata per fabbricare utensili (che veniva spesso esportata come materia prima non lavorata), sia la steatite, l'ematite, lo scisto, il granito e vari altri materiali litici. Queste vaste reti commerciali ebbero comunque breve durata, cessando di esistere intorno al 1100 a.C.
Vie commerciali, alcune delle quali coinvolgevano sia centri di commercio, sia altri insediamenti che almeno in apparenza non dovettero esserlo, possono essere individuate in numerose aree dell'America Settentrionale. Tra di esse vi sono le rotte commerciali dei grani di conchiglia della California e del Nevada, quelle della selce esogena (come le ricerche archeologiche hanno documentato nel sito di Alibates), la cui antichità risale ai periodi Clovis e Folsom, nelle Pianure e quelle dell'ossidiana nelle Pianure e nel Sud-Ovest. L'ossidiana è uno tra i beni che più agevolmente possono essere impiegati per individuare antiche vie commerciali. Attraverso la fluorescenza ai raggi X o l'analisi per attivazione neutronica è possibile identificare la composizione chimica della maggior parte dell'ossidiana e risalire quindi alle sue fonti geologiche o ai suoi affioramenti. Anche prima dello sviluppo di queste metodologie di analisi, gli archeologi americanisti accertarono che le schegge d'ossidiana rinvenute nelle tombe Hopewell dell'Ohio provenivano probabilmente, attraverso rotte commerciali, dalle Montagne Rocciose, ubicate a notevole distanza. Grazie all'ausilio della chimica nucleare, che consente di identificare i tipi e i giacimenti di ossidiana, esiste oggi una vasta letteratura sulle vie commerciali di questa materia prima in California, nel Sud-Ovest, nelle Grandi Pianure e nel Texas. Studi di questo tipo sono stati ad esempio effettuati sulle antichissime vie commerciali attraverso cui l'ossidiana proveniente dal Messico centrale raggiungeva un sito del Texas risalente al periodo Clovis (11.500 anni fa). Il commercio dell'ossidiana avrebbe comunque assunto grande importanza solo in epoche molto più recenti, intorno al 1400 d.C., ad opera dei commercianti specializzati del Sud-Ovest (come attestato ad esempio nel sito di Pecos Pueblo), ma anche di quelli delle culture di caccia-raccolta delle Pianure. In quest'ultimo caso, l'ossidiana proveniente da Yellowstone, Wyoming (Obsidian Cliff ) e Malad (Idaho) veniva distribuita dalle regioni settentrionali a quelle meridionali attraverso la rete commerciale delle Pianure, che si estendeva fino al Texas meridionale.
Mezzi di trasporto fluviale e terrestre rendevano possibile la circolazione dei beni all'interno dei numerosi circuiti di scambio dell'America Settentrionale. Per i trasporti in regioni desertiche (come doveva forse avvenire nel Sud-Ovest degli Stati Uniti, nelle relazioni tra Casas Grandes, in Messico, e il Chaco Canyon, nello Stato del New Mexico), articoli commerciali quali ornamenti di conchiglia, rame e turchese venivano quasi certamente trasportati a spalla, utilizzando ceste o involti di pelli. Queste transazioni dovevano essere gestite da gruppi di commercianti che recavano le loro merci da un sito all'altro, allo stesso modo dei celebri pochteca del Messico centrale. Venivano costruiti "zaini" con un'intelaiatura di legno, simili alle culle rinvenute all'interno di grotte aride del Sud-Ovest e del Gran Bacino, o cesti che erano sostenuti mediante fasce poggianti sulla fronte, come documentato da fotografie etnografiche del XIX secolo di gruppi del Gran Bacino. I commercianti che si spostavano a piedi percorrevano gli antichi cammini che collegavano i vari villaggi e che sono ben documentati in California, dove si estendevano dal confine con il Messico fino all'Oregon. L'efficiente sistema di scambi ad ampio raggio gestito dalla cultura del Mississippi si avvaleva principalmente dei trasporti fluviali: in tal modo i beni si spostavano dai luoghi di produzione (come Cahokia) a quelli di consumo (comunità più piccole e isolate o centri con cui esistevano relazioni di scambio, quali Moundville o Etowah). La spedizione di Hernando de Soto del XVI sec. d.C. incontrò imbarcazioni che misuravano oltre 24 m e che potevano trasportare 75 individui. Si è anche ipotizzato che la decorazione incisa presente su una tazza in conchiglia rinvenuta nel sito di Spiro possa rappresentare una mappa delle vie di collegamento tra i maggiori centri commerciali Mississippi. In tale decorazione, formata da circoli uniti mediante linee, il circolo più grande rappresenterebbe la città di Cahokia. La mappa, che potrebbe indicare in forma simbolica rotte o vie commerciali, appare sorprendentemente simile a un'antica carta del XVIII sec. d.C. in cui sono riportati i percorsi di collegamento tra i villaggi Chicasaw, nel Sud-Est degli Stati Uniti. Canoe di tronchi scavati vennero certamente utilizzate lungo i corsi d'acqua minori per trasportare mercanzie verso centri secondari, quali i villaggi agricoli; esse dovettero assolvere un ruolo di rilievo anche nella rete di scambi documentata per le regioni del Midwest e della costa atlantica degli Stati Uniti. Nei principali laghi e fiumi di alcune di queste aree potevano inoltre essere utilizzate anche imbarcazioni di dimensioni maggiori, simili a quelle documentate nella cultura del Mississippi. Sulla costa della California i Chumash costruivano canoe di tavole di legno, che consentivano loro di raggiungere le isole Channel, dove si concentrava la fabbricazione su vasta scala di grani di conchiglia, un bene di grande importanza nelle relazioni commerciali tra California, Gran Bacino e Sud-Ovest. Si ritiene che le canoe Chumash venissero utilizzate per trasportare queste e altre merci lungo le coste della California, sebbene, una volta raggiunta la terraferma, la maggior parte dei prodotti si muovesse per via terrestre. Non è chiaro se le imbarcazioni impiegate nelle transazioni commerciali avessero vele. Una relazione inglese del XVII sec. d.C. riferisce di barche con vele e remi sulla costa atlantica degli Stati Uniti, attribuendo la presenza delle prime a influssi europei. Anche le grandi imbarcazioni dei gruppi della costa nord-occidentale, utilizzate nella caccia alla balena, nella pesca, nella guerra e nel commercio, furono dotate di vele solo dopo l'arrivo dei commercianti europei di pellicce, alla fine del XVIII secolo.
In America Settentrionale i più comuni contenitori utilizzati dai gruppi preistorici erano costituiti da ceste, reti, borse di pelle e vasi in ceramica; sulla costa nord-occidentale si fabbricavano ciotole e altri tipi di recipienti. Studi etnografici e fonti etnostoriche attestano che i commercianti che si muovevano lungo le rotte terrestri trasportando le merci a piedi utilizzavano borse e ceste come contenitori di una grande quantità di mercanzie. I dati archeologici relativi al Gran Bacino segnalano l'uso di canestri da immagazzinaggio, così come quello di grandi ceste provviste di fasce che, passando sulla fronte o sul torace, ne consentivano il trasporto sul dorso. In alcuni depositi in grotte aride degli Stati Uniti occidentali sono state inoltre rinvenute borse di rete contenenti semi, noci e altri cibi, che potrebbero essere state impiegate nei commerci, specificatamente per il trasporto di prodotti non troppo pesanti. Borse o "involti" di pelli erano probabilmente usati nelle prime forme di trasporto di beni; essi potevano essere sia caricati sul dorso dei mercanti, forse mediante fasce, sia sospesi a un palo sorretto da due portatori. Nel Sud-Ovest e nell'Est degli Stati Uniti recipienti di ceramica erano verosimilmente utilizzati nel commercio, benché essi si potessero facilmente rompere durante il viaggio; nelle regioni nord-occidentali alcuni contenitori da trasporto erano fabbricati con corteccia di betulla.
Sui centri e le vie di commercio:
L.S. Cordell, Ancient Pueblo Peoples, Montreal 1994; J.L. Gibson, Empirical Characterization of Exchange Systems in Lower Mississippi Valley Prehistory, in T. Baugh - J. Ericson (edd.), Prehistoric Exchange Systems in North America, New York 1994, pp. 127-76; R.H. Lafferty, Prehistoric Exchange in the Lower Mississippi Valley, ibid., pp. 177- 213; Th.R. Hester, The Prehistory of South Texas, in BTexasASoc, 66 (1995), pp. 427-60; S.H. Lekson, Chacoan Phenomenon, in B.M. Fagan (ed.), Oxford Companion to Archaeology, New York 1996, pp. 129-30.
Sui mezzi di trasporto:
C.R. Edwards, Aboriginal Sail in the New World, in SouthWestJAnthr, 21 (1965), pp. 351-58; D.D. Fowler - C.S. Fowler, Anthropology of the Numa: John Wesley Powell's Manuscripts on the Numic Peoples of Western North America, Washington 1971; T. Hudson - J. Timbrook - M. Rempe (edd.), Tomol: Chumash Watercraft as Described in the Ethnographic Notes of John P. Harrington, Socorro 1978; R.M. Stewart, Late Archaic through Late Woodland Exchange in the Middle Atlantic Region, in T. Baugh - J. Ericson (edd.), Prehistoric Exchange Systems in North America, New York 1994, pp. 73-98; J.V. Wright, The Prehistoric Transportation of Goods in the St. Lawrence River Basin, ibid., pp. 47-72.
