Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Cinquecento la riqualificazione degli spazi pubblici centrali di molte città è spesso compiuta con interventi di riordino architettonico delle antiche piazze medievali, improntati a maggior decoro, coerenza formale e magnificenza signorile. La diffusa aspirazione umanistica di principi e architetti alla renovatio urbis determina profondi mutamenti nella messa a punto dei procedimenti progettuali e delle strategie urbane di riferimento, influenzando l’assetto figurativo dei centri di più antica fondazione.
La riqualificazione urbana
La riqualificazione degli spazi pubblici centrali di numerose città italiane nel corso del Cinquecento viene spesso compiuta attraverso interventi di riordino architettonico delle antiche piazze medievali, improntati a maggior decoro, coerenza formale e magnificenza signorile.
La diffusa aspirazione alla renovatio urbis di stampo umanistico da parte di principi e architetti determina profondi mutamenti nella messa a punto dei procedimenti progettuali su vasta scala e delle strategie urbane di riferimento, giungendo a influenzare l’assetto figurativo dei centri di più antica fondazione.
Anche la riforma delle antiche aree mercantili, che talvolta ricalcavano gli spazi degli ancor più remoti fora, si svolge all’insegna di quella ripresa degli ideali dall’antico che attraversa tanti cantieri del Rinascimento italiano. Quei luoghi, già regolati dagli statuti sotto il profilo puramente funzionale, assumono via via una compiuta rilevanza estetica, sottostando ai criteri di regolarità, proporzione e simmetria che si affermano come i nuovi principi ordinatori dello spazio urbano. Così la riforma delle piazze, caricata dei valori simbolici promossi dal potere locale e signorile, è spesso lo specchio dei nuovi valori culturali e architettonici espressi dal classicismo.
È a partire dalla nuova trattatistica quattrocentesca che la piazza, come spazio problematico e complesso, viene posta al centro delle riflessioni teoriche sul nuovo assetto da dare alla città signorile, mentre nel Cinquecento si assiste a una maturazione del tema e alla più vasta diffusione e messa in opera delle concrete esperienze progettuali e attuative.
Le piazze nei trattati di architettura
Il fondamento di qualsiasi ragionamento teorico riguardante la forma da dare alle nuove piazze viene riconosciuto nel I capitolo del V libro del De architectura di Vitruvio, dove si esaminano i fora greci contrapposti a quelli latini. I primi vengono sommariamente descritti come a pianta quadrata e caratterizzati da un doppio porticato con colonne molto ravvicinate, mentre ai secondi è riservata una più analitica esposizione che dà ampio conto sia delle caratteristiche fisiche e proporzionali, sia di quelle funzionali dell’invaso. Il forum latino, dalla pianta rettangolare, risulta dimensionalmente funzionale al numero dei cives, dunque subordinato a fattori demografici o di rango della città, e risponde a criteri formali di varia specie. Tra questi va almeno segnalata la relazione che lega il lato lungo e quello corto della piazza, che devono stare fra di loro nel rapporto di 3:2, mentre l’altezza degli edifici (a due piani e con doppio ordine di logge), che si sviluppano ai margini dello spazio libero, deve rispondere al postulato che l’altezza delle colonne del piano superiore risulti di un quarto in meno rispetto a quelle del registro inferiore. Dal momento che all’antica descrizione scritta non si accompagnava alcuna rappresentazione grafica di riferimento, sarebbero poi stati i commentatori quattro-cinquecenteschi del testo latino ad attualizzarne la lettura, integrandola con osservazioni aggiuntive e illustrazioni esplicative.
