Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A metà del Seicento, dopo decenni di contrasti fra corona e Parlamento, l’Inghilterra è teatro di sommovimenti politici che portano a cambiamenti radicali degli ordinamenti istituzionali. Con la cosiddetta “prima rivoluzione” (1642-49) la Monarchia degli Stuart viene abolita, per lasciar posto a una repubblica, il Commonwealth. Tale esperienza politica, pur breve, è destinata a lasciare una traccia indelebile nelle coscienze e nella prassi giuridica e istituzionale inglesi. Dopo la restaurazione della dinastia degli Stuart (1660), non viene meno la dialettica fra pulsioni assolutistiche della corona e istanze antiassolutistiche della maggior parte della nobiltà e del ceto mercantile. Con la cosiddetta “Gloriosa Rivoluzione” (1688-89) avviene un incruento cambiamento dinastico che porta sul trono la protestante casa di Orange e nasce una nuova pratica di governo, in cui una posizione di primo piano spetta al Parlamento, in quanto unico controllore delle finanze statali e, in ultima istanza, dello stesso governo. Ciò, nel corso del Settecento, darà origine al meccanismo informale secondo cui il governo di nomina regia deve godere della fiducia della maggioranza dei membri del Parlamento.
Le tensioni seicentesche
Alla morte di Elisabetta I Tudor, sale al trono d’Inghilterra il suo parente più prossimo: Giacomo I Stuart, re di Scozia. Il nuovo monarca regna su domini segnati dalla presenza di diverse confessioni religiose e percorsi da forti tensioni. La stessa Scozia è un regno dove si è radicato il presbiterianesimo, una declinazione del calvinismo che rifiuta la tradizionale gerarchia ecclesiastica protestante e riconosce il ruolo esclusivo delle assemblee degli anziani delle singole comunità. In Inghilterra vi è invece la Chiesa ufficiale anglicana, che ha mantenuto l’architettura piramidale di matrice cattolica pur evolvendosi dal punto di vista teologico in senso protestante. Settori minoritari della società hanno però abbracciato il calvinismo e, a causa del loro radicalismo religioso, sono chiamati puritani. In Irlanda, la maggioranza della popolazione professa il cattolicesimo, mentre gli immigrati inglesi – che rappresentano il vertice della società locale –, appartengono alla Chiesa nazionale irlandese, modellata su quella anglicana anche se più vicina al modello calvinista.
Da parte sua Giacomo I è un fervente assertore dell’assolutismo monarchico e governa senza tener conto del Parlamento. Egli tenta di stabilire l’uniformità religiosa sotto l’egida della Chiesa anglicana e perseguita tutte le forme di protestantesimo di tipo presbiteriano. Nella sua veste di capo della Chiesa anglicana il sovrano promuove una traduzione in inglese della Bibbia, la cosiddetta Bibbia di re Giacomo, ancora oggi versione ufficiale delle Sacre Scritture per gli anglicani.
Fonte di tensioni è inoltre la decisione del sovrano di far sposare il figlio ed erede al trono Carlo con la principessa cattolica Enrichetta Maria di Borbone, sorella del re di Francia. Alla futura regina (e al suo seguito) sono concesse la possibilità di professare il culto cattolico a Londra e la facoltà di educare al credo cattolico i figli. Tali scelte del sovrano si legano alla sua volontà di cambiare la tradizionale politica inglese di sostegno allo schieramento protestante europeo a favore di un ruolo di mediazione fra potenze cattoliche e potenze protestanti, mentre il continente europeo è lacerato dalla guerra dei Trent’anni.
Il Parlamento, che vorrebbe che la corona si schierasse – come in passato – in maniera decisa contro la Monarchia spagnola, di cui il mondo mercantile inglese brama le ricchezze coloniali, esprime un forte disagio per il ruolo crescente nella politica interna di George Villiers, duca di Buckingham. Questi, grazie all’amicizia con il sovrano, monopolizza il patronage e controlla molti aspetti della vita di corte. Tuttavia, a differenza di quanto accade in Francia o in Spagna, il ministro favorito di Giacomo I non è in grado di imporsi in maniera assoluta nella sfera politica, dove grande peso hanno i gruppi nobiliari, i proprietari terrieri e i ceti mercantili urbani che sono rappresentati in Parlamento.