Sui contenitori da trasporto:
S.A. Barrett - E.W. Gifford, Miwok Material Culture, Milwaukee 1933; H.E. Driver - W.C. Massey, Comparative Studies of North American Indians, Philadelphia 1957; D.D. Fowler - J.F. Matley, Material Culture of the Numa: the John Wesley Powell Collection 1867-1880, Washington 1979.
di Christine Niederberger
Nella celebre lettera del 30 ottobre 1520 all'imperatore Carlo V, il conquistador spagnolo Hernán Cortés manifestò il suo stupore davanti alle vaste dimensioni e alla ricchezza dei mercati nella capitale azteca, Tenochtitlan. Nel quartiere di Tlatelolco, oltre 70.000 individui si riunivano ogni giorno per vendere o acquistare prodotti di ogni tipo di provenienza locale, regionale o foranea. Le transazioni interessavano sia generi alimentari (mais, fagioli, zucche, amaranto, peperoncino fresco o secco, avocado, sale, miele, cacao, cacciagione, tacchini, anatre, serpenti, tartarughe, alghe lacustri), sia beni utilitari non deperibili (ossidiana, selce, utensili in rame, vasellame, pietre da macina, abiti di cotone o di fibre d'agave). Le mercanzie comprendevano anche articoli preziosi o ornamentali quali polvere d'oro, sostanze per tintura, conchiglie marine, pietre fossili, oggetti d'oreficeria e piume di uccelli sia comuni, sia esotici. Alcuni beni di prestigio, quali mantelli di cotone decorati da motivi simbolici, giada, turchesi e piume di quetzal (uccello della foresta tropicale), erano riservati al sovrano (tlatoani) e alla nobiltà; tali beni, che erano spesso ottenuti grazie al tributo delle province conquistate, non circolavano nei mercati pubblici, ma venivano convogliati nelle reti di scambio e di redistribuzione gestite dall'aristocrazia e da classi di commercianti specializzati (pochteca). Il giovane impero azteco era quindi riuscito a creare una vasta e solida rete, a flusso centripeto, di prodotti provenienti dalle regioni tributarie. Tuttavia queste attività di esazione di tributi e di scambi si avvalevano di un complesso sistema di comunicazione preesistente che, seguendo una tradizione plurimillenaria, assicurava una regolare circolazione di beni, a volte anche su notevoli distanze. Questo sistema presupponeva l'esistenza di corporazioni di amministratori, mercanti, carovane di trasportatori (tlameme), collaboratori commerciali o esattori nei grandi centri regionali, magazzini e soprattutto una rete fitta e diversificata di vie di comunicazione terrestri, fluviali e marittime. Poco prima della Conquista, una delle vie terrestri interregionali più utilizzate collegava la Valle di Messico, a 2200 m s.l.m., con il centro di Tuxtepec (Oaxaca), situato sulla riva del Papaloapan, a 200 m s.l.m., passando per Cuautla (Morelos), Izucar de Matamoros e Tehuacán (Puebla). Da Tuxtepec la strada si divideva in due rami, uno diretto verso la costa pacifica attraverso l'istmo di Tehuantepec, l'altro verso l'Atlantico e la costa del Tabasco, dove erano situate le potenti città mercantili indipendenti di Xicalango e Itzamkanak dei Maya Chontal, fuori della sfera di influenza politica azteca. Secondo le carte indigene disegnate su cotone che furono mostrate a Cortés, tale strada proseguiva, per terra e per mare, verso Nito (Guatemala), giungendo fino a Naco (Honduras). E. Thompson ha definito i Maya Chontal del Tabasco e del Campeche (la cui economia era caratterizzata dal commercio marittimo) i Fenici del Nuovo Mondo. Gli Aztechi avevano attribuito a questa regione, che costeggia il mare ed è costellata di corsi d'acqua, lagune e estuari, il nome di Acalan, o "paese delle canoe". I Maya Chontal, chiamati anche Putún, compivano su imbarcazioni monoxile importanti spedizioni e si assicuravano anche, grazie al cabotaggio attorno alla Penisola dello Yucatán, i contatti con tutti i porti e i domini Maya della regione, fino alle coste dell'Honduras. Fu proprio nelle vicinanze delle Isole della Baia, nel Golfo dell'Honduras, che le caravelle di Colombo durante il quarto viaggio dell'esploratore nel Nuovo Mondo ebbero modo di incontrare un'imbarcazione indigena carica di mercanzie, larga circa 2,5 m e condotta da un uomo anziano e da un equipaggio di 25 uomini. Essa trasportava anche donne e bambini, nonché numerosi beni, in particolare tuniche di cotone di vari colori, lance di legno dotate di taglienti lame di ossidiana, accette di rame, birra di mais e grani di cacao. Nelle regioni della Costa del Golfo la navigazione e le vie fluviali avevano anch'esse molta importanza. Itzamkanac, situata lungo il fiume La Candelaria, si trovava al centro di una vasta rete fluviale di scambi mercantili tra l'interno del Paese e la Laguna de Términos, sulla costa. Come a Xicalango, i mercanti aztechi avevano installato a Itzamkanac una delegazione permanente e spie travestite da commercianti. I Maya Chontal, spesso poliglotti, facevano da tramite tra il mondo Nahua delle regioni settentrionali e i mercanti Maya (ppolom) dello Yucatán e del Guatemala. Altre vie terrestri collegavano direttamente Itzamkanac a Naco (Honduras), traversando le foreste del Petén e la città di Tayasal. Alcuni tratti di queste vie di comunicazione rappresentano rilevanti opere di ingegneria viaria. La strada o sacbé che unisce il sito di Cobá (Quintana Roo) a Yaxuná (Yucatán), per una distanza di 100 km, ne è un esempio. Un sacbé veniva costruito su una solida fondazione di lastre calcaree ricoperte da pietre e malta, così da creare una superficie levigata, poi ulteriormente rivestite di cemento o stucco. L'innalzamento della strada rispetto al suolo circostante generalmente non superava l'altezza di 1,2 m, ma poteva raggiungere i 3 m nelle regioni paludose. Dovettero probabilmente esistere vie di comunicazione marittime che coprivano grandi distanze anche lungo la costa pacifica della Mesoamerica. Alcuni ricercatori ritengono che proprio attraverso questa via la metallurgia abbia raggiunto dall'America Centrale e Meridionale la parte occidentale del Messico verso la fine del I millennio d.C. Comunque sia, alcune fonti riportano che flottiglie di canoe, provenienti da terre lontane situate a sud, raggiungevano con regolarità le coste di Zacatula, alla foce del Balsas. Quanto alla navigazione fluviale, è interessante notare che sul Balsas, importante asse di comunicazione, essa si effettuava su zattere sostenute da file di voluminose zucche che fungevano da efficienti galleggianti. Alcune vie terrestri lungo la Sierra Madre occidentale sembrano del resto avere collegato fin dalle prime fasi agricole il Messico occidentale con il Sud-Ovest degli Stati Uniti. Più a sud, lungo la costa dell'Oaxaca, nel XV sec. d.C. le reti di scambio erano sotto il controllo della potente capitale Tututepec, che esercitava una sorta di monopolio su alcuni beni, come le piume di quetzal, e garantiva le comunicazioni non soltanto lungo la costa, ma anche tra le alteterre e le pianure. Si è spesso sottolineato come i contrasti topografici, geologici e bioclimatici esistenti in Mesoamerica tra regioni vicine siano stati determinanti per lo sviluppo delle comunicazioni e di relazioni economiche simbiotiche. Già presso le società di caccia- raccolta circolavano materie prime assai apprezzate nell'industria litica, come l'ossidiana, le cui principali fonti di approvvigionamento sono situate nel Michoacán, nella Valle di Messico e presso El Chayal (Guatemala). Le ricerche hanno rilevato che le reti di scambio, definitesi probabilmente nella fase di evoluzione delle tecniche agricole e della vita di villaggio, raggiunsero un notevole sviluppo alla fine del II millennio a.C. La lista dei beni che circolavano in questo periodo comprendeva giada, serpentina, ossidiana, specchi di minerali di ferro levigati, ambra, bitume, terracotta, cotone, pigmenti, carapaci di tartaruga e conchiglie marine. Ogni sistema strutturato di circolazione di beni materiali comporta necessariamente l'esistenza di un secondo sistema parallelo, ugualmente sviluppato, di scambio di conoscenze: grazie a tale doppio canale di comunicazione, una sorta di simbiosi culturale accompagna quella economica. Così, a partire dalla fine del II millennio a.C., lo sviluppo di sistemi condivisi di credenze e di tradizioni stilistiche, che definì il percorso culturale mesoamericano, derivò senza dubbio almeno in parte da questa prolungata osmosi economica tra regioni molto diverse per composizione etnica e risorse materiali.
F. Scholes - R.L. Roys, The Maya Chontal Indians of Acalan-Tixchel, Washington 1948; T.A. Lee - C. Navarrete (edd.), Mesoamerican Communication Route and Cultural Contacts, Provo 1978; K.G. Hirth (ed.), Trade and Exchange in Early Mesoamerica, Albuquerque 1984; Ch. Niederberger, Paléopaysages et archéologie pré-urbaine du Bassin de Mexico, Mexico 1987.
di Michael E. Smith
Le culture mesoamericane intrattennero, a livello sia intraregionale che interregionale, un'estesa rete di commerci e di scambi. Gli ecosistemi erano estremamente diversificati e in molte aree si svilupparono specializzazioni locali che favorirono la formazione di sistemi di scambio. Per lo spostamento delle merci venivano impiegati quasi esclusivamente portatori umani e ciò rendeva estremamente costosi i trasporti; non erano utilizzati né animali, né veicoli a ruote e solo pochi fiumi erano navigabili. Gli spostamenti a lunga distanza di derrate alimentari e di altre merci ingombranti erano dunque rari e inefficienti. Negli scambi a vasto raggio queste limitazioni accentuarono l'importanza dei beni di prestigio di peso ridotto, quali quelli tipici dei bassopiani tropicali (variopinte piume di uccello, pelli di animali selvatici e semi di cacao), così come di ceramiche, di tessuti e dell'ossidiana, impiegata per la fabbricazione di strumenti e di ornamenti personali.