Per primo Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria (cap. VI, libro VIII) riprende gli exempla vitruviani, arricchendo il quadro di riferimento relativo alla descrizione delle piazze. L’umanista propone, tra l’altro, nuovi rapporti proporzionali possibili sia nella pianta del forum (lato maggiore e minore possono stare fra loro anche nel rapporto di 2:1), sia nei prospetti, oltre a stabilire la collocazione di archi trionfali là dove le strade sboccano negli spazi aperti. La lezione albertiana verrà rapidamente assorbita e riproposta, con leggere varianti, da Filarete e in seguito dai teorici cinquecenteschi. Nel suo Trattato di architettura, Filarete si sofferma a lungo sull’idea di piazza e sulle sue dimensioni, riprendendo le idee di regolarità e proporzionalità (anche in questo caso vale il rapporto di 2:1 tra il lato maggiore e quello minore della piazza rettangolare), ma inserendole all’interno di un quadro di riferimento in gran parte ancorato alla tradizione medievale.
Solo a partire dai primi anni del Cinquecento si assiste a una diffusa ripresa delle idee e del testo di Vitruvio, che presto diventerà il termine di riferimento abituale e canonico per i progettisti, pur dopo essere stato sottoposto a molteplici varianti di lettura e reinterpretazione. Le traduzioni commentate e illustrate del testo latino permettono infatti una larga diffusione anche delle idee urbanistiche che si erano affermate presso i Romani, raggiungendo una più vasta schiera di architetti e committenti. Schemi di piazze regolari, cinte da logge "all’antica" vengono proposti da Fabio Calvo (1514), da Cesare Cesariano (1521), da Giovanni Battista Caporali (1536) e, ancora, nei Dieci libri dell’architettura di Vitruvio pubblicati da Daniele Barbaro (1567) o nei Quattro libri dell’architettura di Palladio (1570), ricco di riferimenti all’Alberti. In quasi tutti questi casi l’atteggiamento prevalente degli autori è quello di misurarsi con il testo antico in chiave archeologica, alla ricerca di autorevoli modelli di riferimento sui quali esemplare le concrete proposte progettuali.
Tra l’elaborazione teorica e il momento della realizzazione risulta peraltro uno scarto che non viene mai colmato. La concreta progettazione delle piazze cinquecentesche tiene sì a mente i riferimenti vitruviani ai fora del mondo classico, ma senza giungere a replicarne una configurazione basata su soli riferimenti letterari. Le piazze realmente costruite ex novo o profondamente ristrutturate nel corso del Cinquecento sono spesso contrassegnate dall’assetto regolare e dall’uniformità stilistica degli affacci, ma solo in alcuni rari casi si avvicinano alle tipologie fissate per via teorica.
Progetti di piazze rinascimentali e prime realizzazioni
Fin dal Quattrocento sono noti progetti unitari per piazze urbane improntate ai nuovi principi compositivi di età umanistica che, tuttavia, non riescono a decollare. Così come nulla sappiamo del progetto brunelleschiano per una grande piazza da realizzare tra la chiesa di Santo Spirito e l’Arno, nella Firenze della prima metà del secolo, altrettanto indistinte sono le notizie riguardanti i progetti urbani ideati dall’Alberti.
Nessuna fonte iconografica o manoscritta, infatti, ci offre dei ragguagli su quella che avrebbe dovuto essere la configurazione della vasta piazza progettata dal grande umanista di fronte alla basilica di San Pietro, nell’ambito del suo vasto progetto di ristrutturazione del borgo vaticano per Niccolò V, risalente agli anni Cinquanta del XV secolo.
Se poi si esclude l’exploit architettonico di Bernardo Rossellino per Pio II a Pienza, dove la piazza che fronteggia il duomo e il palazzo Piccolomini risente ancora di un’idea medievale di città, dobbiamo arrivare quasi alla metà del secolo per riconoscere due casi di vera e propria consapevole ripresa del modello di un ideale forum monumentale "all’antica". Il primo caso riguarda la platea magna di Imola, che viene trasformata in moderna piazza signorile per volontà di Girolamo Riario, marito di Caterina Sforza, attraverso radicali interventi di demolizione e ricostruzione; il secondo caso riguarda invece la piazza Ducale di Vigevano, aperta con atto d’imperio da Ludovico il Moro come immenso vestibulum del Palazzo Ducale nel giro di soli due anni, dal 1492 al 1494.
