Le province bizantine I
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alle ricche province (Siria ed Egitto, cui si aggiungono i meno prosperi Balcani), che hanno costituito la dote dell’Impero d’Oriente fin dalla sua nascita, le spedizioni intraprese dai generali di Giustiniano aggiungono l’Africa, la Spagna meridionale e l’Italia. Tale espansione si rivela tuttavia estremamente effimera. Gli Slavi presto dilagheranno nei Balcani, e i Longobardi in Italia; l’invasione araba nel VII secolo travolgerà quasi immediatamente Siria ed Egitto, e nel secolo successivo arriverà ad annientare anche l’Africa bizantina.
Per tutta l’epoca protobizantina l’Egitto rimane una delle province più importanti per l’impero, soprattutto dal punto di vista culturale ed economico. È dall’Egitto, infatti, che ogni anno salpa la grande flotta oneraria destinata a trasportare a Costantinopoli il grano necessario al sostentamento della popolazione. Il cristianesimo si diffonde molto presto in Egitto, e dopo la fine delle persecuzioni può espandersi liberamente, anche se questo non impedisce che, soprattutto fra le classi elevate, permangano adepti, più o meno clandestini, dei culti pagani.
La Chiesa, organizzata intorno al patriarcato di Alessandria, sviluppa ben presto una serie di caratteristiche proprie, e in particolare, benché il greco rimanga indubbiamente la lingua ufficiale dell’intera regione, si va affermando tutta una letteratura nell’idioma locale, il copto, erede dell’antico egiziano parlato in epoca faraonica. La maggioranza della popolazione, soprattutto quella di cultura copta, non riconosce le decisioni del concilio di Calcedonia (451) e dà vita a una gerarchia ecclesiastica monofisita rivale di quella ufficiale. Ciò comporta una serie di frizioni sempre più gravi con l’autorità centrale; l’occupazione persiana tra il 618 e il 628/629 lascia inoltre una grande disorganizzazione a livello civile e militare. La disaffezione verso il governo centrale e lo sconquasso seguito alla parentesi persiana potrebbero spiegare la rapidità con la quale la provincia cade nelle mani degli Arabi (640-642), anche se su questo punto è tuttora in corso il dibattito storiografico.
Anche la Siria dell’epoca protobizantina risulta caratterizzata da una tendenza centrifuga, che si concretizza nel rifiuto del concilio di Calcedonia, nella diffusione del monofisismo e, insieme, nello sviluppo di un’altra lingua locale, il siriaco, che diviene un importante veicolo di cultura con la nascita di un’influente scuola teologico-filosofica nell’importante città di Edessa. La prosperità della regione viene intaccata (anche se non così profondamente come un tempo si sosteneva) dalla peste del 540-560 e dall’occupazione persiana agli inizi del VII secolo, ma la vita urbana non conosce mai un vero e proprio tracollo, e oggi si ritiene che la fine dell’epoca tardoantica in Siria possa essere collocata intorno al 750, con l’avvento degli Abbasidi. Sotto il califfato omayyade, infatti, che ha come capitale Damasco (preferita all’antico capoluogo e sede patriarcale di Antiochia), sembra esservi stata una sostanziale continuità con il periodo precedente.
Di fronte alla prosperità attestata per la Siria-Palestina e per l’Egitto in epoca protobizantina (almeno fino al VI secolo), ben diversa appare la situazione dei Balcani, sottoposti sin dall’inizio alla pressione di varie popolazioni (Goti, Avari) e a sempre più frequenti incursioni slave. Come sul fronte orientale, il tracollo avviene nel VII secolo, quando gli Slavi occupano tutta la regione fino al Peloponneso (anche se non bisogna dimenticare che un buon numero di centri costieri, come Tessalonica e, a quanto sembra, Corinto, rimane nelle mani dei Bizantini). Nel 680-681 i Bulgari, una popolazione delle steppe di etnia turca, sconfiggono Costantino IV IV e possono stanziarsi a sud del Danubio. Lo stato bulgaro si va rapidamente formando (fin da subito influenzato ideologicamente e culturalmente dalla vicinanza all’impero) e ampliando oltre che ai danni dei Bizantini, anche attraverso l’assorbimento di numerosi insediamenti slavi, finisce ben presto per minacciare la stessa Costantinopoli.
La prima delle campagne intraprese dai generali di Giustiniano contro i regni barbarici stabiliti in Occidente sull’antico territorio romano è quella contro i Vandali stanziati in Africa, che vengono rapidamente sottomessi da Belisario nel 533/534. Le testimonianze archeologiche permettono di evidenziare come l’Africa bizantina mantenga una certa vitalità economica, con una continua esportazione di olio, vino, garum e vasellame verso l’Italia, la Gallia e la Spagna. Alla fine del VI secolo anche l’Africa è organizzata come un esarcato, nel quale un unico magistrato assomma in sé il supremo comando civile e militare; ancora una volta la vitalità della regione sembra dimostrata dal fatto che proprio da Cartagine parte la flotta di Eraclio, figlio dell’esarca, che nel 610 spodesterà Foca dal trono di Costantinopoli.
