Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella prima metà del secolo in Francia e in Inghilterra vengono formulate le prime teorie del socialismo moderno e vengono tentati i primi esperimenti di una nuova organizzazione della società. Essi indicano essenzialmente due vie per instaurare una comunità umana più giusta: la prima fa leva sull’economia e sulla società civile, la seconda sulla conquista del potere politico. Il socialismo delle origini è stato detto “utopistico” da Engels in contrapposizione a quello marxiano che “scientificamente” attribuisce alla sola classe operaia il compito di sovvertire i rapporti di potere.
Il socialismo utopistico
Di socialismo si parla per la prima volta in Inghilterra e in Francia tra gli anni Venti e gli anni Trenta del XIX secolo, e di “socialismo utopistico” nella Storia dell’economia politica in Europa del 1837 di Jérôme-Adolphe Blanqui. È però dopo la pubblicazione del Manifesto del partito comunista (1848) e definitivamente con l’opuscolo di Engels L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza (1880) che l’espressione “socialismo utopistico” diventa una categoria storiografica. Esso si riferisce alle teorie e ai progetti dei socialisti delle origini, di coloro cioè che nella prima metà dell’Ottocento hanno attribuito all’utopia un significato diverso rispetto al passato (non più un altrove ideale, ma la prefigurazione di uno scenario possibile nel futuro) e hanno prospettato soluzioni sociali alle tensioni esistenti nel mondo industriale. Il problema relativo all’uso dell’aggettivo “utopistico” si collega a quello della periodizzazione. Mentre alcuni studiosi considerano come precursori del socialismo moderno tutti i pensatori che, in particolare nel Settecento, hanno ritenuto la proprietà privata causa delle differenze sociali e hanno proposto di rifondare la società su basi collettivistiche, altri – ed è l’opinione più accreditata – considerano la Rivoluzione francese e la rivoluzione industriale come gli eventi che segnano l’inizio del movimento; quanto al termine finale è stato proposto il 1848, anno di pubblicazione del Manifesto del partito comunista. Ma altri studiosi ritengono che si debba giungere agli anni Sessanta.
“Socialisti utopistici” è comunque l’espressione generalmente utilizzata, pur con le varianti di cui si è detto, per designare quegli autori che – prima di Marx, o contemporaneamente a lui, ma senza un rapporto di filiazione diretta – criticano la società borghese, respingono il sistema capitalistico e propongono un’organizzazione sociale di tipo comunitario.
Una distinzione utile, tra le molte proposte, è quella che considera le due grandi vie previste per la realizzazione del nuovo mondo: da un lato coloro che guardano alla società civile e all’economia prospettando una trasformazione sociale più o meno radicale (Saint-Simon, Fourier, Owen, Leroux, Cabet, Blanc, Proudhon), dall’altro coloro che al fine di realizzare tale trasformazione ritengono necessario conquistare con la forza il potere politico (Babeuf, Buonarroti, Blanqui). Sono i primi – che si rivolgono all’intera società e non a un gruppo di rivoluzionari – ad approfondire in modo particolare l’aspetto teorico delle proprie proposte. Le teorizzazioni dei socialisti utopistici hanno aperto la via al socialismo nelle sue varie accezioni, dall’internazionalismo all’anarchismo, dal comunismo alla socialdemocrazia.
Babeuf e il babuvismo
In Francia François-Noël (detto Gracchus) Babeuf si pone a cavallo tra l’utopismo settecentesco e il socialismo del secolo successivo. Dal 1789 prende parte agli avvenimenti rivoluzionari rivendicando posizioni progressiste ed egualitarie quali l’abolizione della proprietà privata, l’eliminazione dei residui privilegi di nobili ed ecclesiastici, il superamento della separazione dell’elettorato tra cittadini attivi e passivi ancora presente nella Dichiarazione di diritti dell’uomo e del cittadino. Con i suoi seguaci pubblica il Manifesto degli eguali (1795), redatto da Sylvain Maréchal, attacca con diversi scritti il governo del Direttorio e, convinto della necessità della conquista del potere politico con la forza, è tra i fautori di una congiura per l’eguaglianza, in grado di dare avvio alla rivoluzione del quarto stato; ma, arrestato nel 1796, Babeuf è condannato a morte. Filippo Buonarroti stende in seguito la storia dell’insurrezione, elaborandone le basi teoriche con La congiura per l’eguaglianza detta di Babeuf, seguita dal processo cui diede luogo e da documenti (pubblicata nel 1828).
A Babeuf si richiama la corrente del neobabuvismo che trova in Blanqui il suo maggior esponente; rispetto a Babeuf, e anche a Buonarroti, Blanqui fa maggiore leva sull’elemento operaio, il quale, insieme all’intellettuale déclassé, costituisce la minoranza rivoluzionaria cui spetta impadronirsi dello Stato e dare il via a una dittatura illuminata in grado di trasformare la società in senso egualitario e popolare. Membro di società segrete, collaboratore e fondatore di periodici, cospiratore e implicato in numerosi episodi rivoluzionari, Blanqui viene condannato a morte e poi graziato, e passa più di trenta anni in carcere. La sua opera, più che nei suoi scritti, per lo più appunti o frammenti, pubblicati postumi, è racchiusa nella sua vita, emblematica del contrasto che oppone i socialisti che mirano a conquistare il potere alla violenza alla società costituita.