Quest’ultimo intervento raggiunge livelli di coerenza formale e qualità spaziale altrove mai toccati, almeno intorno agli stessi anni. Realizzata sulla base di un probabile disegno di Bramante, la piazza di Vigevano venne poi parzialmente manomessa nel corso del XVII secolo ed è ancor oggi contrassegnata su tre lati da cortine porticate uniformi con sfoggio di decorazioni – ridipinte – che rivelano anche l’originario impiego di archi trionfali, come suggerito dall’Alberti.
Quasi contemporaneamente all’impresa del duca di Milano, Ercole I d’ Este avvia la costruzione della "piazza nova" di Ferrara (dopo il 1493) sui terreni resi disponibili all’edificazione in seguito alla cosiddetta "Addizione Erculea", ovvero all’ampliamento della città previsto sul versante settentrionale dell’antico nucleo medievale. Di forma rettangolare e proporzionata secondo dettami albertiani (i lati misurano circa 100 metri per 200), la "piazza nova" (oggi Ariostea) si sarebbe presto arricchita di palazzi eretti da membri del patriziato ferrarese e salariati di corte (gli Strozzi, Francesco Stancaro, ecc.) che contribuiscono a fissare i caratteri figurativi del luogo mediante imprese edilizie di ampio respiro.
Ad Ascoli Piceno, l’odierna piazza del Popolo viene ristrutturata in profondità tra il 1507 e il 1509, probabilmente tenendo a mente quanto era stato realizzato a Vigevano, ridisegnando integralmente tre lati dello spazio mediante fronti compatti e porticati a due piani che provvedono a occultare l’irregolarità del tessuto medievale delle abitazioni retrostanti.
A Firenze, la piazza della Santissima Annunziata, dove già campeggiava il portico degli Innocenti (1419) di Brunelleschi, viene ridefinita anche sul lato occidentale mediante la costruzione di un porticato gemello – costruito da Antonio da Sangallo il Vecchio e portato a termine nel 1525 –, mentre alla fine del secolo anche sul lato settentrionale si assiste alla realizzazione di un fronte ugualmente porticato, sempre modellato su quello primitivo della Loggia degli Innocenti, che completa la composizione secondo un disegno unitario.
La riforma delle piazze nel pieno Rinascimento: Venezia, Roma e Bologna
L’idea di riproporre spazi urbani che si richiamassero alla monumentalità degli antichi fora si afferma con decisione nella Venezia del terzo e quarto decennio del Cinquecento ad opera di Jacopo Sansovino.
Nell’ambito della più vasta operazione di riordino della antica platea marciana e delle sedi delle magistrature repubblicane (i procuratori di San Marco), l’architetto fiorentino propone una complessiva riforma della piazza e della piazzetta attraverso l’impiego di nuovi edifici dalle facciate uniformi, su due loggiati sovrapposti, con andamento circonfluente, capaci di ridisegnare l’intero perimetro dell’antico centro della vita pubblica medievale. Il progetto di Sansovino, solo parzialmente attuato, riesce tuttavia a modificare sensibilmente gli spazi preesistenti, fissando i criteri per qualsiasi intervento successivo. A partire dal 1537 tutto il settore meridionale della piazza viene revisionato profondamente. Dopo aver demolito l’edificio dell’antico ospedale Orseolo (sul versante meridionale), Sansovino provvede a isolare il campanile e a riformarne il basamento attraverso la creazione della Loggetta, mentre nella piazzetta viene eretta la Libreria che fronteggia le arcate gotiche del Palazzo Ducale. È quest’ultimo nuovo edificio, disegnato in forme classiche, che risulta di tale valore compositivo da assoggettare anche i più tardi interventi nelle adiacenze – le procuratie nuove edificate da Vincenzo Scamozzi alla fine del secolo – al suo equilibrio formale.
