di Antonio Fiori
Il 2013 è stato un anno molto difficile per le relazioni intercoreane. In apertura d’anno, infatti, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato l’applicazione della risoluzione di condanna numero 2087, come conseguenza del lancio di un vettore da parte di Pyeongyang alla metà di dicembre dell’anno precedente. Questo esperimento, formalmente teso a porre in orbita il satellite Kwangmyongsong-3 Unità 2, è stato un successo per il neoleader nordcoreano Kim Jong-un, il quale necessitava di un’azione di questo tipo per acquisire legittimazione interna e per conquistarsi l’appoggio dei militari, ma al contempo ha scatenato il timore e le ire della comunità internazionale: gli Stati Uniti, in maniera particolare, hanno considerato il lancio come un mero pretesto di Pyeongyang per testare un vettore a lungo raggio, potenzialmente addirittura in grado di colpire le coste statunitensi. L’unanime condanna successiva al lancio del vettore ha contribuito ad inasprire seriamente i toni, dando il via ad un’escalation il cui passo successivo messo in atto dal regime di Pyeongyang è stato il test nucleare sotterraneo del 12 febbraio.
Questo nuovo esperimento rappresentava, con tutta probabilità, anche una sorta di ‘avvertimento’ nei confronti della nascitura amministrazione Park Geun-hye in Corea del Sud; i nordcoreani desideravano così dimostrare che la strategia isolazionista portata avanti nell’ultimo quinquennio dal presidente sudcoreano Lee Myung-bak non aveva sortito alcun effetto benefico, e che solo un netto cambiamento di rotta avrebbe potuto migliorare i rapporti tra le due parti. Come accaduto in precedenza nel 2006 e nel 2009, in occasione di test dello stesso tipo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione numero 2094, che inaspriva le sanzioni già esistenti contro Pyeongyang, ampliando la lista dei prodotti la cui esportazione verso la Corea del Nord è vietata e autorizzando gli stati a bloccare i cargo utilizzati dalla Corea del Nord anche se non diretti verso il paese. Anche Pechino ha sostenuto in modo convinto l’introduzione di un nuovo round di sanzioni nei confronti di Pyeongyang, e le dichiarazioni del nuovo presidente Xi hanno segnalato un crescente disappunto dei cinesi nei confronti delle minacce militari nordcoreane.
La risposta dei nordcoreani alle nuove sanzioni si è concretata nella completa rottura delle relazioni con Seoul – come dimostrato dall’interruzione della linea rossa tra il Nord e il Sud, l’ultimo canale di comunicazione diretta ancora esistente tra le due parti – e nell’annullamento unilaterale dell’armistizio del 1953.
Come se la tensione non fosse gia considerevolmente alta, gli americani hanno voluto dare una dimostrazione a Pyeongyang della loro prontezza di reazione e dell’assoluta fermezza nel contrastare qualunque minaccia militare: nel quadro delle annuali esercitazioni militari congiunte con i sudcoreani – chiamate Foal Eagle, e aspramente condannate dai nordcoreani, che le vedono come una assoluta provocazione nei loro confronti – due bombardieri B-52 hanno sorvolato il territorio sudcoreano; successivamente due B-2 hanno effettuato un volo nonstop da una base nel Missouri fino alla Corea del Sud, dove hanno sganciato delle bombe inerti su un bersaglio stabilito. Il Pentagono ha così voluto dare una chiara dimostrazione al regime di Pyeongyang delle loro potenzialità aeronautiche e della loro precisione chirurgica nel colpire obiettivi predeterminati.
Queste azioni ‘dimostrative’ da parte degli americani, tuttavia, hanno scatenato le ire dei nordcoreani, che non solo hanno dichiarato l’inizio di uno ‘stato di guerra’ con Seoul, ma anche platealmente minacciato militarmente gli Stati Uniti. Tra le immediate conseguenze di questo stato di cose, due eventi hanno assunto un’assoluta centralità: il ripristino del reattore nucleare di Yongbyon, in grado di riprocessare plutonio e rimasto inattivo dal 2007, e la chiusura del complesso industriale di Kaesong. All’interno di quest’ultimo, fisicamente collocato in Corea del Nord, 120 industrie sudcoreane impiegano per la produzione dei loro beni più di 50.000 lavoratori del Nord, in un raro esempio di collaborazione tra le due parti. L’interruzione delle attività a Kaesong, chiuso brevemente per tre volte già nel 2009, non solo ha segnalato il tracollo nelle relazioni tra il Nord e il Sud della Corea, ma ha rimarcato il definitivo affossamento della Sunshine Policy, la strategia di avvicinamento tra Seoul e Pyeongyang promossa dalle amministrazioni progressiste alla guida della Corea del Sud tra il 1998 e il 2008. La situazione è rimasta fortemente in bilico, tra violente schermaglie dialettiche, soprattutto perché gli obiettivi e l’abilità di leadership del giovane e relativamente inesperto leader nordcoreano – Kim Jong-un – al potere dalla morte del padre, nel dicembre 2011, rimangono ancora non del tutto esplicitati.
Nelle settimane successive la crisi ha progressivamente cominciato a smorzarsi, tanto che in estate molti hanno ricominciato a chiedere il ritorno a un tavolo negoziale congiunto. Agli inizi di luglio, inoltre, sono state avviate le trattative per la riapertura del complesso industriale di Kaesong: il percorso è stato molto tortuoso, dato che le due parti si addossavano l’un l’altra la responsabilità per la chiusura del complesso, e si è snodato attraverso vari incontri che avrebbero dovuto rintracciare delle condizioni di salvaguardia per evitare la possibilità di una nuova chiusura unilaterale del complesso. Alla metà di agosto, dopo oltre quattro mesi di chiusura, i delegati dei due paesi hanno siglato un documento di intesa in cinque punti per la riapertura del complesso di Kaesong, che nelle parole della presidentessa Park avrebbe dovuto segnare un ‘nuovo inizio’ nelle relazioni intercoreane. Il complesso industriale di Kaesong è tornato ad operare il 16 settembre del 2013.