Fra i beni oggetto di commercio su cui si possiedono maggiori informazioni vi sono la ceramica, l'ossidiana, i tessuti, oggetti deperibili di ambiente tropicale, pietre preziose e metalli. Benché la ceramica sia relativamente pesante e voluminosa, essa fu intensamente commerciata in tutti i periodi. Alcuni vasi venivano utilizzati come contenitori di altre merci; ad esempio, il sale della Valle di Messico era commerciato attraverso il Messico centrale in rozzi recipienti del tipo Texcoco Fabric-Marked. Gran parte della ceramica oggetto di commercio era comunque costituita da vasellame da portata, usato come mezzo di ostentazione sociale e in particolari contesti conviviali. Un certo numero di tipi ceramici fu ampiamente diffuso, particolarmente nei periodi Classico e Postclassico, in vaste regioni della Mesoamerica. Dal Preclassico Recente al Periodo Classico, intensi scambi interessarono la ceramica Usulután di El Salvador, diversi tipi di vasi e piatti Maya di stile Policromo e la ceramica Naranja fina (Fine orange) di Teotihuacan (Messico centrale). Nei periodi Classico Recente e Postclassico, la ceramica Naranja fina della Costa del Golfo e quella Plomiza (Plumbate) della costa guatemalteca vennero commerciate in tutta la Mesoamerica, così come, durante il Postclassico, quelle di stile Cholula Policromo e Azteco III Nero-su-Arancio della Valle di Messico. Analisi petrografiche e di caratterizzazione chimica (con il metodo dell'attivazione neutronica) hanno documentato modelli di produzione regionale e di scambio in molte aree. Ad esempio, analisi chimiche della ceramica di stile Azteco III Nero-su-Arancio hanno rivelato che essa, benché stilisticamente omogenea nell'intera Valle di Messico, veniva di fatto prodotta in tre o quattro località distinte e circolava entro reti di scambio autonome. Gli strumenti di ossidiana erano ampiamente utilizzati in ragione della loro efficienza: le lame prismatiche di questo materiale hanno infatti un tagliente estremamente affilato. I giacimenti geologici di ossidiana sono scarsi e differiscono per la composizione degli elementi in traccia, rendendo utile lo studio su base chimica delle fonti. L'attivazione neutronica e la fluorescenza ai raggi X sono le tecniche di analisi più comuni utilizzate su molti campioni di ossidiana mesoamericana. L'ossidiana più commerciata apparteneva a una varietà tecnologicamente superiore, proveniente dall'affioramento di Pachuca (Messico centrale); essa ha un caratteristico colore verde, facile da riconoscere senza fare ricorso ad analisi chimiche. Nella Mesoamerica meridionale la maggior parte dell'ossidiana proveniva dagli affioramenti di El Chayal e Ixtepeque (altipiani del Guatemala). Un'interessante caratteristica degli scambi di ossidiana è che nei pressi di ogni insediamento sono stati rinvenuti manufatti provenienti da un gran numero di fonti geologiche; perfino nei centri estrattivi in prossimità dei principali affioramenti e miniere (come Otumba e Teotihuacan) si rileva la presenza, oltre a quello locale, di materiale proveniente da fonti diverse. Per l'elevato investimento di manodopera necessario alla loro produzione, i tessuti furono un bene di primaria importanza negli scambi a lunga distanza, rappresentando uno dei mezzi principali di trasferimento di risorse economiche tra regioni diverse. I documenti risalenti al primo periodo coloniale attestano una vasta circolazione di tessuti di cotone e agave. Questi prodotti erano i più comuni articoli di tributo nell'impero azteco: tessuti di cotone di tipo standardizzato (quachtli ) venivano utilizzati come forma monetale nei mercati. In ragione dell'alta deperibilità, pochissimi esemplari sono stati rinvenuti negli scavi archeologici, mentre si sono conservati gli strumenti usati per filare (fuseruole di ceramica e, in alcune regioni, piccole sfere). Le fuseruole apparvero per la prima volta nel Periodo Classico lungo la Costa del Golfo; in seguito, nel Postclassico, si diffusero in tutta la Mesoamerica, comprovando una vasta produzione tessile. Prima della comparsa delle fuseruole di ceramica, il cotone e l'agave venivano filati con fuseruole in materiale deperibile: è dunque difficile documentare l'importanza dei tessuti per i periodi più antichi. Un'ampia varietà di beni in materiali deperibili provenienti dall'area tropicale era oggetto di commerci e tributi all'epoca della Conquista; evidenze indirette indicano che molti furono intensamente commerciati anche nei periodi più antichi. I semi di cacao, che erano coltivati nei bassopiani costieri tropicali, rappresentavano nell'economia azteca una seconda forma di moneta e le loro rappresentazioni sono molto frequenti nella ceramica del Periodo Classico. Le variopinte piume di uccello costituivano importanti articoli suntuari e di abbigliamento cerimoniale in molte culture mesoamericane; particolarmente apprezzate erano quelle, di colore verde brillante, della coda del quetzal, il cui areale è limitato alle regioni di media altitudine del Messico meridionale e del Guatemala. Le pelli di giaguaro, che furono un simbolo di regalità presso molte società, erano anch'esse commerciate dall'area tropicale alle regioni montane. Questi e altri prodotti delle basseterre costituivano beni di peso ridotto, molto apprezzati e richiesti dalle monarchie e dalle élites. Diversi tipi di pietre preziose di limitata distribuzione naturale erano anch'essi molto ricercati sia dalle élites, sia dagli individui comuni. Pietre dal colore verde brillante o blu figuravano tra le merci più pregiate; tra queste la giada della Costa Rica e del Guatemala, la giadeite di varia provenienza e il turchese del Sud-Ovest degli Stati Uniti. Il loro alto valore derivava dall'importanza simbolica attribuita ai colori verde e blu, dalla rarità delle rocce e dalla raffinatezza degli ornamenti personali che se ne ricavavano. Altre pietre preziose ampiamente commerciate erano il cristallo di rocca, la mica, l'onice e l'alabastro. Riguardo ai metalli, l'oro e il bronzo furono importanti merci di scambio nei periodi più tardi. Ornamenti personali e oggetti cerimoniali in oro, fabbricati nell'Oaxaca e in America Centrale, vennero intensamente commerciati nel Classico e nel Postclassico, mentre strumenti e gioielli di bronzo provenienti dall'area tarasca (Messico occidentale) ebbero ampia diffusione in Mesoamerica durante il Postclassico Recente.
Le più antiche forme di scambio a vasto raggio risalgono ai primi abitanti della Mesoamerica, che utilizzavano l'ossidiana per fabbricare gli strumenti necessari alle attività di caccia-raccolta. Con l'affermarsi dell'agricoltura, della sedentarietà e della produzione fittile, l'intera Mesoamerica si trovò collegata da scambi a lunga distanza di oggetti e di idee. Durante il periodo Preclassico Antico e Medio, tra i domini (chiefdoms) di varie aree mesoamericane circolava un'ampia varietà di beni: strumenti di ossidiana, recipienti fittili, specchi di ferro nativo, ornamenti di conchiglia e altri prodotti animali, quali carapaci di tartaruga e spine di razza. Questo commercio è attestato nei centri olmechi della Costa del Golfo, a San José Mogote (e in altri siti nella valle di Oaxaca) e a Chalcatzingo (Morelos). Molti beni erano costituiti da articoli suntuari, la cui produzione e il cui scambio venivano controllati dalle élites, che li usavano come mezzi di ostentazione rituale e sociale, nel quadro di quella che è stata denominata un'"economia di beni di prestigio". Durante il Periodo Classico l'importanza del commercio perdurò, ma in forma diversa rispetto alle "economie di beni di prestigio" del Preclassico. Formazioni politiche complesse furono impegnate in traffici commerciali più intensi e molti beni d'importazione divennero accessibili a individui di basso status. Nel Messico centrale Teotihuacan fu il centro di una vasta rete controllata dallo Stato: strumenti di ossidiana, ceramica Naranja fina e altri manufatti erano scambiati con beni provenienti dalle pianure tropicali, riservati alle élites. Un gruppo di mercanti zapotechi risiedeva a Teotihuacan per facilitare gli scambi con Monte Albán (valle di Oaxaca). Le città Maya del Classico erano coinvolte in attivi sistemi di scambio regionale, ma il commercio a lunga distanza era forse meno frequente che in altri stati mesoamericani. Per i loro strumenti da taglio i Maya utilizzavano di preferenza la selce del Belize, mentre l'ossidiana rinvenuta in molti siti doveva essere impiegata per la realizzazione di oggetti rituali. L'ossidiana Pachuca di Teotihuacan è stata identificata in molti giacimenti Maya. Dopo la caduta di Teotihuacan, la rete commerciale mesoamericana fu soggetta a nuovi mutamenti. Nel Messico centrale, con l'affermazione politica di centri quali Xochicalco, Cacaxtla e Teotenango, il circuito di scambi si decentrò. Queste città intrattennero vari tipi di relazioni con quelle delle basseterre Maya. Il commercio e la diffusione di stili si intensificarono sia sulla costa atlantica sia su quella pacifica, secondo una tendenza che si sarebbe manifestata anche nel Postclassico Antico. I sistemi di scambio dell'impero azteco (Postclassico Recente) erano vari, a vasto raggio e altamente strutturati. Mercanti specializzati organizzavano grandi spedizioni e in quasi tutti i villaggi e le città dovevano esistere mercati; diversi tipi di moneta erano in uso contemporaneamente e l'esazione di tributi faceva affluire una vasta quantità di beni nella capitale, Tenochtitlan. Una delle strategie dell'impero azteco consistette nell'incoraggiare i mercati e il commercio in tutto il territorio: i dati archeologici e le fonti documentarie rilevano per questo periodo un consistente incremento del volume degli scambi. Sebbene l'assenza di fonti scritte renda difficile ricostruire i modelli economici del periodo preazteco, la gran quantità di beni ottenuti attraverso commerci rinvenuta in molti siti attesta un ruolo centrale dello scambio durante tutti i periodi; attraverso innovativi metodi di indagine è stato possibile ipotizzare che il commercio organizzato in centri di mercato sia stato prevalente in alcune società mesoamericane ben prima dell'affermarsi dell'impero azteco. Anche se l'economia mesoamericana si fondava sul commercio e sul mercato, essa non fu comunque un'economia di tipo capitalista, in quanto la terra e il lavoro non erano beni che potessero essere venduti e comprati.
