Le province europee dell'Impero romano. Le province galliche. Aquitania
Anche questa provincia, come le altre due delle Tres Galliae, venne a far parte dello Stato romano dopo gli otto anni di dure battaglie condotte da Cesare e anch’essa ebbe un suo punto di riferimento nel grande altare successivamente fatto costruire da Druso a Lione. La provincia, molto grande, a sua volta si articolava in due nuclei distinti: a nord le 14 tribù celtiche distribuite in 11 distretti fra la Loira e la Garonna (Undecim Populi), a sud le 9 tribù iberiche fra la Garonna e i Pirenei (Novem Populi). In seguito alla riforma augustea, pur mantenendo questa articolazione in populi, si costituì una provincia unica, importante al punto che la carica di governatore dell’Aquitania era una tappa obbligata per i rappresentanti dell’ordine senatorio che miravano a raggiungere il consolato. La capitale fu inizialmente insediata a Mediolanum Santonum (Saintes) per poi essere trasferita nel II sec. d.C. a Burdigala (Bordeaux). Con Diocleziano la provincia venne divisa in tre circoscrizioni sotto il comando del vicario della diocesi Viennensis e questo assetto rimase in vigore fino al V sec. d.C., quando la pressione e le invasioni dei Visigoti finirono per sgretolare l’organizzazione imperiale.
La regione era ricca di risorse naturali: l’oro del Limousin, le sabbie aurifere dei torrenti di montagna, il ferro del Perigord. A dare un’impressione di grande opulenza era tuttavia anche la disponibilità di prelibatezze alimentari: ostriche, salmone, formaggi. Un discorso a parte merita il vino: prima della conquista romana gli abitanti dell’Aquitania bevevano normalmente una birra fatta di orzo, ma non disdegnavano il vino (importato prima attraverso i mercanti greci, poi, dopo l’annessione a Roma della Narbonense, attraverso mercanti italici), al punto che un’anfora veniva scambiata sul mercato con uno schiavo. Dopo che anche l’Aquitania fu conquistata, i Romani (che in un primo tempo avevano proibito la produzione di vino in Gallia) impiantarono vigneti e anche oliveti; si determinò una trasformazione del paesaggio agrario e nacque una “via del vino” (con diramazioni verso i principali insediamenti celtici) fra Narbonne e Bordeaux. Lo sfruttamento delle campagne si attuava in misura assai notevole (come testimonia fra l’altro la presenza di numerose ville) anche per quanto riguarda la cerealicoltura e l’allevamento. Estremamente fiorente era infine la produzione di ceramica fine da mensa. Del benessere che derivava da questa intensa attività beneficiavano soprattutto gli immigrati italici e le classi dirigenti delle vecchie tribù celtiche.
Romanizzazione, organizzazione del territorio, urbanizzazione
La romanizzazione costituisce indubbiamente un passaggio estremamente importante anche in una situazione, come quella dell’Aquitania, in cui già in precedenza si erano sviluppate condizioni di vita alquanto avanzate. Fondamentale è anche qui, in primo luogo, la sistemazione della rete viaria, che peraltro riprende in parte itinerari celtici preesistenti, avviata da Agrippa per conto di Augusto, e completata nel corso del I sec. d.C. Vennero curati soprattutto i collegamenti fra i capoluoghi delle varie civitates, le unità territoriali celtiche che avevano conservato nella provincia romana una forte presenza: la cosiddetta Peyrigne, ad esempio, era una sorta di grande dorsale che metteva in collegamento sette di questi capoluoghi, da Lugdunum Convenarum (Saint-Bertrand-de-Comminges) a sud a Bourges a nord; da ricordare anche assi trasversali interprovinciali (che si raccordavano cioè con le reti viarie sia della Lugdunense, sia della Narbonense) come quello Lione - Clermont-Ferrand - Limoges - Saintes, o come quello Bordeaux - Auch - Tolosa.
Non lontano dall’attuale Argenton-sur-Creuse, l’importante centro di Argentomagus era posto all’incrocio di due percorsi, Orléans - Limoges e Poitiers - Bourges. In età tarda la Lusitania era attraversata dalla lunghissima arteria che da Mérida portava a Treviri, in Gallia Belgica, una delle capitali dell’Impero sotto la Tetrarchia. Integrati con queste vie di terra erano i percorsi fluviali e la navigazione in Atlantico. Nel corso della Garonna è stato rinvenuto, non lontano da Bordeaux, un tesoro di 4000 sesterzi dell’inizio del I sec. d.C. (rinvenimento che appare indizio di notevole frequentazione); difficile dire a quale cifra odierna potrebbe corrispondere, ma in base a calcoli fatti su cifre rivelate dai graffiti pompeiani, in media una famiglia di tre persone sborsava ogni giorno per la spesa sei sesterzi. Di navigazione nella Garonna parla anche il poeta Ausonio nel IV sec. d.C. (nato a Bordeaux, si trasferì poi alla corte imperiale di Treviri, dove dedicò un poema a un altro grande corso d’acqua, la Mosella). Le dimensioni del porto di Bordeaux sono inoltre un indizio della rilevanza del traffico in Oceano: non a caso Strabone definiva la città emporion.