Le difficoltà di Carlo I e i tentativi assolutistici
Il dissenso nei confronti del ministro favorito e di una politica estera ambigua cresce dopo l’ascesa al trono di Carlo I Stuart. Questi, nel 1626, in cerca di risorse da impegnare sul fronte internazionale convoca il Parlamento, ma si vede costretto a scioglierlo e a ricorrere a prestiti forzosi sui cittadini più abbienti, facendo anche arrestare i funzionari che si rifiutano di dar corso ai suoi decreti. Pertanto, nel 1628, in occasione di una nuova convocazione del Parlamento, viene presentata a Carlo I la Petition of Right, un documento in cui si riafferma l’obbligatorietà del consenso del Parlamento per l’imposizione di nuovi tributi nonché il divieto ai ministri regi di procedere ad arresti arbitrari.
Nel 1629, in un clima di crescente tensione, il sovrano, deciso a imporre la propria volontà e fermo nell’intenzione di non rinunciare alle proprie prerogative, scioglie il Parlamento. A partire da questo momento, per undici anni, egli tenta di sopperire ai bisogni finanziari della corona ricorrendo a espedienti legali e a forme di prelievo che non necessitano dell’autorizzazione parlamentare.
La repressione dei tentativi dei sudditi di sottrarsi alle imposte amplia gradatamente ma inesorabilmente la distanza fra la corte regia e il paese. La situazione è resa ancor più complicata dall’intricata questione religiosa. Infatti Carlo I cerca d’imporre l’uniformità del culto anglicano che, al contempo, va orientando in una maniera che appare ai suoi sudditi protestanti sempre più simile a quella cattolica, con l’imposizione di una liturgia uniforme e della gerarchia ecclesiastica. Protagonista di questa trasformazione è l’arcivescovo anglicano William Laud, nominato dal sovrano primate della Chiesa d’Inghilterra. Egli, dal punto di vista teologico, è sostenitore di posizioni vicine a quelle cattoliche e che comunque appaiono, agli occhi dei protestanti, un cedimento inaccettabile alla Chiesa romana. Carlo I e Laud attuano una politica repressiva nei confronti di puritani, presbiteriani e, in generale, di coloro i quali non si uniformano alle nuove direttive e provocano la fuoriuscita dalla Chiesa anglicana di molti fedeli di sentimenti anticattolici e protestanti. Molti puritani lasciano l’Inghilterra per approdare nel Nuovo Mondo, dove fondano nuove colonie ispirate ai loro valori religiosi; altri intraprendono una radicalizzazione in senso antigerarchico – in polemica sia con il cattolicesimo sia con l’anglicanesimo – che alimenta anche la protesta politica contro il sovrano.
I tentativi della corona di imporre l’uniformità religiosa si estendono anche all’Irlanda, dove Thomas Wentword, conte di Strafford, lord deputato ossia luogotenente del sovrano, reprime le tendenze presbiteriane e si adopera per ridurre al modello anglicano la Chiesa irlandese. In Scozia il tentativo di Carlo di introdurre l’anglicano Common Prayer Book, il libro delle preghiere della Chiesa anglicana, provoca un’autentica rivolta. Per reprimerla il sovrano ricorre a prestiti bancari e – tra lo sconcerto dei sudditi inglesi fieramente antipapisti – a finanziamenti di parte cattolica.
La prima rivoluzione
Le risorse per combattere quella che, dal rifiuto degli Scozzesi di accettare le gerarchie anglicane, prende il nome di guerra dei vescovi, non sono sufficienti. Nella primavera del 1640 il sovrano si vede così costretto a convocare il Parlamento. Le due camere, anziché deliberare sulle richieste finanziarie della corona, presentano al sovrano una lunga lista di lamentele. Pertanto Carlo I, che rifiuta ogni confronto, dopo solo tre settimane decide di sciogliere il Parlamento, passato alla storia con il nome di Short Parliament, il Parlamento breve.