A partire dalla seconda metà del VII secolo, la pressione degli Arabi, che, dopo aver conquistato l’Egitto e la Cirenaica, privano l’esarcato d’Africa di un collegamento diretto con l’impero, si fa sempre più forte; gli invasori riescono a impadronirsi definitivamente di Cartagine nel 698 e della piazzaforte e base navale di Septem (l’attuale Ceuta) nel 711. Dell’antico territorio vandalo resta in mano bizantina la remota Sardegna, mantenutasi sotto il controllo nominale dell’impero fino agli inizi dell’XI secolo, quando cade nelle mani degli Arabi, presto cacciati da Genovesi e Pisani. Sul piano amministrativo è forse connessa alla provincia d’Africa anche la remota Spagna bizantina, una sempre più esigua porzione della penisola iberica meridionale, occupata nel 550 e riconquistata dai Visigoti nel 624.
Dopo la riconquista dell’Africa, Belisario intraprende nel 535 l’invasione dell’Italia ostrogota, approfittando delle lotte intestine che contrappongono i successori di Teodorico. Inizialmente la campagna procede con rapidità spettacolare (in particolare la Sicilia è conquistata quasi senza colpo ferire), e nel 536 Belisario riesce a occupare Roma, che l’anno successivo difende da un grande assedio guidato dal re degli Ostrogoti, Vitige. Con la conquista di Ravenna nel 540 la campagna d’Italia sembra conclusa, per quanto rimangano ancora cospicue sacche di resistenza nella valle padana; Belisario, forse anche a causa di screzi con la corte, viene richiamato a Costantinopoli.
La rapace politica fiscale che si tenta immediatamente di mettere in atto, tuttavia, finisce per suscitare l’opposizione della popolazione, già duramente provata dalla guerra, e delle stesse truppe bizantine che si vedono defraudate del soldo; e di ciò sa trarre vantaggio il nuovo re degli Ostrogoti, Totila, che in breve tempo ribalta la situazione, costringendo i Bizantini ad asserragliarsi in un numero sempre più ridotto di piazzeforti. E occorreranno loro più di dieci anni per riuscire ad avere ragione, sotto la guida di Narsete, degli Ostrogoti; ancora nel 554, quando Giustiniano emana la Prammatica Sanzione che sancisce e regola il ritorno dell’Italia nella compagine dell’impero (cercando manifestamente di favorire quel che rimaneva dell’aristocrazia senatoria), restano alcune sacche di resistenza al nord. Il ruolo della penisola nella compagine dell’impero risulta fin dall’inizio estremamente secondario, in nulla differente da quello di una delle tante province governate da funzionari inviati da Costantinopoli. A ciò si aggiungono i crescenti motivi di dissenso tra Giustiniano e il papato.
Il 568 è un anno cruciale per la storia dell’Italia bizantina. Il nuovo imperatore, Giustino II, decide di rimuovere Narsete, che fino ad allora ha continuato, sostanzialmente, a governare l’Italia in qualità di generalissimo; contemporaneamente e forse non casualmente il popolo germanico dei Longobardi, sotto la guida del re Alboino, invade l’Italia passando dal Friuli. I Longobardi, incontrando solo sporadiche resistenze, dilagano dapprima nel settentrione per poi sciamare anche a sud di Roma. Maurizio cerca senza successo di rimediare alla situazione, ponendo l’Italia sotto l’autorità di un esarca e soprattutto tentando di comprare l’appoggio dei Franchi (che intraprendono con scarsa convinzione alcune spedizioni in Italia) contro i Longobardi, i quali, nel corso dei regni di Foca ed Eraclio, riescono invece a erodere ulteriormente il territorio imperiale. Anche la spedizione italiana di Costante II (630-668), diretta soprattutto contro il ducato longobardo di Benevento, non porterà alcun esito; e anzi, la decisione del sovrano di trasferirsi a Siracusa (dove viene assassinato nel 668) e dirigere da lì le operazioni belliche è la chiara dimostrazione dello stato disastroso in cui si trovano i territori bizantini della penisola, in contrasto con la Sicilia che è amministrata direttamente da Costantinopoli e conserva una certa prosperità.
La crisi iconoclastica, sotto Leone III fa definitivamente precipitare i rapporti, già critici, con il papato. È del resto ormai evidente che gli unici poteri effettivi presenti in Italia sono quelli del papa e del regno longobardo: Ravenna, capitale dell’esarcato, è definitivamente conquistata dal re Astolfo, nel 751, e papa Stefano III, dopo alcune richieste di aiuto rivolte a Costantino V, decide di rivolgersi ai Franchi.
Il re di questi ultimi, Pipino il Breve, accetta l’invito del papa, che incontra a Ponthion nel 754. Pipino sconfigge due volte le forze di Astolfo, e lo obbliga a restituire al papa una serie di città e castelli situati tra Romagna, Marche e Umbria che hanno fatto parte del territorio dell’esarcato bizantino. Da Costantinopoli si protesta per questa palese violazione del diritto e si cerca inutilmente di indurre Pipino a restituire le terre al basileus, piuttosto che al pontefice; ma a questo punto l’asse tra Roma e i Franchi è ben saldo, e le vittime ne sono i Longobardi, definitivamente sconfitti da Carlo Magno nel 774, e Bisanzio. In Italia, ai Bizantini rimangono le isole della laguna veneta, il ducato di Napoli (anche se entrambi questi territori manifestano presto una incontrastata tendenza all’autonomia), la Calabria meridionale e Gallipoli in Puglia (alla quale presto si aggiunge Otranto).