In Mesoamerica i trasporti erano effettuati da portatori e da canoe; la ruota non era utilizzata, sebbene il concetto fosse noto (come attestano piccole figurine fittili zoomorfe, forse giocattoli o oggetti rituali, provviste di ruote con assi). Due ragioni spiegano l'assenza di veicoli su ruota: in primo luogo la mancanza di animali domestici da traino o da soma e, secondariamente, i territori montuosi di una vasta area della Mesoamerica, difficili da percorrere con veicoli a ruota in assenza di un'efficiente rete viaria. I portatori (tlameme in Nahuatl e ah pitan in Maya Pokomam) caricavano pesi sulla schiena entro canestri o contenitori di fibre vegetali, fissati su intelaiature di legno e sostenuti mediante una fascia di stoffa che poggiava sulla fronte. Le fonti etnostoriche forniscono dati sul ruolo e sull'organizzazione dei portatori durante il Periodo Postclassico Recente (1300-1500 d.C. ca.), mentre le informazioni sono molto scarse per quanto riguarda i periodi più antichi. Presso gli Aztechi questa era un'attività specializzata, ereditaria e a tempo pieno. Alcuni portatori lavoravano per conto di mercanti nelle spedizioni commerciali a lunga distanza, mentre altri erano assoldati da sovrani e nobili per il trasporto di tributi, doni e beni commerciali. I portatori percorrevano distanze tra 20 e 30 km ogni giorno, caricando pesi da 20 a 30 kg; il carico standard era di 23 kg. Sebbene generalmente i tlameme aztechi fossero liberi cittadini, anche gli schiavi potevano essere utilizzati per il trasporto. Molti operavano presso città-stato locali, muovendosi all'interno delle regioni di appartenenza; generalmente essi trasportavano i carichi dalla loro città di origine a una adiacente, anche se questa si trovava in una città-stato diversa. In Mesoamerica molte strade erano più strette di un sentiero. I Maya del Periodo Classico costruirono cammini sopraelevati (sacbé ) all'interno e tra città diverse, ma essi erano utilizzati soprattutto per deambulazioni rituali. Tenochtitlan, la capitale azteca, sorgeva su un'isola collegata alla terraferma per mezzo di strade rialzate con ponti. Molte strade, comunque, erano costituite da stretti sentieri che attraversavano montagne e pianure, collegando città vicine; portatori e truppe vi camminavano in fila. Per i trasporti sull'acqua venivano impiegate canoe monoxile, le cui dimensioni variavano da piccole imbarcazioni a uno o due posti a lunghe navi che potevano ospitare fino a 60 individui. La presenza di approdi costieri lungo la Penisola dello Yucatán attesta che il commercio marittimo su canoa venne praticato dai Maya durante tutti i periodi, anche se la frequenza delle relazioni commerciali lungo il litorale aumentò considerevolmente nel Postclassico. Minori sono i dati disponibili riguardo al commercio via mare sulla costa pacifica, sebbene una cronaca riporti che mercanti marittimi stranieri, provenienti da lontane aree meridionali, trascorrevano l'inverno nel porto di Zacatula, sulla costa pacifica, attendendo di fare ritorno in patria con mari più tranquilli. Alle relazioni commerciali lungo il litorale pacifico si deve l'introduzione della metallurgia del bronzo nel Messico occidentale durante il Periodo Postclassico. Le canoe erano utilizzate anche per il commercio fluviale, sebbene esso non rivestisse la stessa importanza di quello marittimo. In Mesoamerica la maggioranza delle rotte commerciali, che correvano da una città all'altra, non seguiva il corso dei fiumi. Per l'approvvigionamento della città insulare di Tenochtitlan le canoe furono più importanti dei cammini sopraelevati. Hernán Cortés e altri soldati spagnoli descrissero migliaia di canoe, di varie dimensioni, che ogni giorno trasportavano persone e beni nella e dalla capitale azteca. Queste imbarcazioni erano in grado di raggiungere i luoghi di mercato e altri settori della città mediante un sistema di canali che attraversava l'insediamento. Canoe simili, monoxile e con le estremità squadrate, sono ancora oggi in uso presso gli agricoltori delle chinampas a sud di Città di Messico. Il fatto che gli spostamenti di beni si fondassero sul trasporto umano produsse alti costi e ciò ebbe molte importanti conseguenze. In primo luogo, la maggior parte dei centri urbani fu di dimensioni relativamente modeste: infatti, se le granaglie dovevano essere trasportate a spalla, il sostentamento di una vasta popolazione era particolarmente arduo. Il trasporto a lunga distanza di granaglie era assolutamente non redditizio, dal momento che i portatori avrebbero consumato in viaggio molto del loro carico. Le sole città che potessero superare le limitazioni dei costi dell'importazione di cibo erano potenti capitali politiche (ad es., Tenochtitlan, Teotihuacan e Chichén Itzá), le cui classi dirigenti ottenevano granaglie attraverso canali commerciali o politici. In secondo luogo, il commercio a lunga distanza tese ad enfatizzare l'importanza di due tipi di beni: beni di prestigio, di elevato valore, di uso sociale ristretto e di scarso ingombro o peso, e beni utilitari, di poco ingombro e altamente richiesti (quali il sale e l'ossidiana). Una terza implicazione degli alti costi di trasporto fu che l'organizzazione degli spostamenti di merci venne istituzionalizzata, divenendo più efficiente durante il Postclassico come risposta all'intensificazione degli scambi. Nei secoli immediatamente precedenti la Conquista il regime degli scambi crebbe in tutta la Mesoamerica, producendo una maggiore specializzazione e organizzazione di mercanti e portatori (sia specialisti, sia schiavi). In tutti i periodi gli elevati costi di trasporto non limitarono comunque il commercio di beni utilitari; durante il Postclassico, nella Mesoamerica settentrionale vasi utilitari di ceramica decorata vennero commerciati in grandi quantità attraverso sistemi di mercato. L'inefficienza dei metodi di trasporto pose dunque alcune limitazioni alla natura dei commerci e all'urbanesimo, ma tali limitazioni vennero superate nel Postclassico dalle potenti capitali politiche e dallo sviluppo di scambi specializzati.
Per il trasporto delle merci i mercanti e i portatori di tributi mesoamericani impiegarono un'ampia varietà di contenitori. La più esauriente documentazione in merito proviene dalla lista dei tributi imperiali riportata nel Codice Mendoza, che cita i contenitori utilizzati per il loro trasporto. In alcuni casi, le quantità dei beni venivano misurate attraverso determinate tipologie di contenitori; ad esempio, i registri dei tributi comprendevano descrizioni quali "venti ciotole di zucca di polvere fina di oro; cinque borse di cocciniglia". Ampie ceste di fibre vegetali erano impiegate per trasportare semi di cacao, peperoncini essiccati, polvere di limoni e cotone grezzo; piccole ceste quadrate contenevano resina di copale, utilizzata come incenso. Per il trasporto di piume e cocciniglia da tintura ci si serviva di borse di tessuto o di pelle, mentre ciotole fittili o ricavate da zucche erano i contenitori per polveri d'oro. Mais e granaglie venivano misurati in barili di legno, ma non è chiaro se questi contenitori fossero utilizzati anche per il loro trasporto. Nel Codice Mendoza molti tipi di recipienti di ceramica figurano come contenitori per i tributi. Il miele di api era trasportato in piccoli vasi e quello di maguey in giare di dimensioni maggiori. Entrambi i tipi di contenitori sono rappresentati sotto forma di alti vasi provvisti di manici verticali a occhiello e chiusi da un reticolo di corda, che era probabilmente usato per fissare i vasi all'intelaiatura da trasporto impiegata dai portatori. Vasi fittili venivano utilizzati anche per il liquidambar (resina medicinale), mentre i turchesi erano contenuti in ciotole di ceramica. Altre fonti documentarie spagnole citano come contenitori per le merci vasi di ceramica, ceste e reti. Dei vari tipi di contenitori riportati nel Codice Mendoza e in altri documenti, solo i vasi di ceramica sono stati identificati nei siti archeologici. I contenitori fittili da trasporto non presentano forme altamente standardizzate. Nei siti generalmente si rinvengono numerosi recipienti di forma e grandezza variate ma spesso non è possibile distinguere i vasi utilizzati per il trasporto da quelli impiegati per la conservazione o per altre attività, anche nel caso di manufatti integri. Molti contenitori per il trasporto di sostanze solide presentano affinità con quelli per il miele raffigurati nel Codice Mendoza (alti vasi con strozzature al collo di misura media e manici verticali a occhiello, impiegati per fissare il contenitore all'intelaiatura da trasporto mediante corde). I vasi per liquidi tendono ad assumere forme più globulari, con strette strozzature al collo. Tranne che per la distinzione solido-liquido, non è generalmente possibile identificare i materiali specifici trasportati in questo tipo di recipienti. Un bene i cui contenitori da trasporto sono facilmente identificabili è il sale prodotto nel lago Texcoco (Valle di Messico) durante il Periodo Postclassico. Il sale veniva estratto dalle acque del lago sia per evaporazione solare, sia per bollitura ed era successivamente confezionato per la spedizione entro bacini prodotti in un caratteristico stile ceramico, denominato Texcoco Fabric-Marked. Questa ceramica, di pasta fine, presenta superfici profondamente marcate dalla pressione di fibre di maguey nell'argilla umida. I bacini erano fabbricati nelle località di estrazione ubicate lungo le rive del lago, probabilmente dagli stessi individui impegnati nella produzione del sale. Frammenti di bacini di questa tipologia ceramica sono stati rinvenuti in siti postclassici di tutto il Messico centrale, a documentare un intenso commercio di sale proveniente dal lago Texcoco. Purtroppo, in Mesoamerica i contenitori per il trasporto di merci di così agevole identificazione sono estremamente scarsi.
Sul commercio e gli scambi:
K.V. Flannery (ed.), The Early Mesoamerican Village, New York 1976; R.D. Drennan, Long-Distance Transport Costs in Pre-Hispanic Mesoamerica, in AmAnthr, 86 (1984), pp. 105-12; K.G. Hirth (ed.), Trade and Exchange in Early Mesoamerica, Albuquerque 1984; M. Gaxiola - J.E. Clark (edd.), La obsidiana en Mesoamérica, México 1989; P.A. McAnany - B.L. Isaac (edd.), Prehistoric Maya Economies of Belize, in ResEconAnthr, Suppl. 4 (1989); H. McKillop - P. Healy (edd.), Coastal Maya Trade, Peterborough 1989; R.D. Drennan - P.T. Fitzgibbons - H. Dehn, Imports and Exports in Classic Mesoamerican Political Economy: The Tehuacan Valley and the Teotihuacan Obsidian Industry, in ResEconAnthr, 12 (1990), pp. 177-99; M.E. Smith, Long- Distance Trade under the Aztec Empire: the Archaeological Evidence, in Ancient Mesoamerica, 1 (1990), pp. 153-69; B.J. Stark, The Gulf Coast and the Central Highlands of Mexico: Alternative Models for Interaction, in ResEconAnthr, 12 (1990), pp. 243-85; R.H. Cobean et al., High-Precision Trade Element Characterization of Major Mesoamerican Obsidian Sources and Further Analysis of Artefacts from San Lorenzo Tenochititlan, Mexico, in LatAmAnt, 2 (1991), pp. 69-91; M.G. Hodge - M.E. Smith (edd.), Economies and Polities in the Aztec Realm, Albany 1994; P.N. Peregrine - G.M. Feinman (edd.), Pre-Columbian World Systems, Madison 1996; K.G. Hirth, The Distributional Approach: a New Way to Identify Marketplace Exchange in the Archaeological Record, in CurrAnthr, 39 (1998), pp. 451- 76.