Dopo pochi mesi, nel novembre del 1640, tuttavia, quando gli Scozzesi varcano in armi la frontiera, il re deve ancora una volta convocare il Parlamento (Long Parliament). I parlamentari a questo punto impongono al sovrano la proclamazione del Triennal Act, l’Atto triennale, una norma che obbliga la corona – pur lasciandole il diritto di proclamazione e di scioglimento – a convocare l’assemblea ogni tre anni. Questa prima misura è seguita da altre, prima fra tutte la dichiarazione dell’inammissibilità delle tasse non autorizzate dal Parlamento, che indeboliscono notevolmente l’autorità regia e ne vanificano le pratiche assolutistiche.
La situazione di Carlo I diviene più difficile dopo lo scoppio di una rivolta di matrice cattolica in Irlanda. Il sovrano si trova ancora una volta obbligato a chiedere sostegno finanziario per l’organizzazione di un esercito; il Parlamento, timoroso che le truppe possano essere utilizzate contro di sé, chiede il controllo sul comando militare della spedizione. Inoltre, su iniziativa del deputato John Pym, il Parlamento presenta la Grand remonstrance, la Grande rimostranza, un documento che condanna le preoccupanti propensioni autoritarie e la malcelata simpatia filocattolica del sovrano. La pubblicazione del documento viene interpretata da Carlo come un invito alla sedizione popolare. Egli reagisce violando la tradizionale immunità del Parlamento, dove penetra alla testa di 400 soldati al fine di arrestare i deputati più ostili alla corona. Questi, avvertiti per tempo, riescono a fuggire, ma l’azione di forza viene accolta in maniera assai negativa dall’opinione pubblica londinese. Colpito dalla veemenza delle reazioni, nel giugno del 1642, il re fugge da Londra per rifugiarsi a York.
Qui appronta un esercito di volontari da schierare contro il Parlamento che egli proclama ribelle alla sua autorità. Proprio tale decisione promuove una polarizzazione politica all’interno del paese con la formazione di due schieramenti, l’uno a favore del sovrano, l’altro del Parlamento. Dopo i primi scontri militari dall’esito incerto, il comando dell’esercito parlamentare viene affidato a uomini di comprovata esperienza, Thomas Fairfax e Oliver Cromwell. Sotto la loro egida, i metodi di formazione dei ranghi militari sono totalmente rinnovati. Il New Model Army, l’esercito di nuovo modello, è formato da volontari e non da mercenari. Nelle sue file militano molti puritani, convinti di adempiere una missione voluta da Dio; in generale, l’esercito offre a tutti i meritevoli, ancorché di umili origini e appartenenti alla minoranza puritana, possibilità di carriera prima del tutto precluse, dato che tutti gli ufficiali provenivano solo dai ranghi nobiliari.
Dopo un’alleanza con gli Scozzesi, il New Model Army guidato da Cromwell, nel giugno 1645 sconfigge a Naseby l’esercito regio. La vittoria militare e la conseguente resa di Carlo I aprono una fase politica caratterizzata da accese discussioni all’interno dello schieramento parlamentare. La questione principale è la forma da dare alla Chiesa nazionale; tuttavia ben presto il dibattito si allarga a temi di più marcato significato politico. I sostenitori di un ordinamento ecclesiastico depurato di ogni residuo elemento di stampo cattolico che resti nel solco della tradizione anglicana contemplano infatti la possibilità di accordo con il re, nel quadro del rispetto delle prerogative parlamentari. Viceversa i puritani sono fautori di un modello ecclesiastico di tipo scozzese e rivendicano la centralità del Parlamento. Infine non mancano proposte più radicali, soprattutto fra le fila dell’esercito: si reclama libertà di culto alle diverse sette protestanti (dette non conformiste, in quanto rifiutano ogni forma di gerarchia e praticano forme di egualitarismo assai avanzato) e si auspica l’instaurazione di un regime repubblicano su base democratica.
Le discussioni e le divisioni, sempre più intese, vengono però troncate dalla fuga di Carlo I. L’avvenimento apre una nuova fiammata di guerra civile che si conclude nel 1648 con la cattura del re. Mentre il Parlamento tenta ancora una volta la mediazione con il sovrano, l’esercito – ormai arbitro della situazione e vero e proprio soggetto politico autonomo – chiede di processare Carlo I. Per vincere ogni resistenza, un reggimento dell’esercito sotto il comando di Thomas Pride (1610 ca. - 1653), uomo di fiducia di Oliver Cromwell, marcia sul Parlamento e ne allontana i membri più conservatori. Il Rump Parliament procede quindi al processo per alto tradimento a Carlo I che, condannato per alto tradimento appunto verso la nazione, viene giustiziato a Londra il 30 gennaio 1649.
