Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’evoluzione politica dell’Italia centro settentrionale tra XIV e XV secolo è caratterizzata da un’accentuata competizione militare e dall’affermazione di Stati sovracittadini guidati da poteri perlopiù signorili. Questi possono derivare sia dall’evoluzione di esperienze maturate nel periodo precedente, come nel caso dei Visconti, sia da nuove forme di autorità, come quelle dei condottieri fattisi signori, sia da poteri signorili di tipo informale, come quello dei Medici a Firenze.
Gli Stati sovracittadini
Francesco Guicciardini
La congiura dei Pazzi contro Lorenzo de’ Medici
Storie fiorentine dal 1378 al 1509
La città di Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo de’ Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un numero di cittadini nobili e prudenti ne’ quali si distribuivano gli onori della città e si trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose seguitava solo el suo consiglio e parere contro alla voluntà degli altri e teneva precipua cura che nella città non si facessi alcuno sí potente che lui avessi cagione da temerne. Era allora in Firenze la famiglia de’ Pazzi ricchissima piú che alcuna altra della città, ed aveva trafichi in molti luoghi del mondo e di qui era in grande riputazione in molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella città e con parentado grande ed uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in alcuno tempo avuto molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la quale cosa gli uomini in una città libera non possono comportare; pure la nobilità, el parentado, le ricchezze ed el distribuirle largamente, faceva loro credito ed amici assai. Capo di questa casa era messer Iacopo uomo d’assai riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di giucare e bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto piú tutta la casa concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte […]. Pareva a Lorenzo de’ Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però negli onori e magistrati della città gli teneva adrieto né dava loro quello grado si sarebbe convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a scoprirsi gli odi e le emulazione, a crescere e’ sospetti, e tanto piú quanto, sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal conte Girolamo, gli vedeva essere favoriti dall’uno e l’altro […]. Costoro praticando insieme e’ modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere guerra alla città non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed incerta, ed inoltre perché non mancherebbe alla città lo aiuto di qualche potentato di Italia; ma che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che pareva facile, perché lui andava solo disarmato e sanza sospetto alcuno di simile insulto; e massime sperando che, morto Lorenzo, non mancherebbe loro favori, perché oltre al parentado e potenzia loro, credevano che el popolo, pel desiderio e speranza della antica libertà, gli avessi a seguitare […]. Differirono adunche per [farla] a Firenze, dove entrato el cardinale, ed avendo la domenica mattina a dí... a desinare con Lorenzo, parve loro non fussi tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi mangierebbe, e presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata, che si ordinava cantare solenne, e dove non facevono dubio s’aveva a trovare Lorenzo e Giuliano. Venne adunche el cardinale alla messa, accompagnato dall’arcivescovo Salviato, da Giovanni Batista da Montesecco condottiere del conte e che era quivi per quella opera, e da molti perugini, tutti venuti a quello effetto, e come el prete che cantava la messa si communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno, Franceschino de’ Pazzi che andava per chiesa a braccia con Giuliano, l’assaltò ed amazzollo. Da altro canto un ser Stefano cancelliere di messer Iacopo con alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro interamente l’animo lo ferirono in sulla spalla, lui si cominciò a discostare e, tratto fuori un pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed in quello furore fu morto Francesco Nori che era seco; finalmente Lorenzo, con aiuto di chi era a torno e de’ preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa la porta, guardato non potessi essere morto […]. Era in questo mezzo corso el romore per la città, e benché in quel principio ognuno fussi spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere assaltato e difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e prese le arme parte ne andò a soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo e conducerlo vivo a casa. El popolo ancora parendogli lo amazzare Giuliano, che aveva benivolenzia, stato uno atto molto brutto e contra ogni civiltà, massime in chiesa in dí solenne; e vedendo el palagio per quella parte, e la vittoria aviarsi di là, e parendo che el volere occupare el palagio fussi un