Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Strettamente legati alla forma orale dell’insegnamento scolastico, i commenti e le summae rappresentano, tra XII e XIV secolo, due generi letterari filosofici di notevole importanza. Nati come trascrizioni delle lezioni o raccolte di materiale già esistente, divengono ben presto testi autonomi con caratteristiche e strutture ricorrenti. A partire dal XIV secolo, con l’evoluzione degli studi universitari, anche questi generi letterari subiscono significativi cambiamenti.
Rodolfo Brito
L’importanza dell’insegnamento
Proemium in Parva mathematicalia
Con ragione sostengo che impariamo di più imparando da qualcuno che cercando da soli, dato che ascoltare una lezione giova di più che leggere da soli dieci lezioni. Per questo dice Plinio “la viva voce colpisce l’intelletto molto più della lettura”, cioè dello studio sui libri. E lo giustifica dicendo che la pronuncia del docente, l’espressione del viso, i gesti, il suo atteggiamento, fanno sì che l’ascoltatore impari di più e meglio, e ciò che senti dire da un’altra persona si imprime più profondamente nella tua mente di quanto hai studiato da te.
ms. Bruxelles, Bibl. Royale 3540-47, f.2r, 1300
Tommaso di Strasburgo
In questa questione procederò con il seguente ordine, come nella maggior parte della seguente opera, dando i termini per presupposti, o chiarendoli, se non sono immediatamente evidenti. In primo luogo porrò la tesi che mi propongo di sostenere: poiché tale tesi è da considerarsi quasi il bersaglio rispetto al quale introdurre ogni altra argomentazione, vuoi perché mira ad essa (come gli argomenti proposti), vuoi perché se ne discosta o allontana (come gli argomenti in contrario). […]
In secondo luogo, addurrò le opinioni contrarie e le loro motivazioni, e mostrerò perché tali argomentazioni non sono conclusive.
In terzo luogo, rafforzerò la tesi esposta in principio, meglio che potrò. […]
In quarto luogo risponderò alle argomentazioni dalle quali nasceva la stessa domanda iniziale.
T. di Strasburgo, Commentaria in quattuor libros sententiarum, anast. Gregg., vol. I, fol. 2va, Venezia, Giordano Ziletti, 1965
La maggior parte della letteratura filosofica medievale tra XII e XIV secolo riflette la pratica dell’insegnamento e le sue forme, perciò nasce come trascrizione, spesso sotto forma di appunti, di quanto avviene a lezione nelle scuole cattedrali e nelle università. La pratica è già diffusa nel XII secolo come documentano per esempio le Glossae super Platonem X di Guglielmo di Conches, certamente ricavate da una precedente esposizione orale, o alcuni testi di Abelardo e Gilberto di Poitiers che riflettono lo stile delle disputationes pubbliche. Tuttavia il legame tra attività didattica e testi scritti si fortifica ulteriormente tra XIII e XIV secolo in ambito universitario, dove i corsi accademici divengono occasione per la creazione di molti nuovi generi letterari.
Le lezioni universitarie sono suddivise generalmente in ordinarie, straordinarie o cursorie: nelle ordinarie, ripetute semestralmente o annualmente, il docente propone la lettura di alcuni testi stabiliti dagli statuti universitari; i corsi straordinari invece sono concepiti più come possibilità di approfondimento o integrazione del corso ordinario e perciò prendono in considerazione libri anche non formalmente richiesti dai regolamenti; infine le lezioni cursorie rappresentano brevi ripassi dei principali problemi esaminati dai maestri nell’insegnamento ordinario. Nella sua forma principale dunque la lezione prevede innanzitutto la lettura ad alta voce di un testo (littera), il cui autore è considerato fondamentale in uno specifico campo del sapere (auctoritas), dopodiché il docente propone una descrizione della struttura dell’opera attraverso una suddivisione in parti sempre più piccole, arrivando talvolta a isolare le singole proposizioni. Quindi inizia l’esposizione che può essere più o meno estesa in base al numero delle difficoltà individuate e spesso consiste semplicemente in una parafrasi, corredata da alcune informazioni di base sul testo o dalla spiegazione di eventuali termini ambigui. La parte conclusiva della lezione, dedicata alla discussione dei punti più importanti (disputatio), avviene sotto forma di disputa e nel corso degli anni tende ad acquistare una propria autonomia rispetto alle fasi precedenti. L’intero procedimento è spesso ripetuto più volte all’interno della stessa lezione, se non vi è abbastanza materiale per lavorare soltanto su una singola parte del testo.
