Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per tutto il XVIII secolo continuano a confrontarsi, senza pervenire a soluzioni risolutive, i due sistemi contrapposti dell’epigenesi e del preformismo, che traducono in ambito embriologico il grande conflitto tra vitalismo e meccanicismo. Sono favorevoli alla soluzione preformista Bonnet, Haller e Spallanzani, mentre sono schierati su posizioni epigeniste Maupertuis, Buffon, Needham, Wolff e Blumenbach.
Epigenesi e preformismo
Un aspetto significativo delle scienze della vita ruota, nel periodo che va dalla metà del Seicento alla fine del Settecento, intorno al confronto tra i modelli embriologici dell’epigenesi e del preformismo, che ripropongono nell’ambito della generazione il grande dibattito tra le filosofie vitalistiche e meccanicistiche.
L’epigenesi spiega lo sviluppo embrionale attraverso una successione di neoformazioni organiche derivanti da una materia indifferenziata (le sostanze seminali fornite dai due sessi) in virtù dell’azione di principi vitali di carattere naturale, oppure delle leggi universali del moto.
Nella teoria preformista, invece, il problema della formazione nel tempo di un organismo vivente viene eliminato ammettendo semplicemente che esso esiste già delineato, prima di rendersi visibile, sotto forma di germe. Questo germe viene localizzato nell’uovo o nello spermatozoo, a seconda che venga data la preferenza alle scoperte realizzate nella seconda metà del Seicento da Regnier de Graaf o da Antoni van Leeuwenhoek. Lo sviluppo del germe, innescato dalla fecondazione, è solo un accrescimento meccanico e una progressiva comparsa di organi. Indipendentemente però dalla sua localizzazione nell’apparato genitale maschile o femminile, resta da spiegare l’origine stessa del germe. Sorge così, accanto al preformismo, la teoria della preesistenza dei germi, secondo la quale l’embrione non è generato nel corso del tempo dai genitori ma è stato creato fin dall’origine del mondo direttamente da Dio, insieme ai germi di tutti gli esseri viventi che popoleranno la terra fino alla fine dei tempi.
Le ricerche di Haller
Nel corso del Settecento un ruolo determinante a favore della preesistenza viene svolto da alcune ricerche sperimentali che contribuiscono ad attenuare il carattere filosofico e teologico del dibattito. Una di queste è la scoperta della continuità tra la membrana vitellina dell’uovo e l’intestino del pulcino fatta da Albrecht von Haller nel 1758.
Partito da posizioni epigenetiche, Haller compie una lunga serie di osservazioni microscopiche su embrioni di pollo, nel corso delle quali constata che la membrana interna del tuorlo (endoderma) è in continuazione diretta, nell’uovo fecondato e incubato, con la membrana interna dell’intestino, della faringe, della bocca e dell’epidermide del pulcino. La membrana esterna del tuorlo (mesoderma) appare, a sua volta, un’estensione della membrana esterna dell’intestino e continua con il mesentere e il peritoneo. Il tuorlo si presenta, in sostanza, come un’enorme ernia dell’embrione, che deve essere considerata contemporanea a lui, cioè precedente alla fecondazione; quindi, deve preesistere alla fecondazione anche il pulcino, seppure invisibile per la sua piccolezza e trasparenza.
Le critiche di Wolff
Queste conclusioni vengono sottoposte a una serie di obiezioni sperimentali da parte di Caspar Friedrich Wolff, il quale riprende in modo sistematico le stesse osservazioni sulle uova incubate di gallina di Haller per giungere a un’interpretazione epigenetica che rappresenta l’atto di nascita della moderna embriologia sperimentale.
Non solo Wolff smentisce le conclusioni teoriche di Haller, ma corregge per la prima volta anche i risultati raggiunti da Marcello Malpighi nella seconda metà del Seicento, affermando sulla base di un’analitica documentazione microscopica che tutte le parti dell’embrione del pulcino si formano progressivamente nel corso dell’incubazione delle uova per azione di una non meglio precisata vis essentialis.
Analoghe soluzioni epigeniste vengono proposte, a partire dalla metà del secolo, anche da Maupertuis, Buffon, Needham e Blumenbach, i quali, per spiegare lo sviluppo embrionale, introducono forze diverse ma tutte riconducibili a una stessa matrice vitalistico-organicistica: nell’ordine, una forza di “affinità” che ha specifici caratteri di istinto e di memoria, l’attrazione elettiva delle “molecole organiche”, la “forza vegetativa” della materia, il nisus formativus.
Spallanzani
Alla dimostrazione halleriana della preesistenza del pulcino si affianca, a partire dal 1768, l’analoga dimostrazione della preesistenza del girino di Spallanzani. Osservando al microscopio uova di anfibio prima e dopo la fecondazione, il naturalista italiano non riesce a riscontrare la minima trasformazione della sostanza organica che possa essere attribuita all’azione dello sperma. Uova vergini e fecondate appaiono identiche in tutti i particolari morfologici e strutturali, e il microscopio non rivela nessuna organizzazione embrionale né prima né dopo la fecondazione. Con questa osservazione Spallanzani riteneva di aver confutato sperimentalmente non solo l’animalculismo ma anche l’epigenesi, e di aver aggiunto una nuova dimostrazione risolutiva della preformazione del germe.
L’impasse dei biologi settecenteschi
Epigenesi, preformismo e preesistenza dei germi continuano a contrapporsi fino alla fine del Settecento e oltre, senza che dalla speculazione teorica e dalla ricerca sul campo emergano soluzioni innovative rispetto a un confronto di sistemi che risaliva all’antichità greca.
Solo la rivoluzione provocata all’interno dell’embriologia ottocentesca dalla teoria cellulare permetterà di superare l’antagonismo tra epigenesi e preesistenza, grazie all’eliminazione dell’ impasse costituita per i biologi settecenteschi dall’impossibilità di concepire l’organizzazione vivente in modo diverso dalla struttura visibile dell’organismo adulto.