Sui mezzi e i sistemi di trasporto:
C.R. Edwards, Pre-Columbian Maritime Trade in Mesoamerica, in T.A. Lee Jr. - C. Navarrete (edd.), Mesoamerican Communication Routes and Cultural Contacts, Provo 1978, pp. 199-210; R.D. Drennan, Long-Distance Transport Costs in Pre-Hispanic Mesoamerica, in AmAnthr, 86 (1984), pp. 105-12; L.H. Feldman, A Tumpline Economy: Production and Distribution Systems in Sixteenth-Century Eastern Guatemala, Culver City 1985; A.P. Andrews, The Role of Trading Ports in Maya Civilization, in F.S. Clancy - P.D. Harrison (edd.), Vision and Revision in Maya Studies, Albuquerque 1990, pp. 159-68; C.D. Trombold (ed.), Ancient Road Networks and Settlement Hierarchies in the New World, New York 1991; R.D. Drennan, What Can be Learned by Estimating Human Energy Costs?, in Ancient Mesoamerica, 5 (1994), pp. 209-12.
Sui contenitori da trasporto:
T.H. Charlton, Texcoco Fabric- Marked Pottery, Tlateles, and Salt-Making, in AmAnt, 34 (1969), pp. 73- 76; E. Noguera, La cerámica arqueológica de Mesoamérica, México 1975²; L.H. Feldman, A Tumpline Economy: Production and Distribution Systems in Sixteenth-Century Eastern Guatemala, Culver City 1985; F.F. Berdan - P.R. Anawalt (edd.), The Codex Mendoza, Berkeley 1992; J.R. Parsons, Late Postclassic Salt Production and Consumption in the Valley of Mexico: Some Insights from Nexquipayac, in M.G. Hodge - M.E. Smith (edd.), Economies and Polities in the Aztec Realm, Albany 1994, pp. 257-90.
di Claude-François Baudez
L'istmo centroamericano è una sorta di ponte gettato tra due enormi masse continentali e l'affermazione secondo cui questo spazio assolse il ruolo di via di scambio privilegiata tra le culture mesoamericane e quelle sudamericane è quasi un truismo. È comunque impossibile, allo stato attuale delle ricerche, avere una conoscenza approfondita delle modalità attraverso cui questi scambi commerciali venivano realizzati. Le evidenze archeologiche dell'infrastruttura commerciale sono infatti scarse, sia per quanto concerne le vie di comunicazione, sia per le stesse modalità di spostamento; la navigazione fluviale o marittima ha lasciato pochissime tracce. Le nostre conoscenze poggiano dunque soprattutto sulla carta di distribuzione dei manufatti (ceramiche, oggetti di prestigio in giada o in oro, piccole sculture), che permette di evidenziare la loro area di diffusione commerciale, centrata sul luogo o i luoghi di produzione, e di identificare i prodotti periferici, meno numerosi o rari, oggetto di scambi a più lunga distanza. L'esame della ripartizione geografica dei beni mobili mostra numerosi modelli di scambio. La diffusione della ceramica molto spesso avvenne inoltre a livello regionale o locale, come nel caso della tradizione dei vasi policromi su ingobbio bianco prodotti a partire dal IX sec. d.C. nel Nicaragua sud-occidentale, che vennero regolarmente distribuiti nell'intera Costa Rica nord-occidentale fino alla vigilia della Conquista. Allo stesso modo, la ceramica brunita prodotta nel medesimo periodo nella Costa Rica nord-occidentale si diffuse a sud in tutta la Valle Centrale, ma si rinviene anche in Nicaragua. Certamente alcuni casi isolati indicano un commercio su distanze molto più lunghe: ad esempio nella Costa Rica nord-occidentale è stata rinvenuta una ceramica stuccata di Teotihuacan, così come in Honduras vasi della valle dell'Ulúa. Ma questi contatti tra regioni lontane spesso si manifestano in termini di influssi: così i vasai del Nicaragua e della Costa Rica si ispirarono a prototipi acquisiti attraverso il commercio, elaborando però una tradizione nuova e originale. La circolazione di oggetti di prestigio o di prodotti deperibili molto ricercati, quali il cacao, le piume di quetzal o i tessuti, interessò invece aree più vaste. La quinta lettera di Hernán Cortés riporta che mercanti della Costa del Golfo erano stati in grado di tracciare per gli Spagnoli una carta delle rotte commerciali e dei principali elementi geografici tra il Messico e il Nicaragua. Cristoforo Colombo stesso approdò nel corso del suo quarto viaggio sulle coste dell'Honduras e sulla costa atlantica, dove incrociò grandi piroghe che dalla Penisola dello Yucatán trasportavano uomini e mercanti lungo la costa. Si sa inoltre che, poco prima della Conquista, colonie di mercanti aztechi (i pochteca) si erano spinte fino alla Costa Rica alla ricerca d'oro. Le principali rotte che attraversavano l'America Centrale erano generalmente legate al commercio dell'oro e della giada. Furono probabilmente gli Olmechi a creare una rete di scambi in America Centrale: oggetti di giada di questa cultura sono stati rinvenuti nelle regioni settentrionali, centrali e atlantiche della Costa Rica. La giada allo stato naturale era importata in queste regioni dalla zona del fiume Motagua (Guatemala), dove si trova l'unico giacimento noto in America Centrale. La probabile rotta della giada doveva essere costituita dalla via marittima atlantica, che partiva dalla foce del Motagua e giungeva fino al San Juan (Nicaragua), il cui corso navigabile permetteva di penetrare nell'istmo fino al lago Nicaragua e di rifornire l'intera regione meridionale. Intorno al VII sec. d.C. e fino al XVI i flussi di scambio si invertirono: la giada venne sostituita dall'oro prodotto nelle regioni meridionali, in Panama e nella Colombia settentrionale ed esportato verso nord fino allo Yucatán da gruppi di mercanti. La rotta marittima rimane una delle ipotesi privilegiate, ma gli Spagnoli, che furono testimoni di questo commercio, hanno segnalato l'esistenza di reti di cammini che attraversavano le alteterre meridionali dell'istmo, una regione in cui i fiumi non sono più navigabili. Sembra che la varietà ecosistemica dell'America Centrale abbia permesso la coesistenza di diversi metodi di comunicazione: il cabotaggio lungo la costa atlantica, con possibile penetrazione attraverso i fiumi del Nicaragua orientale (Coco, San Juan, ecc.); la navigazione marittima lungo il versante pacifico, costellato da numerosi golfi e da piccole baie che fungevano da porti naturali; infine le rotte terrestri, citate nelle fonti.
C. Colón, Vida del Almirante Cristóbal Colón, México 1947; A. Chapman, Los Nicaraos y los Chorotegas según las fuentes históricas, San José de Costa Rica 1960; H. Cortés, Letters from Mexico (A.R. Padgen ed.), New York 1971; M. Helms, Ancient Panama. Chiefs in Search of Power, Austin 1979; E. Benson (ed.), Between Continents/Between Seas. Pre- Columbian Art of Costa Rica, New York 1981; W. Creamer, Production and Exchange of Two Islands in the Gulf of Nicoya, Costa Rica, AD 1200-1550, New Orleans 1983; M. Beaudry, Ceramic Production and Distribution in the Southeastern Maya Periphery. Late Classic Painted Serving Vessels, Cambridge 1984; E. Robinson (ed.), Interaction on the Southeast Mesoamerican Frontier. Prehistoric and Historic Honduras and El Salvador, Cambridge 1987; E. Ibarra Rojas, Las sociedades cacicales de Costa Rica (siglo XVI), San José de Costa Rica 1990; F.W. Lange (ed.), Pre-Columbian Jade. New Geological and Cultural Interpretations, Salt Lake City 1993.
