Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento la musica diventa parte attiva di quella ricerca d’identità nazionale che è al centro della vita politica e sociale. Questa dinamica investe molti livelli differenti: la ricerca musicale – il caso di Listz è emblematico – procede attraverso un confronto serrato e dialogico con la tradizione e il folklore, mentre sul piano delle istituzioni questo processo si traduce in un impegno strutturale educativo e istituzionale teso a salvaguardare e incrementare le scuole musicali nazionali.
Formazione e tipologia delle musiche nazionali
In Europa, nel corso dell’Ottocento, la musica diventa, anche se in maniera diversa nei vari Paesi, parte attiva del processo di formazione e consolidamento degli Stati nazionali. In alcuni di essi infatti, si tratta di stimolare esperienze musicali autonome, indipendenti da quelle straniere, e di dare vita a una propria organizzazione didattica, concertistica, capace di formare compositori propri (è questo il caso, per esempio, della Gran Bretagna). In altri Paesi, invece, la costruzione di una vita musicale autonoma si coniuga con la ricerca da parte dei compositori che in essa si formano di un’identità nazionale, cosicché le musiche si radicano nel folklore locale, acquisendo, in questo modo, una precisa fisionomia nazionale.
Le musiche nazionali ottocentesche si mostrano in grado di distinguersi attraverso l’opposizione alle forme musicali storicamente dominanti e giungono a proporre indirizzi di pensiero musicale e compositivi che non di rado sfociano nella musica del XX secolo.
È possibile individuare un preciso momento di formazione nella storia di queste musiche quando, fra le fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, il romanticismo scopre le fonti “popolari” della cultura nazionale.
Soprattutto nei Paesi dell’Est europeo, in quelli scandinavi e iberici – rimasti alla periferia di una storia europea musicalmente egemonizzata da Italia, Austria, Germania e Francia – la formazione di borghesie intellettuali, mosse da un forte antagonismo sociale e politico, favorisce la crescita di scuole musicali nazionali, fondate sul canto popolare, sull’assimilazione del materiale folkloristico in un comporre che, per quanto fortemente connotato, continua non di rado tuttavia a condividere il linguaggio e le forme della musica dei Paesi egemoni.
In questi ultimi, la questione dell’identità nazionale delle rispettive musiche si affida principalmente al modo in cui cambiano genere, forma e linguaggio ed è questo il caso, in campo operistico, della Germania di Wagner, dell’Italia di Verdi e della Francia di Berlioz e Debussy. Modest Musorgskij in Russia e, più tardi, Leós Janácek in Moravia, invece, assumono il canto popolare nelle sue caratteristiche strutturali – soprattutto modali e ritmiche, ma anche sonore e melodiche –, contribuendo al dissolvimento dell’ordine musicale occidentale, di impianto tonale, al quale oppongono un linguaggio che, pur restando nell’ambito della musica colta europea, in virtù dell’assunzione critica del folklore, assume tratti di novità e di autonomia nazionale. Un ruolo preponderante, in questo processo che dalla periferia mette in discussione i tradizionali rapporti di egemonia, va riconosciuto al pensiero e all’opera di Franz Liszt: il suo interesse per i più diversi musicisti europei – proprio in quanto portatori di una propria cultura nazionale (tra questi basti ricordare Grieg, Borodin, Musorgskij, Wagner, Erkel, Moniuszko, Berlioz, Verdi, Smetana) –, influenza la sua attiva partecipazione all’avanzare del molteplice musicale per cui la sua musica, proprio quando si fa nazionale, ungherese, decompone simbolicamente la sintassi musicale finora dominante. Sono, in particolare, i lavori pianistici “senza tonalità” della vecchiaia di Liszt, nei quali culmina il suo modalismo come strumento di dissolvimento dell’ordine tonale – secondo le procedure che si trovano in Musorgskij e Janácek –, a testimoniare il contributo di Liszt al cambiamento della storia musicale europea.
Boemia e Moravia
Fermo restando il riconoscimento del contributo della scuola russa alla rottura del dominio della musica occidentale nell’Est europeo, è la scuola nazionale boema, ben rappresentata nell’opera di Bedrich Smetana, a rivestire grande rilievo e significato. Anche Antonín Dvorák è in realtà esponente del nazionalismo musicale boemo, ma la prima opera su libretto in lingua boema è I brandeburghesi in Boemia composta da Smetana tra il 1862 e il 1863. A questa seguono altre opere di esplicito carattere nazionale, come Dalibor (1868), Libussa (1872), del tutto innovativa per come il canto viene plasmato sulla sonorità del parlato ceco, Il bacio (1876) e soprattutto La sposa venduta (1866), l’unica opera di Smetana che abbia avuto risonanza europea.