Claude-Henri de Saint-Simon
Claude-Henri de Saint-Simon in scritti come L’industria (1816-1818), La politica (1819), L’organizzatore (1819-1820) e Sistema industriale (1820-1822) delinea un sistema sociale basato sulla cooperazione; secondo Saint-Simon, dopo la fase di instabilità apertasi con la conquista dell’America e la Riforma di Lutero, una nuova età organica sarà inaugurata dall’organizzazione industriale: essa sarà contrassegnata dal dominio della scienza, dalla pace tra gli uomini e tra le nazioni, e la società sarà guidata dalla classe degli scienziati, degli imprenditori, dei tecnici e dei politici che si contrapporranno agli “oziosi”, tra i quali sono compresi i vecchi burocrati, gli aristocratici, i preti e la borghesia parassitaria. La proprietà privata nel sistema di Saint-Simon ha come unico fondamento la capacità individuale, mentre allo Stato spetta di vigilare sulla ristrutturazione della comunità. Nel Catechismo degli industriali (1823-1824) e nel Nuovo cristianesimo (1825), Saint-Simon precisa inequivocabilmente che il fine della società industriale sta nel perseguire il benessere delle classi inferiori.
Charles Fourier
Nelle sue opere (Teoria dei quattro movimenti, 1808; Trattato dell’associazione domestico-agricola, 1822; Il nuovo mondo industriale e societario, 1829; La falsa industria, 1835-1836) Charles Fourier mostra di valutare in modo ben diverso rispetto a Saint-Simon il mondo industriale, che giudica come foriero di ingiustizia, mentre – proprio come nelle utopie settecentesche – gli impulsi naturali gli appaiono intrinsecamente buoni. Con la concorrenza e il mercato libero del lavoro, secondo Fourier, l’industria provocherà la disgregazione della società, rompendo quell’armonia che costituisce l’ideale da perseguire. La comunità modello, priva di un’autorità centrale, per Fourier è costituita da gruppi, le falangi, composte da un numero limitato di persone – circa 1800 – di sesso ed età differente, riunite in abitazioni comuni (falansteri), impegnate in un lavoro di gruppo variato e piacevole, e retribuito secondo le diverse capacità. Anche la vita privata deve essere liberata dalle costrizioni, dal matrimonio, dal vincolo dell’amore eterosessuale e dalla dipendenza della donna da pregiudizi sociali; una particolare attenzione è rivolta inoltre all’educazione e all’ecologia, in un quadro in cui il lavoro agricolo è visto come preminente rispetto a quello industriale. Gli insegnamenti di Fourier saranno la base teorica per molteplici esperienze di lavoro e di vita in comune, in particolare negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in Sud America.
Robert Owen
In Inghilterra i socialisti ricardiani sviluppano il pensiero economico classico nel senso di una critica al capitalismo: a loro avviso il capitale è formato da quella parte del prodotto del lavoro sottratta al lavoratore. Queste teorie influenzano profondamente Robert Owen, il maggiore esponente del socialismo utopistico inglese. Direttore di filande di cotone, poi socio del grande stabilimento tessile scozzese di New Lanark, Owen intende affrontare i problemi concreti posti dallo sviluppo industriale: paga alti salari, diminuisce gli orari, migliora le condizioni di lavoro, fonda un villaggio in cui case, cibo, vestiario e istruzione sono offerti a basso prezzo. La sua attività si allarga poi all’ambito nazionale: si appella ai ceti alti e redige un Rapporto alla Commissione per l’assistenza dei poveri dell’industria, per propugnare la costruzione di villaggi modello; nel 1819 riesce a fare approvare il primo Factory Act, in cui viene riconosciuto il diritto dello Stato a regolamentare le condizioni di lavoro. Dal 1817 al 1824 propaganda il progetto di istituire comunità di lavoratori in Europa e negli Stati Uniti, tanto che in seguito fonda nell’Indiana la comunità di New Harmony, che avrà però vita breve (e stesso destino subirà un simile tentativo sperimentato in Messico). Ritornato in Inghilterra con l’intento di inserire nella vita politica inglese le rappresentanze delle classi operarie per tutelarne i diritti con provvedimenti legislativi, organizza il movimento operaio dando vita a un laburismo ante litteram.
Già dalla prima opera dal titolo Una nuova concezione della società o saggio sul principio della formazione del carattere umano (1813), Owen si oppone alla convinzione che i poveri siano colpevoli del loro stato, e sostiene l’influenza dell’ambiente sulla formazione del carattere. Nel Rapporto alla contea di Lanark (1821) e nel Libro del nuovo mondo morale (1836-1844) Owen disegna la sua società ideale, articolata in villaggi di centinaia o poche migliaia di individui dediti al lavoro agricolo e industriale, fondata sulla cooperazione, finanziata dalle parrocchie, dai capitalisti e dai lavoratori stessi, o con la tassa sui poveri; una società in cui non esisteranno eserciti, né chiese, e dove sarà impartita una sorta di istruzione permanente attraverso il mutuo insegnamento.