di Marco Curatola Petrocchi
Nel mondo andino precolombiano le comunicazioni terrestri e marittime furono sempre molto intense. Le notevoli differenze climatico-ambientali esistenti fra una regione e l'altra, così come la grande varietà di zone ecologiche che, data la "verticalità" del territorio, si possono incontrare ai differenti livelli altitudinali di una stessa area, indussero sin dalla più remota antichità i nativi a spostarsi per procurarsi le risorse proprie di ciascun ambiente naturale, trasportando beni e prodotti da un capo all'altro delle Ande, lungo vie di comunicazione sempre più stabili e organizzate. Pare che sia stata proprio questa disponibilità di molteplici e complementari risorse di differenti habitat uno dei principali fattori che portò nelle Ande allo sviluppo di formazioni sociopolitiche a carattere statale. Ma impulsi civilizzatori vennero anche da costanti contatti e interscambi con altre aree del continente, particolarmente con la Mesoamerica. Numerose analogie fra successivi stili ceramici individuati nella penisola di Santa Elena, nell'Ecuador meridionale ‒ Machalilla (XV-XII sec. a.C.), Engoroy (IX-II sec. a.C.) e Guangala (I sec. a.C. - VI sec. d.C.) ‒ e coevi complessi della costa pacifica mesoamericana e centroamericana ‒ rispettivamente, Capacha nel Colima e Barra nel Chiapas (metà del II millennio a.C.), La Victoria in Guatemala (1100-1000 a.C. ca.) e Guanacaste e Nicoya in Costa Rica (I millennio a.C.) ‒ testimoniano l'esistenza di millenari traffici marittimi su scala continentale. Con grandi zattere di tronchi, munite di vela, di assi timonieri e di remi, i Manteño del litorale del Guayas e del Manabí (X-XVI sec. d.C.) si spingevano seguendo precise rotte stagionali sino alla costa del Messico per rifornirsi di conchiglie Spondylus. Sembra infatti che la pur notevole quantità di Spondylus che veniva raccolta nelle profonde e tiepide acque al largo dell'Ecuador non fosse sufficiente per far fronte alla massiccia domanda delle popolazioni delle Ande Centrali, presso le quali il grosso e rossiccio guscio (in Quechua mullu) di tale mollusco, assente nei loro freddi mari, rivestiva sin dall'epoca Chavín (I millennio a.C.) una straordinaria importanza rituale. Per procurarselo ‒ secondo una suggestiva, però priva di riscontri archeologici, ipotesi dell'etnostorica peruviana M. Rostworowski ‒ i Chincha, un popolo di pescatori e mercanti della costa centro-meridionale peruviana del Periodo Intermedio Recente (XI-XV sec. d.C.), si sarebbero recati regolarmente nella penisola di Santa Elena con flottiglie di zattere cariche di rame e di altri metalli del lontano altopiano del Collao, ottenuti in cambio di conchiglie, pesce secco, zucche e cotone. A sud è stata riscontrata la presenza di mullu, in contesti funerari, fino alla zona di Arica (Cile settentrionale). Un altro importante articolo che sicuramente stimolò lo sviluppo di collegamenti marittimi fu il guano, escremento secco di uccelli marini dalle notevoli proprietà fertilizzanti, di cui esistevano ricchi giacimenti in vari isolotti prospicienti il litorale peruviano. Oggetti di stile Moche rinvenuti nelle isole al largo della valle del Chincha sembrerebbero indicare che già nei primi secoli dell'era volgare i popoli della costa settentrionale solevano navigare circa 800 km a sud per procurarsi il prezioso concime. Ancor più estese e sviluppate furono, pur in assenza di animali da tiro e da sella e conseguentemente di traini e di qualsiasi altro tipo di veicolo, le comunicazioni terrestri. Se già nelle più antiche fasi del Preceramico gruppi di cacciatori-raccoglitori si spostavano periodicamente dal versante occidentale della cordigliera al litorale, approfittando delle diverse condizioni climatico-ambientali stagionali esistenti nelle due regioni, i contatti e gli scambi fra la sierra e la costa divennero via via più intensi e regolari nel Preceramico Finale e nel Periodo Iniziale (fine III-II millennio a.C.), come fra l'altro stanno a indicare sia gli abbondanti resti di conchiglie e prodotti marini rinvenuti in importanti centri cerimoniali montani dell'epoca come La Galgada e Huaricoto (Perù settentrionale), sia la notevole uniformità tecnologica e stilistica delle prime manifestazioni fittili in tutta l'area. Successivamente, nell'Orizzonte Antico (IX-III sec. a.C.), le comunicazioni fra le differenti regioni del Perù si fecero particolarmente fluide e rapide, come prova la repentina e ampia diffusione di innovative tecniche tessili e metallurgiche, di nuovi stili ceramici, di particolari oggetti sciamanici connessi con l'uso di droghe e di determinati motivi iconografici, espressione di un culto avente nel centro cerimoniale di Chavín, situato nella sierra settentrionale all'incrocio di differenti vie fra le valli andine, la foresta amazzonica e la costa, il suo luogo sacro per eccellenza. L'attivazione, in questo periodo, di un ampio circuito commerciale interregionale è comprovata dal traffico dell'ossidiana: quasi tutta quella rinvenuta a Chavín proviene infatti dalla cava di Quispisisa, ubicata 500 km più a sud, in provincia di Castrovirreyna (Huancavelica), nella sierra centrale; la stessa origine ha l'ossidiana, che all'epoca si cominciò ad utilizzare in altri siti chavinoidi come Pacopampa, vicino a Cajamarca, e Ancón, sulla costa. Fu comunque nel periodo successivo, l'Intermedio Antico (II sec. a.C. - VI sec. d.C.), con il sorgere di formazioni statali a carattere regionale, che si stabilirono i primi collegamenti pienamente organizzati fra valle e valle mediante la costruzione e la manutenzione di vere e proprie strade. Marcahuamachuco, la monumentale capitale di un potente stato montano alle sorgenti del fiume Moche, nel bacino del Crisnejas, venne dotata di una grande arteria che si snodava lungo la cordigliera e le cui diramazioni occidentali erano controllate da differenti centri amministrativi e posti di guardia. Analogamente, i vicini Moche collegarono le valli del Santa, del Moche e del Chicama, arrivando a organizzare un servizio di messaggeri- corridori (diretto antecedente di quello Inca dei chasqui) che, secondo le interpretazioni iconografiche di R. Larco Hoyle, si sarebbero avvalsi di fagioli decorati con ideogrammi per trasmettere notizie e informazioni. Varie reti stradali con importanti vie maestre, di cui permangono ampie tracce, sono da attribuirsi ai grandi stati dell'Orizzonte Medio (VII-X sec. d.C.) e del Periodo Intermedio Recente (XI-XV sec. d.C.). A nord di Tiwanaku sono state individuate strade connesse con questo centro dell'altipiano del Titicaca, che manteneva collegamenti stabili con le valli orientali della Bolivia, con il Perù meridionale e con il Cile settentrionale. I vari insediamenti Huari, quali Pikillacta (Cuzco), Viracochapampa (Cajamarca) e Jincamocco (Ayacucho), appaiono sempre associati a vie di comunicazione, talora pavimentate e con gradinate; la stessa associazione si riscontra anche nel regno di Chimor (Chimú), il cui territorio, dalla valle del Motupe a nord a quella del Chao a sud, era attraversato da un cammino rettilineo, a tratti assai ampio. Posteriormente molti di questi tracciati vennero incorporati nella grandiosa rete stradale creata dagli Inca e da essi chiamata Capac-ñan, ossia "via imperiale". Nel lasso di tre generazioni, dalla metà del XV sec. d.C. al 1532 (Orizzonte Recente), gli Inca aprirono, ristrutturarono, allacciarono e dotarono di infrastrutture almeno 23.000 km di strade, considerando solo quelle di cui si possiede un'adeguata documentazione di ordine storico o archeologico; così non è esagerato supporre che il Capac-ñan, con tutti i suoi tratti secondari andati distrutti nel tempo o non ancora individuati, potesse avere al momento dell'arrivo degli Spagnoli un'estensione complessiva prossima ai 40.000 km. La rete stradale Inca si strutturava fondamentalmente in due arterie maestre parallele, una in gran parte costiera e l'altra montana, raccordate da una serie di cammini trasversali. La grande via costiera andava dai confini meridionali dell'Ecuador al Cile centrale, attraversando tutti i deserti e le valli della costa peruviana, per poi inoltrarsi nell'entroterra in Arequipa, raggiungere l'alto corso del Loa e San Pedro de Atacama e quindi ridiscendere al litorale fino alla valle del Maipo (Santiago). L'altra arteria, quella montana, era composta da due strade che partivano in direzioni opposte dal centro del Cuzco: la via del Chinchaysuyu, diretta a nord-ovest e lunga oltre 2500 km, era la più importante dell'impero, in quanto passava per tutti i maggiori centri amministrativi Inca (Vilcashuaman, Hatun Xauxa, Huánuco Pampa, Cajamarca, Tumibamba, Ingapirca, Quito), arrivando agli estremi confini settentrionali dell'Ecuador; quella del Collasuyu, a sud-est, conduceva all'altopiano del Titicaca e alla valle di Cochabamba (Bolivia centrale) e da lì scendeva attraverso il Tucumán (Argentina nordoccidentale) sino alla valle del Mendoza. Le principali vie trasversali che congiungevano la cordigliera e la costa erano quella del Cuntisuyu, che collegava il Cuzco con la regione di Arequipa, quella da Vilcashuaman a La Centinela, nella valle del Chincha, lungo la quale si trovava una serie di importanti complessi Inca o incaicizzati, quali Incahuasi, Huaytará, Tambo Colorado e Lima la Vieja, e quella da Hatun Xauxa, nella valle del Mantaro, al grande centro oracolare di Pachacamac, nella valle del Lurín, via Huarochirí. Quanto alle strade che dovevano portare al versante orientale delle Ande e alla foresta amazzonica, da cui gli Inca traevano legno, coca, miele, piume e droghe, queste permangono in gran parte sconosciute, fatta eccezione per un tratto iniziale della strada dell'Antisuyu, che si originava al centro del Cuzco, e per il famoso cammino a Machu Picchu, interamente lastricato, con lunghissime scalinate di pietra e muri di sostegno alti sino a 8 m. Tutte queste strade non solo erano molto differenti fra loro, ma sovente presentavano caratteristiche assai variate da un tratto all'altro, a seconda delle condizioni climatico-ambientali, della topografia del territorio, della natura del suolo, dei materiali disponibili localmente, dell'importanza politica e strategica, dell'intensità del traffico, nonché dell'esistenza o meno di tracciati pre-Inca. La via in terra battuta, di origine Moche-Chimú, che correva lungo la costa settentrionale peruviana era, nelle aree agricole vicine a corsi d'acqua, relativamente stretta (3-4 m) e chiusa lateralmente da alti muri in blocchi di argilla (tapia); all'ingresso