Riproponendo così il metodo dell’expositio librorum, già largamente diffuso nell’Antichità, in modo particolare nei confronti dei testi di Platone e Aristotele, i maestri universitari, gli assistenti o talvolta gli stessi studenti cominciano a riportare per iscritto quanto emerge dalle lezioni dando così vita alle prime opere di commento.
I commenti letterali, direttamente collegati alla prima fase della lezione universitaria, sono la forma più semplice di questo nuovo genere filosofico e comprendono le glosse marginali più o meno complete (scholia), ma anche i commenti integrali.
Con essi l’autore non intende necessariamente affermare la sua opinione, ma solo l’interpretazione che reputa più corretta alla littera, tuttavia spesso accade che nuove dottrine siano camuffate come interpretazioni delle auctoritates, per evitare eventuali attacchi o critiche da parte degli avversari. Alcuni maestri averroisti del XIII secolo, per esempio, usavano spesso in loro difesa l’argomento di non stare sviluppando le proprie opinioni, ma solo interpretando Aristotele. Pur differenziandosi in base alla disciplina e al docente, i diversi commentari presentano alcune caratteristiche strutturali comuni. La divisio textus, tipica delle opere del XIII secolo, corrisponde alla prima parte di una lezione universitaria e ha il compito di fornire al lettore uno sguardo complessivo sul testo e una dettagliata spiegazione dei singoli passaggi di cui è composto e su cui si intende concentrare l’analisi. La sententia riassume la tesi sostenuta dall’autore, mentre l’expositio litterae costituisce un’analisi linguistica del testo in esame che ha l’obiettivo di rimuovere eventuali difficoltà legate alla traduzione e creare un linguaggio scientifico complessivamente comprensibile. A questa prima fase di commento vero e proprio seguono le notanda, che costituiscono una sorta di rassegna delle interpretazioni precedenti, collocate nel loro specifico ambito storico. I dubia e le quaestiones rappresentano invece la parte più importante del commentario, poiché attraverso di esse l’autore chiarisce la sua tesi iniziale: i dubia, infatti, hanno il compito di mettere in luce i passaggi problematici dell’esposizione e sono seguiti immediatamente da una solutio, mentre le quaestiones si concentrano solo su un numero ristretto di temi, a cui però forniscono una soluzione molto complessa e articolata, che rende spesso autonoma questa parte del commentario. All’interno delle notanda e dei dubia è spesso inserita la distinctio, un procedimento che svolge un’importante funzione di chiarimento attraverso la suddivisione dei diversi significati attribuibili a un concetto o a un termine. La conclusio, posta alla fine del commentario, ha il compito invece di riprendere la tesi della sententia alla luce di quanto emerso dalla disputatio.
Particolare fortuna per tutto il Medioevo ha la pratica di glossare il Liber Sententiarum di Pietro Lombardo, che risulta a tutti gli effetti il testo più commentato dopo la Bibbia nell’Occidente cristiano. Già a partire dal concilio lateranense IV (1215) gli viene riconosciuta una auctoritas, che è sancita definitivamente dall’inserimento obbligatorio delle Sentenze nel curriculum studiorum di ogni teologo che per ottenere il dottorato deve scrivere un proprio commentario al testo del Lombardo. Questa consuetudine si protrae ben oltre i limiti cronologici del Medioevo, tanto che l’ultimo commento di una certa importanza è quello del teologo belga Wilhelm Estius; ma il Liber Sententiarum è stato usato in certi Paesi fino all’inizio di questo secolo.