Dalla Repubblica alla Gloriosa Rivoluzione
Il 13 maggio 1649 viene proclamata la Repubblica (Commonwealth), caratterizzata da un dualismo istituzionale fra Parlamento, costituito dalla sola Camera dei Comuni che detiene il potere legislativo, e l’esercito. Nel 1653 Oliver Cromwell, capo indiscusso delle forze armate, esautora il Parlamento e assume in prima persona il governo del paese. La dittatura di Cromwell viene formalizzata con l’assunzione del titolo di Lord protettore del Commonwealth, nel 1657.
L’anno successivo, però, Cromwell muore e il figlio Richard, non possedendo né il carisma né le capacità del padre, rinuncia alla lotta per il potere in atto fra i capi militari. La situazione di grave incertezza istituzionale spiana la strada al generale George Monck il quale, nel 1660, reinsedia il Long Parliament – epurato nel 1649 e sciolto nel 1653 – che restaura la Monarchia.
Il 29 maggio 1660 Carlo II Stuart, figlio del defunto Carlo I, rientra trionfalmente a Londra. Egli, nel 1662, promulga l’Uniformity Act, Atto di uniformità, nel tentativo di ristabilire l’omogeneità di culto nella Chiesa d’Inghilterra. Lo stesso sovrano, tuttavia, sposato alla portoghese Caterina di Braganza (1638-1705), nutre simpatie verso il cattolicesimo.
Alla morte di Carlo II senza figli, nel 1685, la corona passa al fratello Giacomo II, convertitosi al cattolicesimo per sposare in seconde nozze una principessa italiana, Maria d’Este (1658-1718). Giacomo II governa l’Inghilterra con metodi autoritari, che gli alienano l’appoggio del paese e del Parlamento. La nascita di un erede maschio, nel 1688, e quindi il pericolo che si perpetui un assolutismo di stampo cattolico, inducono il Parlamento a chiedere l’intervento armato di Guglielmo III d’Orange, marito di una figlia di primo letto dello stesso Giacomo, Maria II Stuart.
L’appello a Guglielmo d’Orange viene inoltrato sia dai Tories che dai Whigs, i due schieramenti che si sono formati in sede parlamentare dopo la caduta della repubblica. Ciascun gruppo si è visto affibbiare il nome dai membri dell’altro, in virtù della carica piuttosto dispregiativa dei termini: tory è una parola irlandese che designa i banditi di strada, whig è un termine scozzese per i più fanatici presbiteriani. I primi rappresentano il partito dei proprietari terrieri e i secondi quello dei gruppi mercantili. Entrambi i raggruppamenti sono profondamente contrari a ripetere un’esperienza rivoluzionaria, ma mentre i Tories sono fautori del legittimismo dinastico, simpatizzano per il conformismo religioso anglicano e per la teoria del diritto divino del re, i Whigs hanno maggiore apertura verso la libertà religiosa dei non conformisti, ma soprattutto affermano che il governo deve essere sottoposto al controllo del Parlamento: nessun governo può dipendere solo dalla volontà del re, ma deve godere della fiducia della maggioranza dei membri delle due Camere.
Nel novembre del 1688 le truppe di Guglielmo d’Orange sbarcano sulle coste inglesi mentre Giacomo II fugge in Francia. Nel febbraio 1689 Maria e Guglielmo vengono proclamati sovrani d’Inghilterra con il Bill of Rights, un documento emanato dal Parlamento che delimita con chiarezza le prerogative regie e stabilisce il controllo parlamentare sulle finanze pubbliche e vieta ogni forma di arresto arbitrario da parte del potere esecutivo.
La proclamazione del Bill of Rights conclude la rivoluzione del 1688 che la tradizione storiografica inglese liberale ha sempre qualificato con l’attributo di “gloriosa”. L’epiteto è dovuto non solo al fatto che il cambiamento politico avviene senza spargimento di sangue e gode del consenso quasi unanime del paese; esso rappresenta infatti anche l’avvio di un processo che porterà alla progressiva affermazione della sovranità del Parlamento in quanto rappresentanza elettiva della nazione.