e all'uscita delle valli si faceva improvvisamente larga (4,5-25 m), con bassi muretti di pietra laterali, e talora era addirittura affiancata da due corsie supplementari, come a nord del monte Chocofón (Lambayeque), dove raggiungeva l'ampiezza di 140 m; essa diveniva una semplice pista, marcata da file di pietre o di paletti di legno, in pieno deserto. Lo stesso che più a sud, nel deserto di Atacama (Cile settentrionale), dove il Capac-ñan si riduceva a un quasi impercettibile cammino segnato da mucchietti di pietre. La via del Chinchaysuyu era invece assai più curata: in vari tratti pavimentata, aveva in tutto il suo percorso un'ampiezza relativamente uniforme (4-8 m), facendosi un po' più larga solo sugli altipiani e, laddove necessario, era dotata di muri di sostegno della massicciata, con canaletti di scolo delle acque piovane, e di grandiose scalinate in pietra, con cui risaliva pendii particolarmente ripidi. Di regola le strade imperiali, onde assicurare la massima celerità delle comunicazioni, seguivano percorsi il più possibile rettilinei, in genere correndo lungo il fondo o i bassi fianchi delle valli oppure sugli altipiani, ma all'occorrenza anche risalendo impervie montagne e attraversando altissimi valichi. I grandi fiumi e le gole più profonde erano superati mediante arditi ponti sospesi, con piano di calpestio in piccoli tronchi o tavole di legno e con cavi in fibre vegetali di sostegno ancorati a spalle di pietra. Uno di questi ponti, quello di Accha, sull'Apurímac, lungo ben 45 m, rimase in uso sin verso la fine del XIX secolo. Per i corsi d'acqua e gli avvallamenti minori, di pochi metri, si usavano invece ponticelli con travi di legno o lastre di pietra gettate da una parte all'altra: i più elaborati, come quelli sul Huatanay, al Cuzco, in blocchi di andesite perfettamente squadrati, avevano gli appoggi di estremità muniti di mensole per il sostegno dei lastroni del piano di calpestio. Unicamente nella regione del Titicaca, poi, esistevano ponti galleggianti su pontoni o zattere di scirpo (Scirpus tatora) che era necessario rinnovare ad intervalli di pochi mesi, data l'estrema deperibilità del materiale. Lungo tutte le vie imperiali (approssimativamente ogni 15- 25 km, e comunque ad una distanza non superiore ad un giorno di cammino l'uno dall'altro) si trovavano speciali caravanserragli statali, chiamati tampu. Di preferenza ubicati in prossimità di fonti d'acqua e di zone agricole, i tampu servivano innanzitutto da stazioni di sosta e di ristoro per nobili, funzionari, militari, tecnici, corrieri, artigiani, portatori di merci e lavoratori vari (mitayoc e mitma) che si spostavano per prestare differenti servizi allo Stato, nonché come ricoveri per i lama delle carovane in transito e come posti di controllo e di raccolta dei tributi. Benché i 1500-2000 tampu esistenti lungo il Capac-ñan fossero alquanto differenti fra loro per struttura e dimensioni, dato anche che la loro costruzione e il loro mantenimento erano affidati alle popolazioni locali, la maggior parte di essi si caratterizzava per la presenza di almeno una cancha, ossia un grande recinto rettangolare delimitato da un muro perimetrale, con all'interno una serie di piccole costruzioni di un solo ambiente, a pianta rettangolare, disposte tutt'intorno, che dovevano servire da alloggi per le persone di passaggio. Le fondamenta o gli interi muri di questi edifici erano di regola, almeno lungo le vie montane, costruiti con una doppia, e talora tripla, fila di pietre grezze o semilavorate, legate con impasti di fango, sabbia, sterco, argilla e paglia. Nei tampu delle strade più importanti, come quella del Chinchaysuyu, si potevano trovare anche tipiche costruzioni Inca, come lunghi edifici rettangolari per riunioni e attività cerimoniali (kallanka) e piccole torri cilindriche o quadrangolari (colca) per la conservazione di cereali e di altri prodotti. Infine, ampi recinti per Camelidi, chiusi da muretti di pietre grezze alti almeno 1 m, sono stati registrati in differenti stazioni di sosta dall'Ecuador al Cile. Oltre ai tampu, lungo le principali vie imperiali ogni pochi chilometri si trovavano piccole costruzioni, in genere a pianta rettangolare, totalmente aperte sul davanti e non di rado disposte a coppie da una parte e dall'altra della strada, nelle quali stazionavano permanentemente un paio di chasqui (chaski), i messaggeri-corridori che, mediante un efficiente servizio a staffetta, assicuravano una rapidissima trasmissione degli ordini e delle notizie in tutto il Tahuantinsuyu. Ogni chasqui percorreva un massimo di 8 km e quindi ripeteva più volte un breve messaggio orale, eventualmente accompagnato da un quipu (strumento mnemotecnico costituito da una corda principale cui era appesa una serie di cordicelle di differenti colori e con vari nodi), ad un collega pronto a sua volta a dirigersi di corsa verso il posto di staffetta (chasqui-huasi) successivo. Si calcola che con questo sistema le informazioni potessero viaggiare ad una velocità di circa 250 km al giorno, consentendo così ai signori del Cuzco di stare in permanente e rapida comunicazione con tutte le province del loro vasto impero.
Data l'assenza di animali da tiro e la natura estremamente accidentata del territorio, caratterizzato sulla sierra da valli scoscese e lungo la costa da deserti arenosi e pietrosi, gli antichi abitanti delle Ande impiegarono per il trasporto terrestre unicamente uomini e lama. Gli uomini caricavano sulla schiena pesanti sacchi di prodotti agricoli e fardelli vari, sostenendoli con una corda, una fascia o una tela, passante sugli omeri, annodata sul petto e trattenuta durante la marcia con una mano, come illustra con chiarezza un disegno della Nueva corónica y buen gobierno (1615, f. 244) del cronista indio Guaman Poma de Ayala. In alternativa, soprattutto per carichi meno pesanti, la corda poteva essere fissata sulla fronte del portatore, invece che sul petto, lasciandogli così libere le mani, come rivelano alcune pitture vascolari e varie figurine fittili Moche (I-VII sec. d.C.). In entrambi i modi in epoca Inca (XV - inizi XVI sec.) venivano trasportate anfore a fondo conico (in sp. ariballos) di differenti dimensioni: queste presentano nella metà inferiore del corpo due piccole anse laterali e, posteriormente, alla base dell'alto collo, un nottolino a forma di testina di animale, aventi la funzione di trattenere la corda con cui il contenitore era mantenuto in posizione verticale sul dorso del portatore. I personaggi di più alto rango venivano trasportati su lettighe di legno fornite di schienali o su portantine, talora dotate di tettuccio-parasole in tessuto o in intrecci di penne, con due assi parallele di sostegno rette da due, quattro o più lettighieri. Tutti i testimoni spagnoli concordano nel riferire che l'Inca Atahualpa fece il suo ingresso a Cajamarca su una lettiga, sfarzosamente ricoperta di penne di pappagallo e di lamine d'oro e argento, sostenuta da un gran numero di portatori, addirittura 80 secondo il soldato Miguel de Estete (Noticia del Perú, 1535 ca.). Scene di signori portati su lettighe, ma anche su amache sospese a un unico lungo palo (peraltro comunemente utilizzate anche per il trasporto dei cadaveri), si trovano riprodotte nella ceramica di varie culture della costa peruviana, come quella Moche, quella Sicán-Lambayeque (VIII-XIV sec.), quella Chimú e quella Chancay (XI-XV sec.). La foggia delle lettighe è inoltre documentata sia da modellini sia da alcuni rari schienali lignei e da altri elementi accessori presenti in collezioni museali. Probabilmente il più elaborato schienale che si conosca è quello di stile Sicán Medio (850-1050 d.C.) che, proveniente da scavi abusivi realizzati intorno al 1965 nel Complesso Tschudi di Chanchan, è attualmente conservato al Museo de Oro di Lima: nella parte posteriore del reperto è la scenografica rappresentazione di varie strutture templari con numerosi personaggi, in legno scolpito adorno di lamine di diverse leghe metalliche (d'oro, argento e rame), di piume, turchesi e pitture rosse, gialle e nere. Oltre all'uomo, l'altro grande "mezzo" di trasporto terrestre andino fu il lama (Lama glama). Il maschio adulto di questo animale è infatti in grado di trasportare a grandi distanze carichi fino a 30-35 kg, percorrendo da 15 a 25 km al giorno, mentre per spostamenti brevi può arrivare a portare agevolmente 40 kg e oltre. Nella ceramica Moche sono piuttosto comuni le rappresentazioni plastiche di lama che recano sul dorso un sacco che ricade, a mo' di voluminosa bisaccia, sui fianchi; rappresentazioni analoghe si ritrovano nella ceramica Gallinazo (II sec. a.C. - II sec. d.C.), Nazca (II-VII sec. d.C.), Sicán- Lambayeque, Chimú e Chancay. In alcuni vasi configurati compare pure una piccola figura umana a cavalcioni dell'animale o, più frequentemente, sdraiata prona sul suo dorso, con la testa verso la coda; ciò attesta che i lama venivano all'occasione impiegati anche per il trasporto di persone, seppure forse limitatamente a giovani e a individui di piccola taglia. Nell'impero Inca carovane di lama accompagnavano gli eserciti imperiali, caricando le vettovaglie e costituendo nel contempo una riserva di carne fresca sempre disponibile. Inoltre, esse dovettero rappresentare il principale mezzo con cui i beni raccolti nelle province venivano trasportati al Cuzco, la capitale. Fu probabilmente per assicurarsi un regolare approvvigionamento di guano, alghe (cochayuyu) e pesce che gli Inca inviavano stagionalmente o mantenevano in forma permanente greggi di lama sulla costa. Del resto, evidenze della presenza di grandi concentrazioni di lama, con ogni probabilità utilizzati proprio per il trasporto di questi e altri prodotti, sono state rinvenute in numerosi siti, di differenti epoche e culture, della costa peruviana. A Pampa Grande, l'ultima capitale Moche, nella valle del Chancay-Reque, sono stati individuati ampi recinti per animali collegati a vie di transito, a settori di scambio commerciale e a zone di produzione; lo stesso dicasi per Chanchan, nei cui quartieri periferici sono stati identificati depositi stratificati di sterco di lama e recinti per animali, talora associati a luoghi di abitazione di stranieri, per Cerro Azul (valle del Cañete) e per Lo Demás (nei pressi di La Centinela, Chincha), siti di approdo marittimo della costa centro-meridionale peruviana del Periodo Intermedio Recente e dell'Orizzonte Recente (XI - inizi XVI sec. d.C.), dove risulta che sostavano grandi quantità di lama. L'esistenza di carovane di lama negli