Dalla struttura del commento letterale si rendono ben presto autonome le quaestiones, che rappresentano una trascrizione (reportationes) di quanto avviene nelle dispute che contraddistinguono la seconda parte della lezione. Il maestro stesso ne rivede e corregge le trascrizioni che gli sono fornite dagli studenti, preparando così vere e proprie raccolte autorizzate e diffuse dall’autorità universitaria. Pur presentando ancora brevi parafrasi di passi della littera, spesso della vecchia struttura del commento restano solo le parole iniziali: l’attenzione dell’autore infatti è rivolta a un numero limitato di problemi, ricavati dall’interpretazione di un testo di cui tuttavia non è più fornito un commento integrale. All’inizio della questione viene posto un titolo (titulus quaestionis) che ha sempre la forma di una domanda introdotta da utrum, a cui fa seguito una breve rassegna degli argomenti che caratterizzano la soluzione che si intende respingere. Più sintetiche e basate perlopiù su qualche riferimento a un’auctoritas, sono invece le dimostrazioni dell’altra tesi, che vanno a costituire la terza parte della quaestio. Infine la soluzione (corpus quaestionis), collocata al termine dell’analisi, comprende le conclusioni dell’autore, accompagnate da qualche argomento e dalle distinzioni necessarie per la sua comprensione.
Private del loro legame originario con il commento, le questioni sanciscono la loro completa autonomia dall’attività accademica ordinaria con l’istituzione, tra il 1240 e il 1260, delle quaestiones disputatae de quolibet. Si tratta di dispute che non avvengono unicamente per la sola scuola del maestro, ma sono aperte al pubblico (communis), suscitando così un grande coinvolgimento di studenti, in cui si evidenziano la libertà degli interventi nel dibattito e la libertà di scelta del tema da parte di chiunque. La risonanza che può derivare dalla buona riuscita di una disputa pubblica suggerisce a molti maestri di teologia come Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines, Pietro d’Alvernia di dedicarsi quasi completamente all’attività “quodlibetale”.
Un altro genere letterario particolarmente legato all’attività di insegnamento sono le summae, nate con lo scopo di riunire in un’unica opera gli scritti di un maestro, talvolta proprio per suo stesso desiderio, esse si caratterizzano quindi come organizzazione redazionale di commenti, quaestiones, sententiae o più semplicemente di appunti.
Le prime forme di summae, fiorite all’interno delle scuole cattedrali e monastiche del XII secolo, si limitano a essere raccolte di sententiae, perlopiù teologiche, destinate non solo allo studio nelle scuole, ma anche alla predicazione. Tuttavia già nell’ambito della Scuola di Laon e di San Vittore, tali antologie incominciano a essere maggiormente perfezionate proprio per facilitare l’attività di insegnamento e la formazione dei novizi. La consacrazione del genere avviene ancora una volta in ambiente universitario, dove le summae assumono sempre più la struttura di veri e propri manuali per l’insegnamento, destinati a facilitare l’approccio dei principianti a una materia. Il loro contenuto è piuttosto convenzionale, tuttavia ogni docente, adottato il testo, si sente autorizzato ad apportarvi modifiche, correggere termini, aggiungere o eliminare parti intere. Così facendo ci troviamo di fronte a moltissime summae in cui la somiglianza della struttura generale nasconde una grande diversità nei particolari. La struttura di questi “manuali” presenta caratteristiche di composizione molto differenti in base alla disciplina trattata, perciò è possibile imbattersi in veri e propri riassunti dei libri formalmente richiesti per il diploma oppure semplicemente in introduzioni generali a un argomento specifico.