Nel sinfonismo, dove fra l’altro è più evidente la lezione di Liszt, il nazionalismo musicale di Smetana si manifesta in modo particolare nel ciclo di poemi sinfonici La mia patria (1874-1879), di cui fa parte la celebre Moldava, che rappresenta un momento di originale ricerca formale e timbrica nella fantastica resa sonora del paesaggio nazionale.
Dvorák, dal suo canto, introduce spesso nelle sue composizioni cameristiche e nelle sinfonie elementi tratti dal canto popolare slavo, pur rimanendo saldamente ancorato nelle forme e nel linguaggio alla musica tedesca, guardando a Wagner e al grand-opéra per il teatro e a Brahms per la musica sinfonica e cameristica. Se dunque la musica sinfonica di Dvorák si colora di caratteri nazionali nei numerosi lavori che, come il trio Dumky (1890-1891), fanno esplicito riferimento al folklore, nel teatro prevalgono il tema patriottico – come nel Giacobino (1889) e nel Diavolo e Caterina (1898-1899) – o quelli tratti dalle saghe boeme, come in Rusalka (1901), la più nota delle opere di Dvorák.
Compositore di minor rilievo rispetto a Dvorák e Smetana, ma significativo all’interno della scuola nazionale ceca, è invece Zdenek Fibich, autore di appassionate opere come Sárka (1897) e di pregevoli melologhi oltre che di musica sinfonica e da camera anch’essa radicata nel folklore boemo.
Il moravo Leós Janácek si sottrae presto alle sollecitazioni boeme di Smetana e di Dvorák, proiettando nel Novecento la sua straordinaria ricerca di una musica (teatrale, cameristica, sinfonica) in cui la connotazione morava del materiale sonoro passa attraverso la conseguente destrutturazione del sistema armonico e melodico tonale. Ma è nei lavori teatrali, vocali, orchestrali e strumentali degli ultimi decenni dell’Ottocento che Janácek forma (e teorizza in un testo del 1897) il suo linguaggio musicale insieme nazionale e di rottura del sistema armonico della cultura dominante: fra i numerosi lavori di quegli anni, vanno ricordati l’opera Sárka (prima versione 1887), la cantata Amarus (1887) e le Danze di Lachi per orchestra (1889-1890) che danno vita alla musica nazionale morava, contribuendo al generale movimento di resistenza antiaustriaca, che porterà alla formazione della Cecoslovacchia (1918).
In questo movimento, antagonista rispetto alla cultura austriaca, va collocato anche Gustav Mahler, boemo di nascita e viennese d’adozione. Nella sua musica, infatti, la presenza del canto popolare ceco, assieme ad altri frammenti appartenenti all’extracolto musicale, assume un senso nazionale per il modo in cui quei materiali diventano soggetto della destrutturazione e ricomposizione formale della musica colta. Con Mahler – così come con Liszt e come sarà con Béla Bartòk e con Ferruccio Busoni – è l’idea stessa della storia della musica a cambiare, dal momento che, nella sua musica, le periferie musicali irrompono come protagoniste e soggetti determinanti della forma musicale.
Polonia e Ungheria
Benché il materiale etnofonico polacco non determini strutturalmente il linguaggio della musica di Fryderyk Chopin, la sua presenza, sotto forma di segni musicali di evidente e voluto significato culturale, le conferisce una precisa identità nazionale e fa di Chopin il musicista che porta in musica la questione della nazione polacca. Dopo Chopin, Henryk Wieniawski, violinista e fondatore della scuola violinistica polacca – come Ignacy Jan Paderewski lo è di quella pianistica –, compone per il suo strumento pezzi brillanti di voluta difficoltà, che esaltano nel virtuosismo i riferimenti nazionali da cui sono percorsi.
Quanto a Paderewski, nella cui vita si intrecciano musica e politica intesa come impegno patriottico, va considerato, sia come pianista sia come prolifero compositore, un musicista dell’Ottocento polacco, nonostante muoia nel 1941. Principalmente influenzato da Chopin, infatti, come pianista Paderewski porta all’estremo il virtuosismo strumentale che caratterizza le composizioni di Wieniawski per violino. La sua deliberata esibizione, che fa clamore nell’Europa musicale di allora, diventa infatti un segno distintivo della Polonia che anche in questo modo afferma musicalmente, al di là degli stessi riferimenti al folklore, la sua identità nazionale.
Ungheria
Nell’opera e nella multiforme attività di Ferenc Erkel si può riassumere la costruzione di una musica nazionale ungherese, che pure Liszt ha iniziato con le sue ricerche etnologiche e i suoi lavori sul folklore magiaro e zingaro. È lo stesso Liszt inoltre a fondare l’Accademia nazionale di musica di cui nel 1875 Erkel diventa direttore dopo aver diretto nel 1838 il Teatro Nazionale di Pest. Qui, nel 1840, rappresenta la sua prima opera, Bátori Mária, di argomento storico, che segna la nascita dell’opera nazionale ungherese.