La stessa Bordeaux è certamente il centro principale. I monumenti più noti sono i cosiddetti Piliers de Tutelle, che furono costruiti in età severiana nell’ambito di un’area centrale della città caratterizzata da portici dal complesso sviluppo, e soprattutto il cosiddetto Palazzo di Gallieno, una serie di eleganti arcate di laterizio che in realtà apparteneva a un anfiteatro di proporzioni non trascurabili. Scavi più recenti hanno consentito di individuare grandi edifici degni di una capitale: terme di fattura assai accurata; una casa del I sec. d.C. in cui si inserisce, nel III secolo, un cospicuo mitreo; magazzini monumentali presso la Garonna, che confermano la rilevanza dell’emporium stesso e che erano ospitati in un criptoportico collegato proprio con il complesso monumentale incentrato sui Piliers; inoltre, sulle rive del fiume Devèze, un porto interno, con banchine che si addentrano nell’abitato e infine, non lontano da queste, un grande mercato pubblico del II-III sec. d.C. Per quanto riguarda gli edifici cristiani, è da ricordare la chiesa di St.-Seurin, che si è sovrapposta a vari altri edifici, fra cui uno (forse il più antico di tutti) a navata unica, dedicato a s. Stefano.
Non lontana da un importante incrocio stradale, Argentomagus conserva importanti testimonianze della fase di passaggio dalla situazione preromana all’urbanizzazione romana. Nell’ultima fase dell’età di La Tène (la grande civiltà europea dell’età del Ferro nella seconda metà del primo millennio a.C.) si era stabilito qui un insediamento celtico difeso da un terrapieno; dopo la conquista romana, all’inizio del I sec. d.C., venivano costruiti templi di tipo celtico (nel senso di cui si è già detto a proposito delle altre province galliche). Alla metà circa dello stesso secolo, si attuò una ristrutturazione: fu creata un’area sacra delimitata da un recinto rettangolare e divisa in due settori da una galleria centrale; in tale spazio vennero costruiti due nuovi fana a pianta quadrata, a testimonianza di un persistente atteggiamento sincretistico, ribadito, a circa 200 m di distanza, da una singolare fontana monumentale a due gradinate. Questa fontana era anch’essa legata a manifestazioni di culto: a giudicare dalle iscrizioni e dalle sculture frammentarie qui rinvenute, vi si veneravano Giove, Apollo, Minerva, ma anche le Dee Madri con gli attributi di Fortuna o di Rosmerta e forse Cernunnos.
È nota anche una dedica Numini Augustorum et Minervae, ma non si sa se venga proprio da qui; in ogni caso, siamo in presenza di un quadro estremamente variegato, a testimonianza di un’amplissima convergenza di apporti. Gli altri edifici di Argentomagus a noi noti sono più “normali”: un teatro molto semplice, costruito in età augustea e ampliato in età neroniana, e un anfiteatro, anch’esso di età neroniana. Altro centro importante, indagato sistematicamente negli ultimi decenni, è Saint-Bertrand-de-Comminges, situato nella parte meridionale della provincia lungo il corso della Garonna, nel territorio dell’antica popolazione dei Convenae. Ai piedi di un’altura (su cui sorse una fortificazione tardoantica da cui si sviluppò l’insediamento medievale), la città romano-imperiale (il cui impianto augusteo fu in seguito più volte modificato) si estende verso il fiume con un assetto non molto regolare, caratterizzato però dalla presenza di due fori non molto distanti fra loro e orientati secondo due assi perpendicolari. Il foro orientale è orientato in senso nord-sud e vi si affaccia (a sud) un tempio dedicato a Ercole; è inoltre presente (a nord) un edificio che ebbe in vari momenti la funzione di basilica o di mercato. Fra il tempio e il foro furono trovati i resti di un noto monumento tropaico: sculture (intere e frammentarie) che raffiguravano trofei antropomorfi, Vittorie, personificazioni e barbari prigionieri. Il foro occidentale si estende in senso ovest-est; all’estremità orientale è un tempio dedicato al culto imperiale (forse da porre in relazione con l’ara delle Tre Gallie a Lione), a sua volta circondato da una piazza porticata. Questo tempio però, insolitamente, volge le spalle al foro, aprendosi invece con il pronao sulla piazza stessa. Immediatamente a nord è un edificio termale che non rientra nella tipologia delle terme imperiali, ma che tuttavia appare dotato di attrezzature di un certo livello; a sud è invece un edificio teatrale dotato di un’ampia porticus post scaenam: anche qui come altrove si coglie una relazione fra impianto forense e teatro. All’estremità settentrionale della città, non lontano dal fiume, si trovava un anfiteatro di cui però non conosciamo molti elementi.