intensi contatti commerciali mantenuti dagli abitanti delle varie valli e oasi del Cile settentrionale fra loro e con i gruppi dell'altopiano sin dagli ultimi secoli prima dell'era cristiana è inoltre un dato pienamente acquisito. Quanto ai mezzi di comunicazione marittimi e lacustri, i gruppi andini utilizzarono fondamentalmente quattro tipi di imbarcazioni: la piroga monoxila, la zattera (in spagnolo balsa) di tronchi, quella di scirpo e quella di otri di pelli di otaria. Le piroghe, usate per la navigazione fluviale e lungo la costa, furono il tipo di imbarcazione predominante in Ecuador settentrionale, dalla regione di Tumaco alla baia di San Mateo, essendo particolarmente adatte per gli spostamenti fra i mangroveti. La costa dell'Ecuador centrale e meridionale, da Esmeraldas al Golfo di Guayaquil, fu invece per eccellenza l'area di diffusione delle zattere di tronchi. Queste, infatti, erano di preferenza costruite con i tronchi di un albero dal fusto straordinariamente leggero, l'Ochroma, che si trova solo nella zona equatoriale. Di differenti dimensioni, tali imbarcazioni erano formate da un numero dispari di tronchi (da 5 a 11), la cui lunghezza andava in genere leggermente diminuendo da quello centrale a quelli laterali. I tronchi erano tenuti uniti da due assi trasversali, uno verso prua e l'altro verso poppa, a cui erano legati con corde di fibre vegetali. I principali accessori erano la vela, i remi, le guaras e l'ancora. La vela, di cotone, poteva essere ‒ stando alle fonti storiche ‒ sia triangolare sia quadrata, probabilmente a seconda che la navigazione fosse nei pressi della costa o in alto mare. I remi erano costituiti da semplici "canne di Guayaquil" (Guadua sp.) tagliate a metà longitudinalmente, mentre per ancora veniva utilizzata una pietra legata ad una lunga corda. Le cosiddette guaras, infine, erano una serie di lunghe assi di legno, con funzioni di timone e di chiglia, che venivano infilate verticalmente fra i tronchi della zattera, a prua e a poppa: immergendo le une e rialzando le altre in modo coordinato e sincronico, i navigatori riuscivano a dare la direzione voluta all'imbarcazione e al tempo stesso ad assicurarne la piena stabilità. Grazie a queste imbarcazioni, che potevano trasportare numerosi individui e notevoli quantità di merci in mare aperto, i mercanti Huancavilca (cultura Manteño, X-XVI sec. d.C.) della costa centrale dell'Ecuador ebbero la possibilità di stabilire una vasta e complessa rete commerciale marittima, che andava dal Perù settentrionale alla Mesoamerica. Ed è sempre con grandi zattere di questo tipo che, secondo una tradizione Inca, forse puramente leggendaria, tramandata da Pedro Sarmiento de Gamboa (Historia indica, 1572, cap. XLVI) e da Miguel Cabello de Balboa (Miscelánea antártica, 1586, cap. XVII), il principe Tupa Yupanqui avrebbe intrapreso dalla costa di Manta un'ardita spedizione navale nel Pacifico, raggiungendo lontane isole che è stato ipotizzato possano essere state le Galápagos, le isole di Las Perlas (Golfo di Panama) o, ma è del tutto improbabile, le Tuamotu, in Polinesia. La più comune e tipica imbarcazione del litorale delle Ande Centrali fu invece la zattera o balsa di fasci di totora (Scirpus tatora), una pianta dai lunghi steli cilindrici che si trovava in abbondanza in prossimità delle foci fluviali, dalla costa settentrionale peruviana a quella settentrionale cilena. Ne esistettero due tipi: uno, più piccolo, per una o al massimo due persone, conosciuto come caballito de totora e chiamato in lingua Quechua coo, e uno più grande, detto huampu. Il primo, dalla prua affusolata e leggermente arcuata verso l'alto, era ed è tuttora utilizzato per la pesca. Esso venne denominato dagli Spagnoli caballito ("cavalluccio") perché, per le sue dimensioni ridotte, il pescatore vi doveva stare a cavalcioni con i piedi in acqua oppure in ginocchio, mentre remava usando una canna di Guayaquil come pagaia a due pale. Il huampu era invece molto più grande e arcuato verso l'alto anche a poppa: poteva ospitare una dozzina di persone e veniva utilizzato per traversate in alto mare e per il trasporto di carichi. Nella ceramica Moche e Chimú si trovano numerose rappresentazioni plastiche e pittoriche di entrambi i tipi di balsa. Un notevole fregio in adobe, con raffigurati in rilievo due huampu, ciascuno con un carico di mercanzie (forse guano) e due figure ornitomorfe che reggono remi, è stato scoperto nel 1992 in una delle piramidi di Túcume, un grande centro Sicán-Chimú che si sviluppò nella valle del La Leche fra l'XI e il XV sec. d.C. Quanto alla costa cilena, l'uso di zattere di scirpo è ivi attestato dal ritrovamento, in contesti funerari, di alcuni modellini in miniatura, il più antico dei quali, rinvenuto in un tumulo nei pressi della foce del Loa, è stato datato al 215 d.C. Lungo la costa settentrionale cilena fu comunque forse più comune un altro tipo di zattera, costituito da due otri di pelle di otaria di forma oblunga, impermeabilizzati, gonfi d'aria e legati assieme, sui quali era fissata una piccola struttura di assi di legno. Tali zattere potevano ospitare da una a quattro persone. Bernabé Cobo nella sua Historia del Nuevo Mundo (1653, lib. XIV, cap. XIV) riferisce che i pescatori, quando si mettevano in mare, portavano con sé una cannula per rigonfiare ogni tanto gli otri, che evidentemente tendevano a perdere aria. L'esistenza di questo tipo di zattera, tipico dell'etnia dei Chango e rimasto in uso nell'area sin verso la metà del XX secolo, è attestata non solo da numerose fonti storiche ed etnografiche, ma anche da una serie di ritrovamenti archeologici, come il modellino in pietra rinvenuto a Altovalsol (valle del Coquimbo), i vari frammenti di otri, ben riconoscibili per la caratteristica cucitura con spine di cactus, e i cannelli di osso di uccello trovati a Caleta Vitor, Bajo Molle, Caleta Huelén e in vari siti della costa fra Taltal e Pisagua.
Sulla rete delle comunicazioni:
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Sui mezzi di trasporto:
C.R. Edwards, Aboriginal Watercraft on the Pacific Coast of South America, Berkeley - Los Angeles 1965; R. Ravines (ed.), Tecnología andina, Lima 1978; J. Alcina Franch et al., Navegación precolombina: el caso del litoral pacífico ecuatorial: evidencias e hipótesis, in REspAntrAm, 17 (1987), pp. 35-72; P. Carcedo Muro, Anda ceremonial lambayecana: iconografía y simbología, in J. Zevallos Quiñones et al., Lambayeque, Lima 1989, pp. 249-70; D. H. Sandweiss, The Archaeology of Chincha Fishermen: Specialization and Status in Inka Peru, Pittsburgh 1992; D. Bonavia, Los camélidos sudamericanos (una introducción a su estudio), Lima 1996; T. Heyerdahl et al., Túcume, Lima 1996; D. Corabias, Navegación prehispánica en el Norte de Chile: una contribución al estudio de las prácticas náuticas en las áreas Andes Centro-Sur y Meridional, in Werkén, 1 (2000), pp. 31-54.
di Duccio Bonavia
A tutt'oggi non sono stati realizzati specifici studi sui contenitori per il trasporto delle merci in uso presso le culture precolombiane dell'America Meridionale e, sebbene sia possibile trarre dalle evidenze archeologiche alcune indicazioni, esistono su questo tema consistenti lacune documentarie. Un buon esempio degli utensili impiegati indirettamente nel trasporto di beni è costituito da tre manufatti in osso di Cervide, di forma cilindrica e con l'estremità convessa, rinvenuti nei livelli più profondi del giacimento preceramico di Telarmachay (Perù): date le loro dimensioni (lunghezza della parte utile tra 22 e 30 mm e diametro tra 21 e 30 mm), si ritiene che essi furono utilizzati come tappi per chiudere qualche tipo di recipiente (con tutta probabilità otri di cuoio, o forse contenitori di altro materiale) per il trasporto di liquidi. Non vi è dubbio che dovettero esistere sacchi, dal momento che essi sono citati dai cronisti spagnoli (con il nome di cotama o cutama); tuttavia, nonostante i tessuti si siano perfettamente conservati soprattutto sulla costa del Perù, nelle relazioni archeologiche essi non vengono riportati, o almeno non sono stati identificati come tali. Lama carichi di sacchi sono del resto rappresentati sulle ceramiche configurate di stile Moche e Chimú. Desta inoltre interesse il fatto che i cronisti parlino di petacas, termine di origine messicana impiegato per indicare una sorta di cassa in cuoio, in pellame resistente o in legno rivestito di questi materiali. Sebbene nei giacimenti archeologici siano state rinvenute alcune casse che presentano queste caratteristiche, esse sono di dimensioni ridotte e non sembra siano state fabbricate per trasportare merci. Anche contenitori simili alle bisacce erano certamente in uso: nella produzione fittile Moche vi sono infatti rappresentazioni scultoree di lama che trasportano un recipiente su ciascun fianco (o, in altri casi, molti di dimensioni più piccole), collocato all'interno di una bisaccia. Venivano inoltre utilizzate borse di tessuto di forme e dimensioni diverse, rinvenute nei giacimenti archeologici di tutte le fasi precolombiane. Per il trasporto si impiegavano anche reti: la produzione fittile Nazca, ad esempio, documenta che in esse si trasportava il pesce. Dalla loro comparsa, durante il Periodo Iniziale, e fino all'arrivo degli Spagnoli, i recipienti di ceramica furono molto comuni. Ne esistevano di differenti formati, da quelli molto piccoli fino a quelli di grandi dimensioni, che evidentemente non erano impiegati per il trasporto, ma venivano interrati nella sabbia per conservare il mais. I grandi vasi Inca detti ariballos erano invece utilizzati dai contadini per trasportare la chicha (bevanda di mais fermentato). Fin dalle fasi preceramiche vennero fabbricate ceste di forme e dimensioni variabili; esse erano utilizzate anche a fini funerari, come nella cultura Paracas. Uno dei contenitori naturali più antichi, anch'esso in uso dalle fasi preceramiche, fu comunque la zucca (Lagenaria sp.), che prima dell'invenzione della ceramica assolse importanti funzioni nella conservazione e nel trasporto di alimenti e il cui uso perdura a tutt'oggi presso i gruppi nativi delle Ande.
W.C. Bennett, Numbers, Measures, Weight, and Calendars, in HSAI, V, pp. 601-19; M. Rostworowski de Diez Canseco, Pesas y medidas en el Perú Pre-hispánico, in Actas y Trabajos del II Congreso Nacional de Historia del Perú, II, Lima 1962, pp. 103-15; Id., Mediciones y cómputos en el antiguo Perú, in CuadPrehisp, 6 (1978), pp. 21-48; D. Lavallée et al., Telarmachay. Chasseurs et pasteurs préhistoriques des Andes, I, Paris 1985.