Seguono numerosi altri lavori teatrali altrettanto impegnati a rappresentare la storia nazionale, fra i quali Hunyadi László (1844), Bánk bán (1861), Eroi senza nome (1880), Re Stefano (1885).
I Paesi scandinavi
In ambito scandinavo il maggiore musicista ottocentesco è il norvegese Edvard Grieg, attivo anche nel rinnovamento generale della musica scandinava.
A Copenaghen, dove studia con Niels Wilhelm Gade (che insieme a Carl August Nielsen è il fondatore della scuola nazionale danese), Grieg collabora col maestro alla crescita di Euterpe, società per la diffusione della musica scandinava. È però soprattutto in Norvegia, e attraverso lo studio del patrimonio folkloristico del suo Paese, che Grieg forma la sua personalità di musicista in maniera del tutto originale, pervenendo a una musica che lo porta a reinventare la lezione europea postromantica nella dimensione timbrica, sonora, perfettamente nazionale del folklore nazionale locale. I suoi maggiori lavori sono i Pezzi lirici per pianoforte (1867-1901), i Lieder (oltre 150), le musiche di scena per il Peer Gynt di Ibsen (1874-1875) e il celebre Concerto in La minore per pianoforte e orchestra (1868). Le molte raccolte di canti e danze popolari norvegesi costituiscono il retroterra nazionale della sua musica, della sua produzione che si estende a tutti i generi fuorché all’operistico.
Al contrario, l’importante compositore svedese Franz Berwald, che trascorre gran parte della sua vita fra Berlino e Vienna, non propone uno stile specificatamente scandinavo nella sua produzione, che spazia dalla cameristica alla sinfonica al teatro (l’opera Estrella di Soria composta nel 1841 e rappresentata nel 1862 è pietra miliare nel teatro musicale svedese). Tuttavia la musica di Berwald metabolizza la pur spiccata impronta romantica in un comportamento musicale del tutto autonomo, proprio, che riguarda la fondazione di una cultura e di uno stile musicale precisamente svedesi.
D’altra parte in Jean Sibelius non è il canto popolare – del resto raramente presente – a connotare come finlandese una musica che invece, già nell’ultimo decennio dell’Ottocento, si afferma come la musica della Finlandia nazionalmente distinta dalla Russia zarista di cui è parte, quanto la rivisitazione del poema sinfonico europeo nel suono rappresentativo del paesaggio naturale della patria. Benché infatti la massima parte dell’opera di Sibelius si collochi nel Novecento, i suoi grandi componimenti sinfonici di carattere epico sono concepiti secondo un inedito rapsodismo che personalizza l’elaborazione tematica di marca bruckneriana: il poema sinfonico di Sibelius non racconta un “programma” ma suona un paesaggio nazionale. Risalgono all’ultimo decennio dell’Ottocento, in particolare il ciclo di sette brani intitolati Scènes historiques (1899) – di cui fa parte il famoso Finlandia – o le suites sinfoniche Karelia (1883) e Lemminkäinen (1895) che contiene il noto Cigno di Tuonela.
Si tratta di brani in cui più che mai il riferimento politico antizarista si affida alla delicata e intensa rappresentazione musicale, sottilmente apologetica, dell’inconfondibile natura nordica, finnica, nazionale.
Inghilterra e Olanda
L’Inghilterra è un caso esemplare del modo in cui, nel corso dell’Ottocento, un Paese sviluppi una propria autonoma vita musicale, e con essa una propria musica nazionale, senza connotare il suo idioma col folklore. Inesistente per oltre un secolo dopo la morte di Händel, la musica inglese rinasce infatti con Charles Hubert Parry, autore nel 1880 delle Scene dal Prometeo liberato (Scenes from Prometheus Unbound) tratto dal dramma di Percy Bysshe Shelley.
Dalla metà del secolo in avanti, vengono fondate inoltre la Musical Antiquarium Society (1840), la Purcell Society (1876), la Playsong and Medieval Society (1888) e la Folksong Society (1898), che raccolgono e diffondono il patrimonio storico e popolare inglese. È in questo contesto che dall’Inghilterra vittoriana, più che mai impegnata ad affermare la propria identità di Paese imperiale, si affermano internazionalmente, anche oltre i loro meriti musicali, compositori come Arthur Sullivan, autore di operette di grande popolarità, e soprattutto Edward Elgar, la cui musica, priva di riferimenti al canto popolare, suona tuttavia assolutamente “inglese” nel modo in cui il suo melodismo si modula sulla curvatura melodica dell’inglese parlato. Autore del celebre oratorio The Dream of Gerontius (1900) e di pregevoli lavori orchestrali quali le Enigma Variations (1899) e l’ouverture Cockaigne (1901), Elgar apre la strada allo sviluppo nel XX secolo di un’autentica musica nazionale inglese, come quella di Ralph Vaughan Williams (1872-1958), e contribuisce in maniera decisiva al sorgere di un bisogno di autentica cultura nazionale, che indurrà Cecil Sharp (1859-1924) a dare alle stampe la prima raccolta di canti popolari inglesi.