Particolarmente fiorente è il genere delle summae teologiche che rappresentano delle vere e proprie opere sistematiche redatte con l’obiettivo di fornire un quadro sintetico della dottrina cristiana, attraverso una presentazione precisa e completa dei contenuti senza fare ricorso esplicito a riassunti o compilazioni di materiale già esistente. Le caratteristiche di questo nuovo genere di summa sono contenute per la prima volta nella Summa aurea di Guglielmo di Auxerre e si perfezionano ulteriormente nella Summa de bono di Filippo il Cancelliere. Intorno alla metà del XIII secolo viene redatta la Summa universae theologiae, attribuita erroneamente ad Alessandro di Hales, ma molto probabilmente frutto del lavoro compiuto da più autori dello studium francescano di Parigi. Da questo momento in poi sono molti i docenti di teologia del XIII e del XIV secolo che si cimentano in questo nuovo genere letterario: Tommaso d’Aquino scrive una Summa contra Gentiles e in seguito una Summa theologia, la cui completezza e sistematicità resta probabilmente ineguagliata per tutto il Medioevo.
Tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV secolo i mutamenti che caratterizzano gli studi universitari si riflettono significativamente anche sui generi letterari del commento e della summa, in modo particolare in ambito teologico. Il passaggio infatti da un ideale teologia concepita secondo i criteri e i metodi della filosofia aristotelica a una teologia indipendente ed autonoma, che presenta una propria forma di argomentazione, costringe i teologi a cambiare il loro metodo di lavoro, come è immediatamente avvertibile esaminando l’evoluzione interna ad un genere letterario fondamentale per la produzione teologica: i commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo.
Rispetto a quanto avviene nel XIII secolo acquista maggior peso la filosofia e si riduce notevolmente il numero delle questioni che vengono discusse. Il confronto fra un commento del XIII secolo ed un commento di un nuovo teologo del XIV secolo può essere impressionante: le questioni che Pietro di Tarantasia solleva, poco prima del 1260, a proposito delle 48 distinzioni del I libro delle Sentenze sono circa 130, mentre nel commento di Richard Fitzralph, circa 70 anni dopo, se ne trovano solo 17, in quello di Robert Halifax, 9, e in quello di Robert Holcot addirittura 5. I commentari perciò non sono più redatti seguendo i criteri sistematici dell’opera lombardiana, ma focalizzano l’attenzione sugli interessi attuali e si problemi filosofici più scottanti; di conseguenza aumenta la lunghezza delle singole questioni e inoltre la scelta preventiva di commentare questioni di argomento simile fa si che all’interno dei commenti siano individuabili dei veri e propri trattati autonomi. Molto spesso l’intero commentario arriva a risolversi in un’unica generale quaestio, come avviene per esempio in Giovanni Duns Scoto e in Guglielmo di Ockham. Queste tendenze vengono notevolmente acuite nel momento in cui alcuni i programmi universitari impongono agli studenti di commentare i quattro libri di Pietro Lombardo in un solo anno scolastico. Per quanto riguarda la nuova importanza acquisita dalla filosofia in ambito teologico è fondamentale sottolineare che ciò di fatto avviene già nel XIII secolo, ma sempre secondo l’impostazione aristotelica, perciò la novità del XIV secolo non consiste tanto nell’introduzione di questioni filosofiche, di cui le Sentenze sono già un ricettacolo notevole nei secoli precedenti, ma nel nuovo modello di razionalità a cui fanno riferimento.
I medesimi mutamenti che determinano l’evoluzione dei commenti alle Sentenze interessano di riflesso anche il genere delle summae, la cui produzione si riduce notevolmente fino a scomparire, proprio a favore di questi nuovi commentari che talvolta assumono la struttura di veri e propri trattati indipendenti di vario argomento teologico. Accanto a queste opere restano in auge la lettura e il commento letterale della Sacra pagina, in particolare dei libri sapienziali, del libro dei Salmi o del Cantico dei Cantici, di cui sono un esempio il Commento alla Sapienza di Roberto Holcot e il Commento a Ezechiele di Enrico Carreto.