Anche nella Roma di Paolo III Farnese, la riorganizzazione architettonica degli spazi pubblici nella prima metà del Cinquecento tocca i vertici della qualità compositiva al momento del ridisegno della piazza del Campidoglio su progetto di Michelangelo. Il progetto della nuova piazza non sembra appoggiarsi a consapevoli riferimenti antichizzanti o a considerazioni di natura funzionale, quanto all’originale calcolo estetico dell’artista. Questi si misura con il problema della creazione di uno spazio monumentale in cui i diversi elementi di alto valore simbolico, che devono giocare la loro parte nel progetto, siano valorizzati al massimo grado. Il riordino dell’area capitolina può essere fatto risalire al 1538, quando viene trasferita qui la statua di Marco Aurelio dal Laterano.
Attorno al simulacro di quel saggio e antico sovrano ruota il progetto michelangiolesco di una piazza per il pontefice, nuovo sovrano di Roma. La storia progettuale della sistemazione dell’area non è stata ancora definitivamente chiarita. Un’incisione del 1569 di Dupérac illustra, in visione prospettica, l’assetto della piazza secondo le idee michelangiolesche. Pochi altri documenti iconografici ci aiutano a datare le fasi di sviluppo di un cantiere che si prolungò fino ai primi decenni del XVII secolo; lo spazio preesistente viene radicalmente modificato, secondo un disegno unitario talmente persuasivo da risultare immodificabile anche a molti anni di distanza dalla morte di chi lo aveva ideato.
In un primo momento viene ristrutturato l’antico palazzo senatorio, aggiornandone il prospetto e dotandolo di una doppia scalinata esterna (1544-1553).
Più tardi vengono avviati i lavori al palazzo dei Conservatori (1563-1584), sede del governo esecutivo della città. Il palazzo esistente, già porticato e a due piani, mantiene l’orientamento antico, leggermente divaricato rispetto al limitrofo palazzo senatorio, e viene completamente rimodellato e caricato di valori espressivi attraverso l’uso dell’ordine gigante ritmato in facciata. Sul lato opposto al palazzo dei Conservatori, Michelangelo propone la creazione di un edificio gemello (edificato, poi, nella prima metà del XVII secolo), privo di destinazioni funzionali precise, che avrebbe concluso con la medesima forza espressiva anche il margine verso la chiesa dell’Ara Coeli; mentre il lato dove si allaccia la rampa di collegamento con la base del colle rimaneva inedificato e aperto verso la città.
Al centro della composizione, su di un piedistallo che si eleva al di sopra di una pavimentazione di forma ovale suddivisa in 12 scomparti, la statua di Marco Aurelio costituisce il dispositivo che induce l’osservatore a percepire illusionisticamente lo spazio circostante trapezoidale come regolare e armonico, accrescendo il valore monumentale e simbolico del centro della vita politica e amministrativa della città. Una delle fasi più intensive dei lavori alla piazza del Campidoglio si concentra negli anni di governo di Pio IV, il pontefice che promuove anche il vasto disegno di ristrutturazione del centro monumentale della seconda città dello Stato ecclesiastico, ovvero Bologna.
È all’azione propulsiva di questo papa e all’intraprendenza del vice legato Pier Donato Cesi, infatti, che si devono i lavori relativi alla costruzione del palazzo dell’Archiginnasio (sede delle Scuole), alla ristrutturazione del palazzo pubblico, all’apertura della piazza del Nettuno, e alla riforma delle aree del mercato e della limitrofa piazza Maggiore sulla base del nuovo codice classicistico che si era andato imponendo. Con l’intervento del Vignola viene riformato il prospetto orientale della piazza Maggiore, risalente al primo Quattrocento, mediante la costruzione della monumentale facciata a due ordini del palazzo dei Banchi (1561 ca.), sotto i cui portici operavano proprio quei cambiavalute che Vitruvio segnalava tra i più vivaci operatori economici della vita forense. Costruita con somma perizia prospettica e razionalità compositiva, l’opera del Vignola riesce nell’intento di collegare fra di loro edifici progettati in epoche diverse, fondendoli in un insieme di grande equilibrio che non tradisce la ricchezza del palinsesto.