Anche l’Olanda non sviluppa una musica nazionale di predominante impronta folklorica, ma con Alphons Diepenbrock, suo principale compositore ottocentesco – cui si devono composizioni sacre per coro e orchestra, canzoni e musiche di scena per il teatro di prosa –, crea le basi per una vita musicale olandese indipendente.
Spagna
La rinascita musicale spagnola durante l’Ottocento è abitualmente attribuita a Felipe Pedrell che, con le sue pubblicazioni di compositori spagnoli del Cinquecento e le sue opere fra cui Los Pirineos (1891), oltre alla sua ricerca delle tradizioni musicali popolari e non, ripropone indubbiamente la questione di una musica nazionale spagnola.
Di grande importanza per la creazione di un contesto culturale comune aperto all’idea di una cultura musicale nazionale, è anche l’opera di Francisco Asenjo Barbieri. Inventore della “zarzuela grande” – e cioè in tre atti – dove la fusione di elementi dell’opera italiana con i caratteri musicali spagnoli determina un genere teatrale di estesa popolarità proprio per il suo spiccato carattere nazionale, Barbieri – non meno di Pedrell – crea in Spagna le premesse culturali e musicali della moderna scuola nazionale, quella che ha i suoi maggiori protagonisti in Isaac Albéniz, Enrique Granados e, decisamente proiettato nel Novecento, Manuel de Falla. Frequentatori a Parigi della musica francese che fra Debussy e Maurice Ravel rinnova il proprio lessico e apre il campo a un nuovo modo di concepire e praticare il suono, in sostanza fuori dalle abitudini cosmopolite finora invalse in Europa, gli autori spagnoli caratterizzano in questo senso il loro nazionalismo musicale, nell’ambito dunque del cambiamento musicale europeo verso una nuova musica fondata anche sulle distinzioni nazionali.
In particolare Albéniz, fortunato autore di numerosi pezzi pianistici, nei quattro quaderni di Iberia (1905-1909) – il suo lavoro di massimo successo – si vale di ritmi di danze spagnole esaltati da un virtuosismo che mira a dare risalto al loro carattere nazionale. Un compositore più attento ai processi europei di cambiamento musicale e di maggior cultura è Granados, pianista legato alla tradizione di ricerca di Chopin, Schumann, Liszt, che – soprattutto nel ciclo pianistico Goyescas (1908) – mostra di fare un uso moderno e personale del materiale folklorico spagnolo.
Le Americhe
Fuori dall’Europa, in particolare nelle Americhe, il nazionalismo musicale – inteso come formazione di una musica nazionale attraverso il canto popolare – si sviluppa soprattutto nel XX secolo, e si pensi solo ad Alejandro Garcia Caturla (1906-1940) a Cuba, a Heitor Villa Lobos (1887-1959) in Brasile, o a Conlon Nancarrow, Charles Ives, Aaron Copland, Scott Joplin, negli Stati Uniti. Ma è proprio negli Stati Uniti, che nel corso del XIX secolo, si hanno i primi segnali di una musica nazionale, anche se l’enorme materiale popolare o di genuina formazione musicale statunitense – dall’antica innodia del New England ai canti rurali dei revival-meetings, ai motivi della canzone urbana e popolare di Stephen Foster e di James Bland (1854-1911) e soprattutto agli spirituals popolari neri – resta a lungo ignorato da una musica colta che preferisce importare quella europea e formarsi su di essa. È semmai il boemo Dvorák, con l’interesse manifestato durante il suo soggiorno negli Stati Uniti per il poliforme canto popolare di questo Paese, a stimolare musicisti come Arthur Farwell e Henry Gilbert, a utilizzare nei loro lavori, a cavallo del secolo, materiali del folklore musicale statunitense.
In realtà, i veri pionieri della musica nazionale negli Stati Uniti nel tardo Ottocento sono Edward MacDowell, formatosi in Francia e in Germania ma autore, al suo rientro negli Stati Uniti, di una musica di limpida impronta nazionale – come la suite orchestrale Indian (1897) su melodie degli Indiani d’America –, e Horatio Parker, autore di canzoni, cori, opere, e soprattutto dell’oratorio Hora novissima (1893) nel quale si avverte l’eco di diversi folklori attivi in quel tempo negli Stati Uniti.