volere occupare la libertà, cominciorno a correre per la terra, gridando “palle palle”, ché tal segno ha l’arme de’ Medici; in modo che sendo el concorso universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggí fuora di Firenze e gli amici di Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria. Fu preso lo arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu impiccato alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello, consapevole di ogni cosa, fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era stato piú anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo nulla, per la sua mala sorte l’aveva la mattina accompagnato in palagio; furono impiccati tutti quegli perugini ed armati erano seco ed in tanta confusione e furore alcuni etiam innocenti. Fu preso Franceschino, che sendosi per la furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però non avendo potuto fuggirsi, si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in palagio, fu subito al luogo degli altri impiccato, fu preso el cardinale in Santa Liperata, e per la furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan Batista da Montesecco; furono impiccati el dí piú di cinquanta, né credo mai Firenze vedessi un dí di tanto travaglio. El dí sequente messer Iacopo, che si era fuggito, non sendo ancora fuora del territorio nostro fu preso ed esaminato fu impiccato […]. Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette tanta riputazione ed utilità, che quello dí si può chiamare per lui felicissimo: morígli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere la roba e lo stato messo in contesa; furongli levati via gloriosamente e coi braccio publico gli inimici sua e quanta ombra e sospetto aveva nella città; el popolo prese le arme per lui e, dubitando della vita, corse a casa gridando volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande gaudio di tutti, e finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della città; fugli dato per privilegio dal publico potessi per sicurtà della sua vita menare quanti famigli armati voleva drieto, ed in effetto si insignorí in modo dello stato, che in futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potenzia che insino a quello dí era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura. E questo è el fine delle divisione e discordie civile: lo esterminio di una parte, el capo dell’altra diventa signore della città, e’ fautori ed aderenti sua, di compagni quasi sudditi, el popolo e lo universale ne rimane schiavo, vanne lo stato per eredità e spesse volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dà l’ultimo tuffo alla città.
F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di A. Montevecchi, Milano, BUR, 1998
L’Italia del basso Medioevo è caratterizzata dal policentrismo politico. Il quadro frammentato e instabile dell’Italia comunale e signorile viene ricomposto tra XIV e XV secolo in un sistema politico più strutturato e stabile di Stati territoriali a dimensione regionale. Protagoniste del processo di formazione statale sono alcune realtà urbane e signorili capaci di esprimere forza economica e volontà espansionistica in una lunga e aspra competizione politica e militare, assoggettando altre città, altre comunità rurali e altri poteri.
Mentre i regni europei si rafforzano su base nazionale, la penisola rimane divisa in una molteplicità di formazioni politiche: a promuovere la formazione dei maggiori Stati territoriali sono grandi città come Firenze, Venezia e soprattutto Milano, che sostiene con la propria potenza sociale ed economica l’intraprendenza politica e militare della dinastia dei Visconti.
I primi tentativi di creare degli Stati sovracittadini sono promossi da alcuni signori urbani nella prima metà del Trecento. I Della Scala di Verona pongono dapprima sotto controllo le città del Veneto (tra cui Treviso, Padova e Vicenza) con Cangrande e poi estendono il proprio dominio fuori regione su Brescia, Parma e addirittura Lucca con il nipote Mastino II.
In Toscana ha un certo rilievo il dominio costituito dal nobile lucchese Castruccio Castracani su Lucca, Pistoia, Luni e Volterra tra il 1316 e il 1328: egli ottiene anche il titolo di duca da Ludovico di Baviera, e sconfigge i Fiorentini ad Altopascio nel 1325. L’espansione maggiore è però quella guidata dall’arcivescovo Giovanni Visconti in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia, che giunge a imporre la propria signoria su città come Brescia, Vercelli, Genova, Parma e Bologna. Ognuna di queste iniziative suscita la mobilitazione militare di una lega avversa di città, che nel caso della guerra contro i Visconti ottiene anche il sostegno del pontefice, che scomunica l’arcivescovo Giovanni e bandisce contro di lui una crociata.
Il Ducato di Milano
È la politica espansionistica che caratterizza tutta l’esperienza dei Visconti a dare impulso alla formazione degli Stati territoriali italiani.