Insieme con l’assetto delle vie di comunicazione e delle città possiamo in parte ricostruire (anche con l’ausilio di ricerche recenti basate sull’uso della foto aerea e di moderne tecniche di prospezione) la situazione delle campagne: strettamente legata al loro intenso sfruttamento era la presenza di numerose ville, alcune modeste, ma altre molto grandi, di planimetria complessa (dotate di peristilio e/o di galleria in facciata) e caratterizzate dalla ricca decorazione; alcune conobbero fasi di grandiosa ricostruzione fino a età avanzata. Le testimonianze sono soprattutto nel Berry, nella zona centro-orientale, nelle vallate della Garonna e della Dordogna. Numerosi anche i vici, luoghi di fiere e di mercati rurali.
Tipologie architettoniche
Con la vistosa eccezione di Lugdunum Convenarum, non sono molto attestati nell’Aquitania romana gli edifici legati alla vita politica e amministrativa, mentre invece offrono un quadro molto variato quelli connessi con la sfera religiosa, non solo in “concentrazioni” come quella di Argentomagus, ma anche in situazioni più isolate. In varie località dell’area pirenaica troviamo però molti nomi di divinità sicuramente locali: Arixo, Lehlunnus, Sutugius, Dahus; troviamo inoltre fana, ma anche edifici maggiori, a pianta centrale con galleria perimetrale. Talvolta questi templi cosiddetti “gallo-romani” assumono scala monumentale, come quello di Sanxay, a cella ottagonale, o come la celebre Torre di Vesona a Périgueux, alta e imponente nella sua forma cilindrica; la galleria perimetrale è andata perduta, ma nel corpo centrale restano i fori in cui erano inserite le travature lignee della copertura del portico. In presenza di edifici così rilevanti si rinnova con particolare intensità il dubbio se si tratti della ripresa di una tradizione celtica in età romana o di un’invenzione romana nata a contatto con la vitale religiosità celtica.
Anche l’Aquitania appare aperta alle religioni orientali e poi, soprattutto a partire dal IV sec. d.C. (e con un ruolo di primo piano per Bordeaux), alla diffusione del cristianesimo. Il mitreo a tre navate del III sec. d.C., inserito in una domus di Bordeaux risalente al I sec. d.C., è il più grande finora rinvenuto nelle Gallie. Il culto di Cibele, invece, non è attestato da monumenti così importanti, ma da altari taurobolici (legati all’uccisione rituale di tori) rinvenuti nelle stesse Bordeaux e Périgueux, ma anche altrove. A Bourges, a Limoges e ancora a Périgueux abbiamo testimonianze di chiese molto antiche, su cui si sono poi sviluppate nei secoli costruzioni sempre più articolate.
Produzione artistica
Le testimonianze di scultura che ci sono rimaste non offrono picchi qualitativi particolarmente elevati, ma non dovevano mancare opere (oggi perdute) che gli stessi antichi consideravano capolavori. Plinio ricorda che gli Arverni fecero realizzare una statua gigantesca di Mercurio (probabilmente assimilabile a una loro divinità, nel clima religioso sincretistico), che costò 40.000.000 di sesterzi e richiese 10 anni di lavoro. In qualche caso non mancano elementi fortemente caratterizzanti: sia nell’ambito della scultura, sia nell’ambito del mosaico si parla di “scuola di Aquitania”. Nel primo caso, si conoscono soprattutto sarcofagi con decorazione vegetale e floreale; notevole fra gli altri un esemplare di Bourg-sur-Gironde. Lo sviluppo di tale produzione è reso possibile anche dallo sfruttamento delle buone cave pirenaiche di Saint-Béat. Anche i mosaici presentano spesso “tappeti” policromi ispirati a motivi analoghi. Un altro filone abbastanza ben rappresentato è quello delle stele funerarie, in genere con personaggi raffigurati a mezzo busto.