Pierre-Joseph Proudhon
Pierre-Joseph Proudhon è pensatore centrale e autore prolifico nella Francia degli anni Quaranta e Cinquanta fino all’inizio degli anni Sessanta. Nel 1840 pubblica Che cos’è la proprietà, in cui teorizza come la proprietà privata, lungi dall’essere un diritto in sé, debba essere limitata per evitare l’appropriazione da parte di pochi dei prodotti dei lavoratori. Nel 1846 dà alle stampe il Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria, cui Marx risponde con un’opera dal titolo chiaramente polemico: Miseria della filosofia. Il pensiero dei due è infatti intrinsecamente contrastante e sfocia in una polemica che coinvolge tanto il concetto di lotta di classe quanto quello di organizzazione operaia.
Se da un lato Proudhon ha una visione arcaica della società come comunità di contadini e di artigiani fondata sulla famiglia, sull’indissolubilità del matrimonio e sulla posizione subordinata della donna, dall’altro il suo pensiero acquista caratteri di spiccata modernità proprio quando afferma che nessun sistema concettuale può essere considerato concluso in sé, poiché ogni teoria dovrà essere continuamente modificata in relazione all’infinita varietà delle situazioni. Egli è considerato il padre dei concetti di mutualismo, e federalismo e uno degli ispiratori del pensiero anarchico.
Tra le sue opere vanno menzionate: Le confessioni di un rivoluzionario del 1849, L’idea generale della rivoluzione nel secolo XIX del 1851, La rivoluzione sociale dimostrata dal colpo di Stato del 2 dicembre dell’anno successivo, La Giustizia nella Rivoluzione e nella Chiesa, del 1858 – sorta di manifesto del laicismo francese – e Del principio federativo del 1863.
Gli anni Quaranta in Francia
Uno dei più noti esponenti della seconda generazione di socialisti utopistici è Pierre Leroux, che con l’articolo L’unione europea (1827), pubblicato su “Le Globe”, rivela la sua discendenza da Saint-Simon – della cui scuola fa parte per alcuni mesi nel 1831. È proprio Leroux il primo teorico a diffondere il termine “socialismo” (L’individualismo e il socialismo, 1833): in questo periodo tuttavia lo intende secondo un’accezione negativa, in quanto lo considera “autoritario” e solo successivamente riconoscerà al socialismo una valenza positiva. Egli ritiene che la Chiesa abbia fallito nella sua missione di instaurare l’eguaglianza tra gli uomini e che questo fine debba essere perseguito da un umanitarismo laico. All’elaborazione teorica Leroux unisce un’intensa attività propagandistica e politica che, a seguito della rivoluzione del 1848, lo porta in esilio in Inghilterra; tornato nel 1858, l’anno successivo pubblica La lettera del dottor Deville, la prima storia del socialismo utopistico.
Anche Étienne Cabet nel 1834 si rifugia in Inghilterra (che lascia nel 1841), dove subisce l’influenza di Owen. Nel 1840 pubblica il Viaggio in Icaria (che avrà una seconda edizione completa nel 1842), e poco dopo scriverà Il mio credo comunista (1845) e Il vero cristianesimo secondo Gesù Cristo (1846). Egli propone l’instaurazione, a opera di un capo, ovvero un nuovo Gesù, di un comunismo che esclude la lotta di classe, e affida un ruolo importante allo Stato, come proprietario dei mezzi di produzione e pianificatore della vita sociale.
Le teorie di Cabet si traducono nella fondazione di comunità modello in America, a opera dei suoi seguaci e di Cabet stesso (nel 1847 Icaria, nel centro mormone di Nauvoo nell’Illinois, e poi la Nuova Icaria che durerà fino al 1895).
Tra le masse operaie riscuote un certo successo anche l’opera di Louis Blanc (L’organizzazione del lavoro, 1839, con dieci edizioni in pochi anni). Qui Blanc sostiene l’esistenza di un diritto al lavoro che lo Stato deve tutelare con l’istituzione di ateliers sociaux, gestiti in un primo tempo dallo Stato stesso e poi dagli operai, grazie a prestiti forniti da una “banca dei poveri”. Egli auspica anche la riduzione dei poteri attribuiti allo Stato, soprattutto nel campo economico, in favore degli organi locali (Lo Stato e il comune, 1866). Nel 1848, quale presidente della Commissione del Lussemburgo incaricata di studiare il modo di alleviare le tensioni sociali e la disoccupazione, si prodiga per realizzare i propri progetti. Così, per un breve periodo vengono istituite fabbriche che, tuttavia, sono ben diverse da quelle progettate da Blanc e hanno scopi meramente assistenziali, tanto che il loro fallimento contribuirà in una certa misura a segnare il declino del socialismo utopistico.