Gian Galeazzo imprime nuovamente un forte dinamismo militare al suo dominio che, oltre a inglobare il Canton Ticino, buona parte della Lombardia e del Piemonte orientale, giunge a comprendere Verona, Vicenza, Padova e Belluno nel 1387, distruggendo le signorie dei Della Scala e dei da Carrara di Padova, e si spinge nell’Italia centrale ottenendo tra il 1399 e il 1400 anche la signoria di Pisa, Siena, Perugia, Spoleto e Bologna. La tenace resistenza dell’accerchiata Firenze, che si ammanta anche di una polemica antitirannica nel nome della libertà repubblicana, è gratificata dalla morte improvvisa del duca nel 1402, che ridimensiona le ambizioni che i suoi ideologi avevano propagandato come intenzione di costituire un regno nazionale italiano. Le conquiste territoriali sono disperse nuovamente, e solo il secondogenito Filippo Maria riesce a ricompattarle intorno a un profilo più limitatamente “lombardo” dello Stato visconteo. Nel 1395 Gian Galeazzo acquista dall’imperatore Venceslao, per 100 mila fiorini, il titolo di “principe e duca” di Milano. Il duca può utilizzare le relazioni feudali per legare a sé sia le signorie locali, sia le città e le comunità rurali: una delle formule più ricorrenti negli atti di sottomissione viscontei è infatti la richiesta di pacificazione da parte delle città che si assoggettano. Il duca consolida la propria autorità riformando gli statuti locali, controllando i benefici ecclesiastici, rafforzando i poteri degli organismi centrali: Consiglio di giustizia, Camera ducale e Consiglio segreto. Per finanziare le spese il duca ricorre a prestiti personali, a garanzia dei quali concede rendite e cespiti fiscali ma anche giurisdizioni e uffici. Negli apparati centrali e in quelli periferici egli nomina individui provenienti da tutto il ducato.
Milano infatti non è il centro, la dominante, ma solo la residenza del duca, e il patriziato milanese – cioè il gruppo ristretto di famiglie e individui che monopolizza il controllo degli uffici municipali – è coinvolto in modo non esclusivo nel governo dello Stato: non a caso esso darà un ultimo segnale di vitalità alla morte di Filippo Maria, istituendo una “repubblica ambrosiana” che durerà dal 1447 al 1450.
Le signorie dei condottieri
La morte senza eredi di Filippo Maria Visconti nel 1447 scatena lo scontro per la successione nel ducato. Alla fine esso perviene nelle mani del condottiero marchigiano Francesco Sforza nel 1450, che ha sposato una figlia naturale di Filippo Maria e che è chiamato dal patriziato milanese a difendere la fragile repubblica ambrosiana. A sostenerlo sono i Fiorentini, anche per contrapporsi all’avanzata che i Veneziani hanno attuato in Lombardia occupando Lodi e Piacenza, con il consenso e l’appoggio del duca di Savoia e del re di Napoli. La vicenda di Francesco Sforza è la più compiuta di un fenomeno che caratterizza la scena politica italiana del XV secolo, vale a dire la creazione di domini signorili da parte di condottieri. Alcuni di loro finiscono col mettere radici negli Stati che servono, come è il caso di Braccio da Montone o di Francesco Sforza.
Nella situazione di disordine dello Stato pontificio alcuni tentano di dar vita a proprie signorie, come nel caso di Braccio da Montone che nel 1416 diviene signore di Perugia e in breve tempo estende i propri domini su parte del territorio umbro e marchigiano.
Un particolare rilievo assumono le esperienze signorili che prendono corpo nelle città e nei territori della Romagna e delle Marche. La debolezza dell’autorità papale in quelle aree permette, per esempio, ai Malatesta, signori di Rimini, di estendere il loro dominio su Pesaro, Cesena e Fano, ai Montefeltro di creare un vasto territorio a cavallo tra Romagna, Marche e Umbria, centrato su Urbino, ai Da Polenta di radicarsi su Ravenna e il suo territorio, ai Da Varano di dominare su Camerino. In genere questi signori traggono i loro titoli di legittimità dalla carica di “vicario” che i pontefici concedono loro per inquadrarli in qualche modo sotto la propria autorità. Una connotazione comune a quasi tutte queste stirpi è la spiccata attitudine militare, che fa di alcuni loro membri dei condottieri che si distinguono nelle guerre italiane del XV secolo.