Fra tutte queste testimonianze spiccano le sculture rinvenute (accuratamente riposte già in antico e quindi non si sa dove collocate in origine) nel foro orientale di Lugdunum Convenarum. Sembra siano ricostruibili tre grandi gruppi, ognuno dei quali incentrato su un trofeo: a destra e a sinistra erano ai piedi di tale trofeo le personificazioni (ognuna accompagnata da un prigioniero inginocchiato) della Hispania devicta e della Gallia devicta; al centro il trofeo era più alto e poggiava su una prora di nave, fiancheggiata da due Vittorie. Si celebravano quindi – in un monumento di cui non conosciamo precisamente l’aspetto, ma che certo presentava un programma figurativo particolarmente ambizioso – i successi di Augusto sulle popolazioni spagnole (in particolare gli Asturi e i Callaeci, gli ultimi a essere assoggettati) e su quelle galliche (in particolare proprio gli Aquitani, che si erano resi protagonisti di una rivolta) e soprattutto una grande vittoria navale che certamente era quella di Azio.
Artigianato, anfore, ceramica
L’abbondanza di vino a partire dall’età di Claudio e di Nerone dà luogo anche alla produzione di un particolare tipo di anfora detta “burdigalense”, che però cederà presto il passo (cosa tipica di queste regioni e non di altre) alla botte di legno. Ma gli artigiani dell’Aquitania eccellono soprattutto nella produzione (soggetta a forte esportazione) di terra sigillata: in località La Graufesenque, nelle foreste presso Millau, alla confluenza dei fiumi Tarn e Dourbie (e quindi in presenza dell’abbondanza di acqua e di legname e di corsi navigabili per il trasporto, requisiti indispensabili, insieme ovviamente con l’argilla, per questo tipo di attività), centinaia di ceramisti fabbricarono, nel corso del I sec. d.C., milioni di vasi in giganteschi forni capaci di cuocere fino a 40.000 pezzi per volta. Il successivo declino è dovuto forse alla crescente concorrenza dei prodotti africani, forse al disboscamento troppo intenso. Altri centri di produzione sono Montans, Banassac, Lezoux: spiccano ceramiche che gli specialisti definiscono à l’éponge (per la loro superficie, appunto, spugnosa) e “atlantica” (con un particolare tipo di decorazione impressa), oppure altre che riprendono i motivi floreali che abbiamo già visto impiegati nei sarcofagi e nei mosaici.
In generale:
Ch. Higounet (ed.), Histoire de l’Aquitaine, Toulouse 1971, passim.
L. Maurin - J.P. Bost - J.M. Roddaz (edd.), Les Racines de l’Aquitaine. Vingt siècles d’historie d’une région. Vers 1000 avant J.C.- vers 1000 après J.C., Bordeaux 1992.
Città e insediamenti:
R. Etienne, Bordeaux antique, Paris 1962.
Actes du Colloque “Le vicus gallo-romain” (Paris, 14- 15 juin 1975), in Caesarodunum, 11 (1976).
J.-P. Bost, Spécificité des villes et effects de l’urbanisation dans l’Aquitaine augustéenne, in P.-A. Février (ed.), Villes et campagnes dans l’empire romain. Actes du Colloque organisé à Aixen- Provence par l’U.E.R. d’histoire (16 et 17 mai 1980), Marseille 1982, pp. 61-76.
P. Garmy - L. Maurin (edd.), Enceintes urbaines antiques en Aquitaine, Bordeaux 1990.
L. Maurin - M. Thaure, Les villes augustéennes de l’Aquitaine occidentale, in Ch. Goudineau (ed.), Les villes augustéennes de Gaule. Actes du Colloque International d’Autun (6-8 juin 1985), Autun 1991, pp. 45-59.
J. Roussot-Larroque, Gaulois et Romains en Aquitaine. Protohistoire, époque gallo-romaine et haut Moyen-Age, Bordeaux 1991.
Villes et agglomérations urbaines antiques du Sud-Ouest de la Gaule. Histoire et archéologie. Deuxième Colloque Aquitania (Bordeaux, 13-15 septembre 1990), Bordeaux 1992.
F. Tassaux, Les agglomérations secondaires de l’Aquitaine romaine. Morphologie et réseaux, in J.P. Petit - M. Mangin - P. Brunella (edd.), Atlas des agglomérations secondaires de la Gaule Belgique et des Germanies, Paris 1994, pp. 197-214.
C. Balmelle, Les demeures aristocratiques d’Aquitaine, Bordeaux 2001.
Per un album sull’area celto-germanica:
H. Schoppa, Die Kunst der Römerzeit in Gallien, Germanien und Britannien, München 1957.
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