Altri Stati signorili
Tra i pochi Stati che sopravvivono alla semplificazione delle geografia politica dell’Italia settentrionale hanno un certo rilievo alcuni domini signorili minori. Di impianto cittadino sono quelli dei Gonzaga e degli Este. L’autorità dei primi si limita a Mantova e al suo territorio, essi si fregiano del titolo di marchesi acquistato dall’imperatore nel 1433. La signoria dei secondi che, in origine, ha un marcato impianto feudale discendendo dalla famiglia marchionale degli Obertenghi, si centra soprattutto su Modena e Reggio, di cui essi divengono duchi nel 1452, e su Ferrara, il cui titolo ducale è concesso dal papa nel 1471. Entrambe possono sopravvivere tra vicini aggressivi solo a prezzo di un cauto immobilismo. La signoria dei Savoia si estende invece sui territori rurali delle Alpi occidentali, strategicamente importanti per i passi che collegano l’Italia alla Francia. Nel corso del Trecento il dominio si allarga al Piemonte occidentale, che Amedeo VIII espande anche a Nizza, Pinerolo, Torino e Vercelli. Ottenuto il titolo ducale nel 1416 egli si dà a un’opera di coordinamento politico e amministrativo che culmina nell’emanazione di importanti statuti nel 1430 e nella suddivisione del ducato in 12 province, affidate a balivi, a loro volta suddivise in castellanie. Nel Piemonte subalpino fra varie contee minori si distinguono anche il marchesato di Saluzzo e quello del Monferrato. Nell’Appennino tosco-romagnolo rimane importante fino al XV secolo il dominio signorile dei conti Guidi; in Lunigiana quello dei Malaspina.
Firenze medicea
Esperienze signorili non mancano nemmeno nelle superstiti città repubblicane, come quelle dei Gambacorta a Pisa tra il 1370 e il 1390, dei Guinigi a Lucca tra il 1400 e il 1430 e dei Petrucci a Siena tra il 1487 e il 1525.
Una vicenda particolare è quella del notaio romano di umili origini, Cola di Rienzo, che nel 1347 si impadronisce del Campidoglio proclamandosi “tribuno della pace, della libertà e della giustizia”. L’iniziativa ha successo in un primo tempo grazie alle riforme dell’amministrazione cittadina in senso antinobiliare. Ma ben presto, pur sostenuto dal papa, Cola cade vittima di una congiura aristocratica e di una sommossa - per il forte fiscalismo che gli aliena la simpatia del popolo - durante la quale viene ucciso nel 1354.
Soprattutto, è a Firenze che la famiglia di banchieri dei Medici riesce ad affermare con Cosimo il Vecchio sin dal 1434 una signoria di fatto, sia pure all’interno di un perdurante quadro istituzionale repubblicano. Il nipote Lorenzo de’Medici, consapevole che Firenze rappresenta lo Stato più debole e più esposto al rischio di perdere la propria indipendenza, si impegna in particolare in un’abile attività diplomatica. Attraverso una stabile alleanza con gli Sforza e con i sovrani napoletani, egli riesce a frenare i tentativi di espansione veneziani e le ambiguità della politica pontificia. Per un certo periodo il sistema politico disegnato dalla Lega italica stipulata con la pace di Lodi nel 1454 assicura stabilità, ma non tranquillità.
Negli Stati che ne costituiscono l’asse diplomatico si susseguono infatti alcune congiure che manifestano la precarietà dei loro assetti interni e da cui non sono estranee le trame delle altre potenze. Nel 1476, a Milano, è assassinato Galeazzo Maria Sforza , e assume la reggenza per il figlio Gian Galeazzo lo zio Ludovico il Moro. Nel 1478 nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze Lorenzo de’ Medici scampa a un agguato organizzato dalla famiglia dei Pazzi, che gestisce le finanze pontificie.
La congiura, ordita con l’aiuto di papa Sisto IV e del duca di Urbino Federico da Montefeltro, si risolve in un fallimento: a cadere ucciso è solo il fratello Giuliano, mentre Lorenzo, pur ferito, scatena una feroce repressione che ne rafforza definitivamente il potere.